Corriere della Sera, 22 ottobre 2023
Cosa attende Israele dentro la Striscia
«Kadima», avanti: a un certo punto – stanotte, domani, tra una settimana, non sappiamo – l’ordine arriverà. E sarà tutta una nuova guerra. Non le bombe delle artiglierie, non i colpi chirurgici dei droni o i raid aerei, ma l’avanzata della fanteria, il procedere delle pattuglie armate di fucili e bombe a mano che dovranno scovare i nidi di resistenza, individuare l’entrata dei tunnel, eliminare i cecchini, cercare se possibile gli ostaggi (o i loro cadaveri), penetrare i centri comando di Hamas. L’incubo di ogni esercito, l’orrore degli ufficiali, la paura dei soldati. Perché a questo punto Hamas utilizzerà tutte le tecniche della guerriglia che ha studiato con cura negli ultimi anni, pescando tra l’altro a piene mani dall’esperienza dell’Hezbollah libanese, per infliggere il massimo delle perdite. Suo punto di forza non è solo il controllo del territorio, il sistema di fortificazioni e gallerie che ha scavato dal 2006 nei dedali angusti di viuzze tra le zone urbane sovrappopolate della «Striscia della disperazione» in cui ha accumulato riserve di munizioni, cibo e acqua, ma si rivela soprattutto la volontà di morire dei suoi miliziani.
L’arsenale dei terroristi
Diciamolo francamente: le armi di cui Hamas dispone sono inferiori a quelle degli israeliani. Due giorni fa i portavoce militari ci hanno invitato a visitare una base alle porte di Gaza dove avevano accumulato i materiali ritrovati addosso ai commando che il 7 ottobre hanno invaso le aree a ridosso della Striscia e compiuto lo scempio dei civili. C’erano mine artigianali, esplosivi da gettare nelle case, rpg di fabbricazione sovietica degli anni Settanta, vecchi Kalashnikov e mitra israeliani comprati sul mercato nero. In poche parole: niente di strabiliante.
Di conseguenza, l’elemento umano resta fondamentale, specie nella guerriglia urbana. Tutti gli esperti paragonano oggi la sfida per Gaza alle battaglie contro Isis a Mosul e Raqqa negli anni scorsi. Noi possiamo aggiungere quelle per Sirte nel 2016, oppure lo scontro a Kobane tra curdi e Isis nel 2014. Nel marzo 2022 Putin ordinò la ritirata delle sue colonne corazzate dalla regione di Kiev, quando si rese conto che c’erano centinaia di migliaia di cittadini pronti a resistere nella capitale ucraina: si armavano, costruivano barricate e bottiglie molotov. Nelle scuole di strategia militare s’insegna che il rapporto tra invasori e invasi deve essere 7 a 1 per sperare in qualche successo nelle zone edificate e comunque il costo in termine di morti e feriti sarà sempre molto alto. Oggi si stima che i combattenti di Hamas siano tra 30.000 e 40.000, oltre a 15.000 della Jihad islamica. Tutti giovani che conoscono quei vicoli come le loro tasche: ci sono nati e cresciuti, non hanno mai potuto uscire a causa dei divieti israeliani ed egiziani.
«I jihadisti vogliono diventare martiri. Per loro è una vergogna non morire in battaglia. Combattere contro nemici di questa fatta diventa un incubo. Quando sono feriti si mettono una bomba a mano sotto la divisa e attendono che noi ci si avvicini per farsi saltare in aria», ci hanno sempre detto i soldati in quei campi di battaglia. Lo stesso vale a Gaza.
Il territorio, lo scenario
Va aggiunto però che qui gli israeliani hanno una profonda conoscenza del territorio, lo controllavano con i «boots on the ground» sino al 2005 e allora la presenza di quasi 15.000 coloni ebrei li obbligava a una sorveglianza continua. La novità più inquietante sono i tunnel. Alcuni pare siano lunghi anche chilometri e la maggioranza è stata scavata negli ultimi anni. Secondo gli abitanti israeliani di Kfar Aza, uno dei kibbutz massacrati, due tunnel lunghi oltre 3 chilometri finivano addirittura nei loro giardini. Gli israeliani li irroreranno con i gas, ma i palestinesi dispongono di maschere con i filtri.
Se poi i comandanti di Hamas decidessero che è meglio smettere di combattere per evitare di essere tutti uccisi i loro uomini hanno predisposto vie di fuga: sono civili, possono mischiarsi tra le loro famiglie, nascondersi nei campi profughi. Il famoso detto di Mao sui guerriglieri elusivi come «pesci nell’acqua» vale più che mai a Gaza.