il Giornale, 24 ottobre 2023
Ali Agca e la pista armena
C’è una pista armena che porta all’attentato a Papa Giovanni Paolo II? Quali sono i legami tra Alì Agca e l’Asala, il terribile esercito armeno ispirato all’ideologia marxista-leninista e fondato nel gennaio 1975 a Beirut in un campo di George Habbas? E perché il Papa era nel mirino? C’è un libro in uscita nei prossimi mesi (ci sono diverse trattative in corso) scritto da Ezio Gavazzeni, scrittore milanese autore tra l’altro del romanzo La furia degli uomini (Mursia) sulle stragi di mafia del ’92-93. Un libro che parte da un misterioso plico spuntato in un armadio all’Archivio centrale di Roma, pieno di documenti che rischiano di riscrivere l’intera storia dell’agguato al Papa. Era il 13 maggio 1981: nessuno ha mai scoperto davvero perché Agca volesse togliere di mezzo il Pontefice polacco che stava sgretolando in silenzio la cortina di ferro. «La verità è nei 175 documenti originali provenienti da ministero dell’Interno, Palazzo Chigi, servizi segreti tra il 1979 e il 1985, che dimostrano come in quel periodo, fino al 1983 l’esercito segreto di liberazione dell’Armenia che operava a Beirut, meglio noto come Asala, minacciava di morte Karol Wojtya – spiega Gavazzeni al Giornale – perché c’era un’organizzazione governo/Vaticano che esfiltrava gli armeni dall’ex Urss, li portava a Roma in pensioni convenzionate (secondo la dicitura del Viminale, ho l’elenco quasi completo), poi venivano portati al consolato Usa, schedati e mandati Oltreoceano». Che le minacce di Asala fossero concrete lo dicono i dispacci che Gavazzeni ci mostra. Si parla dei rapporti tra Asala e Olp, dei legami con l’Unione sovietica («il terrorismo armeno dell’ultimo quarto del XX secolo è principalmente il risultato dell’attività del Kgb sovietico», spiega) e degli attentati di cui si è macchiato: almeno 200 attentati in Europa, compreso l’assassinio il 9 giugno 1977 dell’ambasciatore turco presso la Santa sede fino alla bomba alla vigilia di Natale del 1979 alla pensione Dina di Roma, «una delle pensioni che ospitavano gli armeni» e che sarebbe collegata all’esfiltrazione degli armeni. Il 4 ottobre del 1980 l’Asala fa saltare in aria la sede Alitalia di Madrid, la rivendicazione datata 7 ottobre da Beirut recita: «Questi uffici lavorano per l’emigrazione del nostro popolo armeno dal Medio Oriente (...) il ruolo principale in questo è del governo del Vaticano e del suo partito massone e del governo italiano». C’è un telegramma del ministero degli Interni del 26 agosto 1980 dove il capo cerimoniere della Repubblica, ambasciatore Marcello Guidi scrive: «Seguito contatti per le vie brevi confermasi quanto informato circa minacce contro il santo Padre da parte di gruppi terroristici armeni...». Dunque, le minacce erano concrete. Alla fine del 1980 il ministero dell’Interno invia un telegramma riservato a firma del capo della Polizia Giovanni Rinaldo Coronas in cui conferma l’allarme. E qualche mese dopo l’attentato a Wojtya fonti della polizia ipotizzano «un attentato di matrice armena contro la caserma delle guardie svizzere di via Porta Angelica». Altre carte evocano un possibile sequestro dell’ambasciatore turco presso la Santa Sede in cambio del rilascio di Agca. La diplomazia si muove, spiega Gavazzeni: «C’è una trattativa, viene coinvolto il solito Stefano Giovannone, nome in codice Maestro (che morirà nel 1985, ndr), agente segreto italiano che a Beirut è di casa dal 1946. Ci sarebbe una riunione riservata, ne parla un documento Sismi, si fanno i nomi di Giovannone, di Abu Hol (responsabile sicurezza dell’Olp) legato al numero uno Sismi Ninetto Lugaresi, dell’ambasciatore Franco Lucioli Ottieri e del suo segretario Abu Jafar, si parla dell’operazione Erivan per provare a tener l’Italia fuori dall’offensiva terroristica di Asala». Altri documenti confermerebbero la trattativa, benedetta dall’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani della Democrazia cristiana e controfirmata dall’allora titolare del Viminale Oscar Luigi Scalfaro, che si sublimerebbe nel corso di un convegno dal titolo Colloquio Internazionale di Gerusalemme svoltosi a Roma dal 15 al 17 dicembre 1981 attraverso un fantomatico Yusuf