Corriere della Sera, 22 ottobre 2023
Gli 80 anni di Deneuve
La sua grandezza come attrice non ha bisogno di conferme. Solo gli Oscar sembrano non volerla riconoscere (una striminzita nomination nel 1993, per Indocina), ma evidentemente al di là dell’Atlantico si fa molta fatica ad accettare l’altra sua grande qualità – oltre alla bravura: l’anticonformismo che va sottobraccio alla libertà.
Quale altra grande star avrebbe avuto il coraggio di ironizzare sul suo ruolo e la sua statura divistica come ha fatto interpretando nel 2019 Fabienne in Le verità di Kore-eda, dove dà una coraggiosa spallata ad ogni pretesa di correttezza rivendicando egoismo, doppiezze e anche le bugie come elementi indispensabili per diventare una grande attrice. Senza dimenticare l’appello pubblicato su Le Monde il 9 gennaio 2018, prima firmataria di un centinaio di donne, dove si metteva in gioco per contrastare l’ondata di moralismo che aveva seguito l’esplosione del #metoo: «Noi difendiamo la libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale» si intitolava l’intervento, che cominciava con «lo stupro è un crimine. Ma rimorchiare in maniera insistente o imbarazzante non è un delitto, né la galanteria un’aggressione machista».
Era l’ennesima prova di una vita vissuta fino in fondo a testa alta (già nel 1971 si era accusata pubblicamente con altre donne di aver abortito per spingere il governo a legalizzarlo), senza vergognarsi delle proprie passioni e senza paura per le proprie convinzioni, accettando ruoli che avrebbero fatto impallidire ogni sostenitore del politically correct.
Anche per questo Catherine Deneuve, che oggi compie ottant’anni, si è conquistata un posto a parte non soltanto nel cinema ma anche nel mondo della cultura e dell’impegno sociale, capace di ispirare Yves Saint Laurent come Buñuel, Coco Chanel come Polanski o Truffaut, in prima linea nel difendere i diritti dei più deboli (ha sostenuto Amnesty International per l’abolizione della pena di morte, ma ha lasciato l’Unesco e il ruolo di «ambasciatrice di buona volontà» per protestare contro una nomina discutibile; ha difeso Cuba contro Castro e la Cia l’aveva accusata di aver aiutato finanziariamente i disertori del Vietnam), definitivamente incoronata come icona nazionale quando nel 1985 fu scelta per impersonare la Marianna repubblicana.
Ben conscia della differenza che esiste – per usare le sue parole – tra «voler essere guardata» e «subire lo sguardo degli altri» (ragion per cui si è sempre tenuta lontano dal teatro) ha messo a punto una recitazione minimalista: fare meno piuttosto che fare troppo, cercando le giuste sfumature, certa che un’occhiata può essere più significativa di una battuta. Come aveva capito Buñuel, che in Bella di giorno le regalò uno dei più celebri ruoli della sua carriera, la misteriosa Séverine, moglie insoddisfatta che si ribella alle convenzioni borghesi prostituendosi ogni pomeriggio per dar sfogo alle sue fantasie, senza che mai lo spettatore possa vedere alcunché.
I ruoli che ha interpretato si avvicinano a 150 e la sua carriera non sembra volersi fermare, anche perché non la sfiora la paura di mostrare come gli anni abbiano modificato la sua bellezza di un tempo: è appena stata Bernadette, la moglie di Chirac (adesso sugli schermi francesi) e sta per girare un film con la figlia Chiara in ricordo di Marcello Mastroianni.
E proprio per questo nella memoria si accavallano film diversissimi e lontanissimi tra di loro: era fragile e infelice a ventun anni in Les Parapluies de Cherburg e diciannove anni dopo era una vampira che si concedeva conquiste lesbiche in Miriam si sveglia a mezzanotte, era una sessuofoba che scivola nella follia in Repulsion e moglie tentata dal tradimento in L’ultimo metrò, non ha problemi a mostrarsi senza veli ultracinquantenne in Pola X e a fare la «schiava dell’uomo» in La cagna, chiamata dai grandissimi ma disposta a credere anche negli esordienti. In nome di una passione per il cinema senza età e senza confini.