28 settembre 2023
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Biografia di Lech Walesa
Lech Walesa, nato a Popowo (Polonia) il 29 settembre 1943 (80 anni). Politico. Ex presidente della Polonia (1990-1995). Sindacalista. Cofondatore ed ex presidente di Solidarność (1980-1990). Premio Nobel per la pace nel 1983.
Vita «Un momento: prima di cominciare bisogna chiarire le cose. Non sono un diplomatico io, non sono un cerimoniere, e tanto meno un intellettuale. Sono un rozzo, io, un operaio, non ho mai letto un libro in vita mia, e sono un uomo con un obbiettivo da raggiungere, non me ne importa nulla di certe cose. Né dei libri, né delle interviste, né della sua intervista, né del Premio Nobel, né di lei. […] So che in questo momento c’è bisogno di me. Un tipo come me che sa prendere le decisioni con giudizio, risolvere i problemi in modo prudente. Non sono una testa calda, io. Lo capisco, io, che si sono accumulate troppe ingiustizie in Polonia, che quindi le cose non possono cambiare dalla mattina alla sera e ci vuole pazienza, ci vuole saggezza, bisogna controllarla, la rabbia sacrosanta che il popolo vorrebbe esplodere come una bomba. E io so fargliela controllare, perché so ragionare. Anche se non sono istruito, so dire le cose e trovare le parole giuste. […] Io non sono un politico. […] Sono un uomo con una gran rabbia in corpo. Una rabbia che ho sempre avuto dentro, fin da ragazzo, fin da giovanotto. E quando, di questa rabbia, ne accumuli tanta quanta ne ho accumulata io, finisci col saperla amministrare. Con cervello. Il che spiega perché io so controllare la folla e gli scioperi. Eh! Bisogna essere molto arrabbiati per saper controllare la rabbia sacrosanta del popolo. Bisogna saper vivere con la rabbia» (a Oriana Fallaci, nel febbraio 1981) • Quarto figlio di un carpentiere internato in un campo di lavoro tedesco e morto quando aveva solo due anni, fu cresciuto dalla madre nel segno di una solida educazione cattolica • «Nel 1959 W. si iscrisse a Lipno a un corso di avviamento professionale nella sezione “meccanizzazione dell’agricoltura”. Nel 1961 fu assunto come elettricista al Parco nazionale macchine (Pom) di Lenie, espressione di quella politica agricola della Polonia socialista che privilegiava un nuovo tipo di “contadino-operaio”. Nel 1963 prestò servizio militare nel corpo dei telegrafisti. Nel 1967 si licenziò dal Pom per andare a lavorare ai Cantieri navali di Danzica (in seguito ribattezzati “Cantieri Lenin”), azienda sorta nel 1946-1947 e che tra il 1960 e il 1970 visse il suo periodo di massima prosperità. […] Nel 1968, nella Polonia attraversata dalla rivolta studentesca, W. esordì come sindacalista, essendo eletto rappresentante nel consiglio dell’azienda. Nel dicembre del 1970 partecipò alla “rivoluzione sociale” contro l’aumento dei prezzi che provocò la caduta del leader comunista Wladyslaw Gomulka, il quale fu sostituto da Edward Gierek. Eletto delegato di officina, W. fece parte di quella rappresentanza operaia che nel gennaio del 1971 incontrò Gierek, che, tra l’altro, accettò la richiesta di costruire una chiesa a Przymorze. […] In seguito alle proteste organizzate per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, nel 1976 W. fu licenziato e fu costretto a vivere di lavori precari. […] Dal canto suo, l’episcopato polacco, facendo appello all’etica cristiana, sosteneva le rivendicazioni operaie, formulando le condizioni per un “minimo vitale”. Il ruolo della Chiesa cattolica polacca nella lotta per la riforma sociale e morale della Polonia era destinato a diventare centrale con l’ascesa al soglio pontificio (16 ottobre 1978) dell’arcivescovo di Cracovia Karol Woytila. Con l’elezione di Giovanni Paolo II tutti i “frammenti” della coscienza nazionale polacca cominciarono a formare un “insieme logico”, soprattutto dopo la visita del Papa in Polonia nel giugno del 1979. Nel maggio 1979 W. fu assunto all’Elektromontaz, ma fu licenziato nel febbraio 1980 per aver organizzato uno sciopero: si stava formando una nuova “aristocrazia operaia” devota alla religione e alla nazione. Nel luglio del 1980 un nuovo aumento dei prezzi dei generi alimentari provocò un’ulteriore ondata di scioperi. Il 14 agosto 1980, a causa del licenziamento di Anna Walentynowicz, impegnata nella costituzione di un sindacato libero, gli operai dei Cantieri Lenin proclamarono uno sciopero» (Roberto Valle) • «I 17 mila operai dei cantieri navali si bloccarono. La protesta in favore dell’operaia Anna giunse in un clima carico di malumori. […] Lo sciopero si caricò dunque di altre rivendicazioni. Gli scioperanti volevano aumenti di stipendio, l’accesso ai mezzi di informazione, la celebrazione dei