Domenicale, 22 ottobre 2023
Rodin innamorato delle danzatrici d’Oriente
Fra i 50 milioni di visitatori che affollarono la faraonica Esposizione Universale con cui Parigi, nel 1900, salutava il nuovo secolo, ci fu – certo più d’una volta – lo scultore Auguste Rodin: 60 anni, all’apice della fama, appassionato di danza e amico di danzatrici sperimentali come Loïe Fuller e Isadora Duncan, con i loro veli impalpabili, e di Adorée Villany, che invece danzava nuda, nonché dell’idolatrato ballerino e coreografo dei Ballets Russes Vaslav Nijinski, Rodin (1840-1917) fu sedotto soprattutto dalle danzatrici giunte all’Expo dal Sud Est asiatico e dall’Estremo Oriente, che gli offrivano un modello di dinamismo del corpo umano del tutto inedito rispetto ai passi codificati e rigorosi della danza classica così cara a Degas.
Lui che era innamorato – non solo artisticamente – del corpo femminile, com’è testimoniato dai suoi innumerevoli disegni di esplicito erotismo, era da sempre ossessionato dalla volontà di rendere il movimento di quei corpi e nel 1911, rievocando le coreografie esotiche viste all’Expo e più ancora, quelle delle danzatrici del re cambogiano Sisowath, che lo avevano ammaliato nel 1906 a Parigi e poi all’Esposizione Coloniale di Marsiglia, creò la serie di piccole sculture di terracotta dei Movimenti di danza, tanto sperimentali da non volerle mai esporre. Sono quelle che ora, nell’allestimento di DotDotDot, costituiscono, con un nucleo di splendidi disegni, il cuore della mostra «Rodin e la danza», realizzata da 24 Ore Cultura con il Musée Rodin di Parigi e presentata dal Mudec di Milano dal 25 ottobre al 10 marzo prossimo (catalogo Edizioni 24 Ore Cultura, pagg. 186, € 29).
Sperimentale anch’essa, la mostra (curata nella sezione maggiore da Aude Chevalier) affonda verticalmente nella produzione del maestro francese puntando sul solo tema della danza, così come lui lo affrontò in queste 15 sculturine (tutte da Parigi fuorché una, della Gnam di Roma) e nei disegni cui si collegano, ma poi si dilata nel tempo grazie all’analisi antropologica condotta da Cristiana Natali sulle danze cambogiane (miracolosamente sopravvissute sino a oggi al genocidio della classe intellettuale perpetrato nel Novecento dai Khmer Rossi di Pol Pot), illustrate da esemplari delle collezioni etnografiche del Mudec, del Museo delle Civiltà di Roma (i rari reperti khmer dell’XI-XIII secolo) e di altre raccolte. Per giungere infine, con Elena Cervellati, all’eredità lasciata dalle sculture più celebri di Rodin (Donna accovacciata, L’età del bronzo, L’uomo che cammina e altre ancora, tutte innervate da un’energia muscolare tesa e potente) alla danza del secondo Novecento, suggerendo inedite coreografie a tante figure di prim’ordine di questa disciplina.