La Stampa, 22 ottobre 2023
Intervista a Uto Ughi
Grande artista e uomo di carattere, Uto Ughi. Il maestro, considerato uno dei massimi esponenti della scuola violinistica italiana, ha calcato i più importanti palcoscenici del mondo. Più di settant’anni passati tenendo in mano l’archetto, visto che a soli sette anni si esibiva al Teatro Lirico di Milano. Proprio per questo ha deciso di mettersi in gioco in prima persona dando vita alla Fondazione a lui intitolata. «Dopo tanti anni di carriera sentivo che era il momento di condividere la mia esperienza e trasmettere le mie competenze attraverso un solido e duraturo progetto culturale».Quanto è importante la cultura musicale?«Secondo Zoltán Kodály, se si vuole una comunità formata da esseri umani completi, l’educazione alla musica deve iniziare molto presto, addirittura nove mesi prima della nascita del bambino. Questo perché l’ascolto di brani classici può produrre impressioni che dureranno tutta la vita. Sono assolutamente d’accordo. Non c’è dubbio che l’educazione all’ascolto o alla visione delle belle arti dia ai giovani un’impressione duratura, che li orienta positivamente per la vita».Come vede la situazione in Italia?«Il nostro Paese è storicamente depositario di un patrimonio musicale unico al mondo e oggi è più che mai stridente la contraddizione con la scarsa cultura musicale dei suoi cittadini. Siamo il Paese con il maggior numero di Conservatori di Musica Statali, circa 80, ma allo stesso tempo con il minor numero di orchestre giovanili. Abbiamo chiuso anche tre delle quattro orchestre nazionali Rai senza che l’opinione pubblica abbia battuto ciglio. Questo è grave. All’estero succede esattamente il contrario, come ad esempio in Germania».A un anno dal governo Meloni, quanto è stato fatto in campo culturale?«Non molto in verità e per la musica quasi niente. Però è presto per dare giudizi. Come ha detto la stessa premier: “non posso fare tutto in un anno, lasciatemi cinque anni di tempo e vedrete che ci saranno risultati”. Quindi occorre dare a chi ci governa il giusto spazio. Io sono fiducioso, siccome credo sia una persona intelligente, qualcosa farà».Stiamo vivendo un momento tragico, con conflitti in due paesi con importante tradizione e cultura musicale.«Ho suonato varie volte a Mosca e anche a Kiev, è una situazione che mi angoscia profondamente. Credo non abbia senso un embargo alla cultura russa, si è arrivati a dire che Dostoevskij non doveva essere insegnato nelle scuole. È una sciocchezza enorme, perché se c’era uno che amava la pace ed era un grande estimatore della bellezza, era proprio lui. Voler cancellare la cultura per una guerra stupida, perché in fondo è una guerra inutile in quanto non ci saranno vincitori, è grottesco. Anche quello che sta succedendo in Israele è tragico e inutile, finché non si riuscirà a stabilire una soluzione intelligente, cosa che ha detto molte volte il grande maestro israeliano Daniel Barenboim, finché non si cercherà di venire incontro gli uni con gli altri, non ci sarà mai la pace».Quanto può incidere la musica nel processo di pace?«La musica è un forte veicolo di unione perché è un’arte che non ha bisogno della parola. La musica è diretta e può fare moltissimo. Mi auguro che i conflitti si risolvano al più presto perché potrebbe essere una catastrofe per l’umanità»