loro colleghi uccisi nel 1970 dalla polizia, la riassunzione dei licenziati, soprattutto volevano un sindacato libero dal partito comunista. Su tutte le richieste il regime era disposto a trattare, ma non sull’ultima. Le rivendicazioni presto crebbero ancora di numero e divennero “le 21 richieste”, mettendo in crisi il regime, tanto più che il papa polacco Giovanni Paolo II non mancò di far arrivare pubblicamente il suo sostegno agli operai in sciopero. Si capì subito che era una rivoluzione diversa. Non c’era notizia di atti violenti o fatti esagerati. La richiesta di libertà e giustizia sociale si accompagnava ad un grande senso di responsabilità. Le prime trattative furono surreali. L’elettricista Lech Walesa salì su uno sgabello, arringando gli operai. Il capo aziendale Gniech invitò a riprendere il lavoro, la ricreazione è finita, disse. Gli operai non si mossero. Cominciò la trattativa. Walesa fu più convincente: Gniech era potente, ma non persuase. Lo sciopero proseguì. Mai s’era vista prima una trattativa sindacale trasmessa via altoparlante e, giorni dopo, via radio. Walesa anni dopo confesserà che con Gniech aveva bluffato. Minacciava agitazioni a lungo termine, senza essere certo che gli operai lo avrebbero davvero seguito anche solo fino all’indomani. Fra i lavoratori regnava il malumore per le condizioni di lavoro ed economiche, ma non erano organizzati. Walesa puntò alto e vinse: Gniech aveva dovuto indietreggiare di fronte a richieste fatte in pubblico, richieste che non erano più solo sindacali, ma di buon senso, di dignità. Domenica 17 agosto Walesa si presentò in fabbrica con una grande croce in legno e la piantò davanti all’ingresso, altri portarono l’immagine della Madonna nera di Jasna Gora e una foto di Giovanni Paolo II. Il giorno dopo nacque l’alleanza fra gli operai dei cantieri navali e quelli del nord: il pane portato agli occupanti dei cantieri navali fu diviso con gli operai dei cantieri del nord, che se la passavano peggio. Un gesto semplice e di grande impatto emotivo, che richiamava la comune fede cristiana. Durante l’occupazione delle fabbriche si cominciò a pregare, i sacerdoti furono invitati a dire la messa. Quelle migliaia di tute blu inginocchiate durante le celebrazioni dentro ai cantieri furono un’immagine sconvolgente di fede popolare che rimbalzò su tv e giornali di tutto il mondo. Quella di Danzica è stata soprattutto la prima rivoluzione operaia non violenta, all’insegna dello slogan "non c’è libertà senza solidarietà". Eppure, curiosamente, il nome del primo sindacato libero Solidarnosc (solidarietà, in polacco), fondato ufficialmente il 31 agosto quando il governo si arrese alle richieste operai, fu scelto su indicazione involontaria di uno dei maggiori oppositori di quegli operai, cioè il direttore dei cantieri navali Gniech, il quale, di fronte al diffondersi degli scioperi, era sbottato dicendo: "Ma questi sono scioperi di solidarietà!". Walesa se ne ricordò al momento di scegliere il nome del nuovo sindacato» (Francesco Gerace) • «Nel gennaio 1981 Walesa fu ricevuto in udienza da Giovanni Paolo II; il 9 febbraio il generale Wojciech Jaruzelski, comandante delle forze armate polacche, fu nominato capo del governo e in ottobre segretario del Poup. Nel settembre del 1981 Solidarność celebrò il suo primo congresso nazionale e Walesa fu eletto presidente, carica che ha ricoperto fino al 1990. Il 12 dicembre 1981 l’ala radicale di Solidarność si pronunciò per un referendum sul futuro del regime comunista e su una revisione dell’alleanza militare della Polonia con l’Urss. Il 13 dicembre Jaruzelski impose la legge marziale: le libertà civili furono sospese e le università chiuse. Solidarność fu messa fuori legge e migliaia di suoi membri, in primo luogo Walesa, furono arrestati. Nel novembre del 1982 Walesa fu rilasciato e reintegrato nel lavoro ai cantieri navali di Gdansk, anche se sottoposto a una rigida sorveglianza. Continuando a operare clandestinamente, Solidarność si divise in due fazioni: una radicale e una moderata guidata da Walesa. Nel luglio del 1983 la legge marziale fu revocata, e in ottobre fu conferito a Walesa il premio Nobel per la pace, per aver fatto assurgere il termine “solidarietà” a un nuovo significato. […] Nel discorso di accettazione del Nobel, Walesa definì la solidarietà una “forza vitale” paneuropea in grado di riscattare la dignità e la libertà della nazione polacca e dell’“altra” Europa. Nel 1984 i servizi di sicurezza uccisero il cappellano di Solidarność, padre Jerzy Popiełuszko. Dopo il 1985, con l’avvento di Michail Gorbačëv alla guida dell’Urss e con l’affermazione del nuovo pensiero politico (perestrojka e glasnost’) rivolto