la Repubblica, 23 ottobre 2023
L’amore sui benemeriti sedili reclinabili
Molti anni fa mi capitò di acquistare una Giulietta Sprint del 1959, una seconda serie sulla quale il ventunenne Giugiaro, appena assunto dalla carrozzeria Bertone, aveva apportato il restyling che con grande discrezione aveva saputo ringiovanire una berlinetta sportiva che aveva fatto breccia nel cuore degli italiani, compito difficilissimo. Avevo quattro anni non ancora compiuti quando l’Alfa Romeo ne presentò il prototipo al Salone dell’Automobile di Torino del 1954 e ricordo come fosse ieri l’impressione che mi fecero le due Giuliette, una rossa e una azzurra, nei pressi del castello del Valentino. Mio padre ne ordinò subito una, da Milano eravamo andati lì apposta. Per averla fu poi costretto ad aspettare più di sei mesi e questa consegna che non arrivava mai snervava molto più me che lui. Finalmente lo chiamarono dal Portello per andare a ritirarla. Mi portò con lui, unico dei cinque figli con la sua stessa passione per le automobili e uscimmo felici dalla fabbrica con una smagliante Sprint azzurro Iseo che profumava di gomma e di benzina. Non fu l’unica Giulietta in famiglia. Agli inizi del 1959 fu sostituita da un’altra bianco Gardenia che purtroppo mio padre non potette godersi poiché nella primavera di quello stesso anno morì in uno schianto aereo.
La Giulietta fu venduta e al dolore per la morte di mio padre si sommò la perdita dell’auto che aveva realizzato la nostra amicizia, dato che quando eravamo soli e non c’era mia madre a protestare, mi faceva montare sulle sue ginocchia e “guidare” addirittura facendomi cambiare le marce, dato che sulla prima serie il comando era al volante anziché sul tunnel centrale.
Agli inizi degli anni 80 mi capitò di trovarne una in buone condizioni – la pagai 2 milioni di lire e oggi varrebbe minimo 50.000 euro! – e la tenni a lungo come macchina di tutti i giorni finché non mi fu rubata nel 1988. Ma non è di questa successione di traumi che volevo parlare bensì di una curiosità di cui mi accorsi solo verso sera, quando spegnendo il motore e aprendo la portiera, l’abitacolo fu investito da una morbida colorazione purpurea di cui non m’ero reso conto finché c’era il sole. Stranamente le due luci di cortesia ai lati dell’abitacolo diffondevano una calda atmosfera da night-club o, se preferite, da allusiva garçonnière. Smontai la plastica bianca e scoprii che all’interno qualcuno dei numerosi precedenti proprietari l’aveva foderata con la carta trasparente vermiglia delle caramelle Rossana, evidentemente rivelatesi la più adatta alla bisogna. Quella tenue luce da alcova doveva aver propiziato amori furiosi e forse clandestini, parcheggiata la macchina in qualche compiacente luogo oscuro ai tempi in cui non c’erano balordi in giro, teppistelli o guardoni in fregola, e questa carriera paraninfa della Giulietta color Blu Tornado me la rese ancor più simpatica e affettuosamente vicina. Provai a ricostruire, almanaccando sulla sfilza di proprietari che aveva avuto e le date di nascita, su chi fosse l’ingegnoso “direttore di quella fotografia” che s’era inventato come creare all’interno della berlinetta milaneseun’ovattata e trasgressiva atmosfera fassbinderiana (Xaver Schwarzenberger, l’operatore dei suoi ultimi film, era speciale nel combinare in una stessa inquadratura ghiacciate gelatine blu con sgargianti viscerali gelatine scarlatte) ma senza mai venirne a capo.
Il ricordo della Giulietta rapita mi ha fatto riflettere su quanto sia stato importante l’avvento dell’automobile per l’amore o il sesso, a come abbia accolto teneri amanti o sfoghi rabbiosi, cattiverie e dolcezze, staccando la spina al mondo e proiettando il cielo in una stanza o, meglio, in un abitacolo infuocato da sussurri e grida. Da qualche parte ho letto che ci fu in Italia un sensibile incremento delle nascite a partire da nove mesi dopo che la Fiat ebbe introdotto sulle 600 e 500 (dal 1960 in poi) i benemeriti sedili reclinabili poi trasmigrati anche nei segmenti superiori. Se la prima azienda a predisporli di serie era stata l’americana Nash col modello Ambassador Airflyte, rallegra che la Fiat ne sia stata in Europa l’antesignana.
Italians do it better, in tutti isensi.