Corriere della Sera, 23 ottobre 2023
Il grande amore di Edith Bruck
Quando si sono conosciuti, la primavera non si vedeva da decenni. La stagione del loro amore inizia nell’autunno più lungo e cupo dell’Europa, tra le macerie morali e materiali del secondo Dopoguerra. E forse, proprio per questo, quell’incontro era già destinato a durare sessant’anni e a sopravvivere ancora oggi, intenso e vivo nonostante la scomparsa di lui, nel 2015. «In autunno si guarda il cielo» scriveva il filosofo Søren Kierkegaard «in primavera la terra». Edith Bruck e Nelo Risi erano a Roma, la sera in cui si sono trovati per la prima volta a scrutare il mondo dallo stesso davanzale, dal quale non riusciranno più a separarsi.
Intorno a loro imperversava il clima di attesa degli Anni ’60, la speranza di una leggerezza intrecciata all’impegno civile che nel loro entourage aveva i volti di Franco Solinas, Gillo Pontecorvo e soprattutto quello di Ugo Casiraghi, critico cinematografico dell’Unità, che li ha presentati a una conferenza tra documentaristi che si erano occupati della Cina di Mao, tra i quali Nelo Risi. «L’ho visto e ho detto: è lui che voglio. Voglio lui, solo lui», confessa al telefono Edith Bruck, oggi novantaduenne, dall’appartamento che ha condiviso con quel giovanile coup de foudre, «la cosa più bella che mi potesse capitare nella vita».
Alla cena che segue all’evento, in un ristorante in via delle Carrozze, si siedono l’uno di fronte all’altra. Lei, ebrea ungherese, sopravvissuta a sei campi di concentramento dove ha perso genitori e altri familiari, scrittrice alla ricerca di parole per dare forma al suo tragico vissuto. Lui, documentarista e regista milanese, laureato in Medicina, partecipe da sergente nell’esercito italiano in Russia, poeta per scelta e ricordo, di un papà perso da piccolo in guerra, e che rivedeva nei versi di Giuseppe Ungaretti.
Sostegno reciproco
Per tutta la vita mi ha trasmesso una fiducia immensa, illimitata, mi chiamava “fenomeno”
Due abissi solitari che stanno affrontando la stessa «grande prova», come la chiama Patrizia Cavalli: «essere testimoni di sé stessi/ sempre in propria compagnia». Entrambi ambasciatori inascoltati del e dal loro tempo, cenarono a quel tavolo con la stessa fame: raccontarsi fino in fondo. «Fino al nostro incontro non mi aveva ascoltato mai nessuno. Neppure i miei familiari scampati alla persecuzione» scrive Bruck nella commovente lettera «Ti lascio dormire» (La nave di Teseo, 2019), scritta dopo la perdita del marito.
Fin dall’inizio vivono un amore che li trasforma in testimoni dei reciproci sé stessi, in interlocutori affettuosi e attenti delle rispettive memorie, che attraversano il loro lungo sodalizio artistico. Lei, con la prosa e il giornalismo testimone di una bellezza lacerata, lui con fotogrammi e versi portavoce di una bellezza immaginata. Si ripresentano così alla società che non li aveva ancora capiti: a partire dal film Andremo in città (1966) girato da Nelo Risi e tratto dal primo libro di Edith Bruck. «Quando l’ho finito, l’ho fatto leggere a un amico, ma non a Nelo. Lo amavo troppo, temevo il suo giudizio. Pensavo: dirà che è scritto male. Insomma, avevo pudore. Poi l’ha letto, ha voluto farne un film. E per tutta la vita mi ha trasmesso una fiducia immensa, illimitata. Mi chiamava “fenomeno”, diceva che sapevo fare tutto e mi ha sempre spinta a fare tutto: scrittura, giornalismo, cinema, tv».
Entrare nel mondo di Risi voleva dire anche aprirsi alla sua Milano, dov’era cresciuto, abbandonarsi alle strade, agli angoli «dove sono sempre stati i suoi ricordi, la sua casa, i suoi amici, Eugenio Montale, Elio Vittorini, Vittorio Sereni, che incontravamo tutte le volte che tornavamo, spesso. Ricordo con nostalgia il fermento culturale».
Hanno attraversato i cenacoli, i teatri e le vie di Roma e Milano, infervorati dallo stesso impegno sociale, dalla fede granitica nel recuperare un minimo di giustizia nel mondo, senza mai perdere il filo della storia. Di questo parlerà Edith Bruck nella conversazione con Antonio Scurati, Gianni Canova e Giulio Bursi, introdotta da Ferruccio de Bortoli e Andrea Martinelli e organizzata da Fondazione AEM e Fondazione Corriere della Sera, Il futuro ha radici nella memoria. Edith Bruck ricorda il marito Nelo Risi e la loro Milano. «Per me esiste un solo tempo. Passato, presente e futuro sono interdipendenti. Solo così possiamo aprirci a uno sguardo più ampio e capire che ogni vita è preziosa: non ci sono specie, né esistenze privilegiate» anticipa Bruck. «Però la mia vita ha ricevuto un grande privilegio: conoscere un uomo come Nelo».