anche alla costruzione della “casa comune europea”, la Polonia riprese il cammino delle riforme. La situazione economica della Polonia stava peggiorando, e il governo, con la “tavola rotonda” del 1989, aprì un negoziato con una delegazione dell’opposizione guidata da Walesa. Il sindacato libero Solidarność fu legalizzato e fu istituito il Senato con potere di veto sulle decisioni del Sejm (Camera bassa). Fu creata, inoltre, la carica di presidente della Polonia e fu consentito a Solidarność di concorrere a libere elezioni con un numero limitato di seggi (il 65% era riservato al Poup). Tale “transizione negoziata” consentì a Solidarność, nelle elezioni del giugno 1989, di ottenere una buona affermazione. Walesa riuscì a imporre un governo guidato da Tadeusz Mazowiecki, intellettuale cattolico e consigliere del sindacato, per smantellare il sistema comunista; il 19 luglio Jaruzelski fu eletto presidente della Repubblica. Mentre il Poup si dissolse nel gennaio del 1990, Solidarność divenne un partito politico: nell’aprile del 1990 Walesa fu rieletto presidente. Con le dimissioni di Jaruzelski, si aprì una “guerra al vertice” per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e Solidarność si divise in due fazioni: l’Alleanza di centro sostenne Walesa, il Movimento per l’azione democratica Mazowiecki. Non solo veniva meno l’alleanza tra “letterati” e operai che aveva consentito l’affermazione di Solidarność, ma era contestato il ruolo di W. come “eroe carismatico”. W. vinse le elezioni presidenziali al secondo turno con il 75% dei voti» (Valle) • «Ma il nuovo quadro postcomunista, soprattutto in Polonia, da dove era partita la spinta al cambiamento, doveva ben presto rivelarsi non del tutto idillico. […] Si vide con stupore l’ottimo e abile leader di sindacato Walesa trasformarsi, quasi da un giorno all’altro, in un presidente maldestro, bizzoso, litigioso, screanzato; cominciò a prendersela, in particolare, con la politica di rinnovamento misurato e razionale del premier Mazowiecki, cercando di opporgli brutalmente, ledendo la Costituzione, una confusa linea populista senza capo né coda. Lo scontro con Mazowiecki e poi la rottura con Geremek furono inevitabili. Dopodiché gli intellettuali abbandonarono il leggendario leader di Danzica all’autodistruzione, presero altre strade, e Solidarnosc si spezzettò in correnti e conventicole rivali vuote e insignificanti» (Enzo Bettiza) • Dopo aver mancato la conferma alle elezioni presidenziali del 1995, venendo sconfitto dal candidato postcomunista Aleksander Kwaśniewski, nel 1997 Wałęsa fondò un nuovo partito, la Democrazia cristiana per la Terza Repubblica Polacca, con cui si ricandidò alle presidenziali del 2000, raccogliendo appena l’1,01% dei voti. Decise allora di ritirarsi dalla politica attiva, senza tuttavia mancare di far sentire in più occasioni la propria voce, e finendo per essere a propria volta oggetto di critiche sempre più feroci. È stato inoltre più volte accusato, talvolta con il supporto di qualche documento, di aver sottoscritto nei primi anni Settanta un attestato di lealtà al regime comunista vigente, che secondo alcuni detrattori basterebbe a farne un traditore al soldo di Mosca. «Walesa smentisce. Ma la sua smentita non ha importanza. Anche se i documenti fossero veri, che cosa proverebbero? La risposta è semplice: che un giovane elettricista, rivoluzionario, proveniente da un villaggio, poco istruito, ha avuto paura della polizia politica. E che quindi è sceso a patti. E che poi, nel corso di tutta la sua vita non ha fatto altro che disubbidire al patto (ipotetico) con il diavolo. La prova provata sta nel fatto che nel 1989 ha vinto Solidarnosc e hanno perso i comunisti» (Wlodek Goldkorn) • Nel 2019 la Corte d’Appello polacca l’ha condannato a rendere pubbliche scuse a Jaroslaw Kaczyński, leader di Diritto e Giustizia, che lo aveva querelato per diffamazione. Sui social, Walesa gli aveva attribuito la responsabilità per l’incidente aereo che nel 2010 aveva causato la morte di 95 persone, tra cui il fratello gemello di Kaczyński, Lech
Amori A 25 anni ha sposato Danuta (1949), dalla quale ha avuto otto figli. Nel 2011 ha pubblicato l’autobiografia Danuta Walesa, sogni e segreti. «Danuta lasciò nel 1968 il suo villaggio natale nel centro della Polonia per andare a Danzica. “Lavoravo da un fiorista, quando un giovane entrò per chiedere per cambiare una banconota. Poi tornò più tardi.... e ci siamo sposati nel 1969”, racconta. “Non s’è mai fatto avanti - continua - per aiutarmi in casa. E, più tardi, negli anni Ottanta, con questa terribile politica, si occupava sempre meno della casa, dei bambini e anche di me”» (Andrea Cavalcanti).
