Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 22 Domenica calendario

Storia del Vittoriano


VITTORIANO, SINTESI DELL’italiaRoma. Una rassegna spiega la scelta di Angelo Zanelli per la decorazione, la sua invenzione allegorica eterna e il riscatto del gigantesco monumento romano, salvato da tre PresidentiValerio TerraroliIconica.  Angelo Zanelli, modello della Dea Roma in creta (particolare), 1923, Brescia, Musei Civici La strategica collocazione nel cuore pulsante della storia di Roma fa del Monumento a Vittorio Emanuele II, comunemente noto come Vittoriano, un nodo nevralgico e ineludibile non solo della città, ma anche del nostro concetto di monumento, e ancor più di monumento celebrativo, che nel corso del suo secolo e poco più di vita ha subito alterne fortune: dalle esaltazioni retoriche più insopportabili alle critiche più feroci; da una sorta di damnatio memoriae, negli anni 70, che arrivò ad auspicarne il trasferimento in un altro luogo o la demolizione parziale e la sua trasformazione in una sorta di nostalgica rovina, al recupero, sostenuto dai presidenti della Repubblica Ciampi, Napolitano e Mattarella, del monumento come simbolo dell’unità nazionale e dei valori della Costituzione repubblicana. Con la distanza temporale e culturale che ci separa dagli eventi che concorsero alla nascita e allo sviluppo del Vittoriano, ma anche dalle diverse attribuzioni di valore di cui il complesso monumentale è stato oggetto, possiamo ragionare criticamente sul significato di quel gigantesco manufatto che domina la città. In modo particolare ora in occasione dell’appena concluso restauro dell’ampio fregio del sotto basamento della statua equestre di Vittorio Emanuele II, diretto da Edith Gabrielli, direttrice generale del VIVE Vittoriano e Palazzo Venezia, e della mostra dedicata a quello che correttamente viene individuato come Altare della Patria: sintesi simbolica della nazione nata dalle guerre d’indipendenza, ulteriormente sacralizzata dalla collocazione della salma del Milite Ignoto (1921) al disotto della figura della Dea Roma che è il vero e proprio perno iconico e significante dell’intero complesso monumentale del Vittoriano. Autore di quell’imponente altorilievo in marmo di Botticino fu Angelo Zanelli, un giovane scultore di origine bresciana, dal notevole talento che vinse nel 1909, a pari merito con il toscano Arturo Dazzi, il concorso nazionale per la decorazione plastica dello spazio sottostante la statua del Re.
La decisione di mettere a confronto l’invenzione più dichiaratamente storicista ed eclettica di Dazzi con quella compiutamente simbolista e allegorica di Zanelli, restituisce la temperatura del dibattito sulla questione di che cosa dovesse rappresentare il fregio e del come dovesse essere raffigurato: da un lato, si sentiva il dovere di concludere armonicamente l’apparato decorativo del monumento entro la cornice di un grandioso classicismo eclettico, ma dall’altro si sentiva l’improcrastinabile necessità di dar vita a un’immagine forte, contemporanea, nuova, delle fondamenta valoriali dello Stato nato dall’epopea risorgimentale, spostando, quindi, l’obiettivo dal racconto storico a un’invenzione allegorica senza tempo, appunto eterna. Nei due anni successivi i due bozzetti vennero tradotti in scala 1:1 e gli altorilievi in gesso furono montati, alternativamente nel corso del 1911, su appositi binari a ridosso del muro del sotto basamento per poterli giudicare in quello che sarebbe stato, per ognuno dei due progetti, il contesto architettonico definitivo. Nel 1911, celebrando il cinquantenario dell’Unità d’Italia, si individuò nell’inaugurazione del Vittoriano il rito collettivo per eccellenza, il momento catartico in cui, al di là degli aspetti cerimoniali e retorici, la nazione si sarebbe identificata nei propri simboli: dal disvelamento della statua equestre del Re, raffigurato in modo realistico mentre incede, trionfalmente, nella Città Eterna, al fregio sottostante (quello di Zanelli) con i cortei raffiguranti, a sinistra, il Lavoro che vivifica e feconda e, a destra, il Valor Patrio che pugna e vince che omaggiavano una Roma “moderna”, contemporaneamente Athena Parthenos e Italia personificata. La vittoria fu plebiscitariamente assegnata ad Angelo Zanelli, al quale venne affidata la realizzazione in marmo, avviata nel 1912 per sostituire via via il modello in gesso ormai illeggibile, ma che ebbe termine solo dopo la Prima guerra mondiale.
L’esito finale, rispetto al modello del 1911, rivela un evidente mutamento stilistico dello scultore che, liberandosi definitivamente dei preziosismi decorativi di una “grecità secessionista”, sceglie la strada del neomichelangiolismo, evidente nelle definizioni anatomiche possenti, aggettanti, non naturalistiche certo, ma caratterizzate da quella essenzialità plastica, titanica e primitiva insieme, che si riconosce nelle contemporanee opere di Émile-Antoine Bourdelle e, soprattutto, di Ivan Meštrovi?. Nei dettagli dei volti, dagli occhi sgusciati e vagamente orientaleggianti, nei tagli netti dei profili e nell’euritmia delle silhouette sovrapponibili di figure, di volti, di cavalli e di trombe trionfali che il restauro ha reso perfettamente leggibili, si percepisce in modo chiaro la metamorfosi stilistica del fregio: dalla grammatica secessionista al lessico secco e tagliente del Déco.
Nel 1925 una Dea Roma titanica e ieratica viene collocata nella nicchia centrale, sopra la tomba del Milite Ignoto, divenendo, in sostanza, l’atto conclusivo dell’allestimento decorativo e simbolico dell’Altare della Patria e dell’intero Vittoriano. La sua iconografia, che riprendeva il modello dell’Athena fidiaca, rappresenta il mito antico filtrato attraverso un classicismo dapprima (1911) emerso attraverso i grafismi eleganti della Secessione e, nella versione definitiva, fattosi sontuoso e solenne anche per l’imponenza religiosa del suo presentarsi.
Alla convergenza dei due cortei che, al di là di ogni cascame retorico, rappresentano il valore del lavoro e della vita che si sviluppano in un Paese pacificato e libero, e il valore patrio che lo difende, non in senso nazionalistico, ma dove patria, come l’Heimat di Goethe, è intesa quale tessuto etico-sentimentale della comunità, la Dea Roma assume il ruolo di custode e protettrice della memoria comune e dei valori di libertà e unità conquistate, di pace e di fratellanza.