alias Nazareth Garabed Ayanian che si sarebbe mosso anche a Milano. L’accordo si chiude nel 1982 grazie a Giovannone, Asala punta altrove (Francia, Canada, Inghilterra e Stati Uniti) ma ancora il 26 agosto 1983 il Viminale riferisce che un sedicente militante dell’Asala chiamato Terzian avrebbe telefonato all’Ansa di Ankara dicendo in turco «Domenica (28 agosto, ndr) il Papa morrà», e così la sorveglianza su Castelgandolfo dove Wojtya avrebbe dovuto tenere l’Angelus si rafforzano ai massimi livelli. Ma cosa c’entra Agca con gli armeni? Già. Ci sono due piste. Una sfiora il rapimento di Emanuela Orlandi. Durante una telefonata uno degli anonimi carcerieri farà un lapsus freudiano parlando di Asala invece che di Ansa. Un errore? Un depistaggio? «Ho scoperto che Agca nel 1977 si è addestrato a Beirut, nel campo gestito dalla formazione guidata da George Habbash, vale a dire il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, legato a Asala. Al campo di addestramento sarebbe stato accompagnato dalla Turchia via Damasco (e riportato in Turchia) da tale Teslim Tore, istruttore in quel campo e suo amico, anzi suo mentore», spiega Gavazzeni. «Quando aveva 19 anni, Agca disse di essere entrato segretamente in Siria e di essere stato portato in un campo di guerriglia come questo a sud di Beirut sempre da Teslim Tore, noto anche come il Palestinese per i suoi contatti con le organizzazioni di guerriglia marxiste-leniniste palestinesi. Stessa cosa nel 1978 stavolta in un campo di Habbash in Siria». Ma Tore, che si muove spesso tra la Siria e la Bulgaria, è legato a doppio filo ad Asala. «Nel peregrinare in Europa nei due anni precedenti all’attentato, Agca frequenta parecchi armeni e finanziatori di Asala. I Lupi grigi avevano effettivamente preso il controllo della scuola superiore di Agca durante i suoi ultimi due anni lì, Agca era amico di alcuni di loro, ma non ne era mai stato membro». La storia di Teslim Tore, nato anch’egli a Malatya come Agca, merita un approfondimento. Terrorista e contrabbandiere di armi, leader del Partito comunista turco fuorilegge Tpek, il movimento filo-sovietica più estremista, Tore era sfuggito alla cattura dopo l’Operazione Nurhak che ha smantellato l’organizzazione comunisti del Tplo (Operazione di Liberazione del Popolo Turco) che aveva ingaggiato una guerriglia con la Turchia sulle montagne di Adiyaman nel 1971. A loro Tore avrebbe venduto lanciarazzi, missili, fucili automatici e obici di fabbricazione russa, armi che sarebbero arrivate anche in Italia attraverso un canale in Siria gestito dai palestinesi. E così avrebbe portato centinaia di turchi, come Agca, in Libano per addestrarli come terroristi. «È ormai chiaro che pochi mesi dopo quella formazione del dicembre 1977 Agca era sul libro paga segreto di qualcuno – sottolinea Gavazzeni – ci sono registri bancari che dimostrerebbero come a 19 anni un povero studente originario di Malatya era in realtà un membro avido di un’organizzazione clandestina. La prima registrazione, per 40.000 lire turche (circa 2.000 dollari) è stata depositata da qualcuno che affermava di essere Agca, solo che non era la firma di Agca». Intanto l’attentatore del Papa lavora sotto la diretta tutela di Abuzer Ugurlu, un noto «padrino» della mafia turca di casa al consolato bulgaro a Istanbul, si accompagna a tale Oral Celik (legato ai bulgari) e intanto collabora con i Lupi grigi. «Una sorta di copertura – è il ragionamento di Gavazzeni – per indurre anche i terroristi di destra a sostenere obiettivi antioccidentali e anti capitalismo», allo scopo di ostacolare l’influenza dell’Occidente sulla Turchia. «Ma non divenne mai un Lupo grigio», né si unì all’altro movimento di destra fuorilegge guidato sempre dal colonnello Alpaslan Turkes, il Partito d’azione nazionale. «Ma dei suoi rapporti con Tore Agca non parla mai, anzi si contraddice. Al giudice Ferdinando Imposimato dichiarerà di essere andato ad addestrarsi nel campo di George Habbas una volta sola, nel 1978. Invece è andato due volte e sempre favorito dal Teslim Tore prima a Beirut e poi in Siria». Perché mentire? Ultima curiosità. Quando viene fermato, Agca verrà subito identificato come armeno. Sarà lui a dire: «No, sono turco».