Religione «Cattolico praticante, e orgoglioso di esserlo, tanto da portare sempre sulla giacca un’immaginetta della Madonna nera di Jasna Gora, Walesa non hai mai perso il buon umore e l’allegria nemmeno nei momenti più duri dello scontro con il regime. […] Forte è stata la sua amicizia con papa Wojtyla, da cui ricevette un grande sostegno in quegli anni cruciali. Anzi, come lui stesso ha ammesso, senza l’aiuto del Papa polacco l’estate di Danzica e Solidarnosc non ci sarebbero mai state» (Gerace) • «Ma è sempre stato tanto religioso, Lech? “Yé, yé, yé! Sempre, sempre, sempre! Posso dimostrarlo coi testimoni, lo chieda al vescovo! Anche a scuola! Quando ci insegnavano il comunismo e io non prestavo attenzione! Soltanto fra i diciassette e i diciannove anni mi sono allontanato dalla fede. Eh, mi misi nella vita. Feste, ragazze, alcool. Poi successe una cosa. Successe che un giorno avevo freddo ed ero stanco e cercavo un posto per sedermi. E, siccome da quelle parti non c’era che una chiesa, entrai nella chiesa. E sedetti su una panca, al caldo, e subito mi sentii così bene che a partire da quel momento non feci più lo scioperato”» (Fallaci) • «Il suo ricordo più forte di papa Wojtyla? “Ne ho tanti. Abbiamo avuto molti incontri e ognuno era diverso. Cercavo di farlo ridere, a volte ci riuscivo. Una proprio no”. Perché? “A lui piaceva molto mia moglie e le disse: ma come fai a resistere con quest’uomo? E io intervenni: allora, Santità, non devo prendermene una più giovane? Non apprezzò la battuta: ma che dici, figliolo?”. Con papa Francesco? “L’ho incontrato all’inizio. Lo Spirito Santo sceglie sempre il Papa giusto al momento giusto. Francesco ha il compito di fare pulizia nella Chiesa. Ai tempi del comunismo bisognava invece nascondere gli scandali per non indebolire il Vaticano”» (a Elisabetta Rosaspina).
Carcere «Io sono stato arrestato un centinaio di volte all’incirca, quasi sempre fermi di quarantott’ore ciascuno, e in prigione si riflette bene perché si è soli e non ci sono rumori. È in prigione che imparai a mettere il dubbio nel cervello dei carcerieri per renderli nervosi e fargli capire che avevano torto anche verso se stessi. Ed è in prigione che scoprii il sistema di informare la gente che ero stato arrestato, perché è inutile che uno venga arrestato se poi la gente non lo sa. […] Quando mi scarceravano, io mi mettevo dinanzi alla fermata di un autobus o del treno per tornare a casa. E, anche se avevo i soldi per comprare il biglietto, dicevo di non averli. E li chiedevo alla gente in coda spiegando che ero stato arrestato e perché. E la gente si interessava, mi comprava il biglietto. Allora salivo sull’autobus o sul treno e lì continuavo il discorso, facevo una specie di comizio scaldando gli animi dei passeggeri. L’ho fatto per anni. Ovunque andassi dicevo qualcosa e facevo succedere qualcosa» (a Oriana Fallaci).