Domenicale, 22 ottobre 2023
Manzoni era un Verri anche da parte di madre
era manzoni o alessandro verri-verri?(Ri)scoperte. Torna in libreria un saggio del bibliofilo Pier Carlo Masini che contiene un’ipotesi (o forse ben di più) clamorosa sui (veri) genitori dello scrittoreAndrea Tomasetiggetty images ll monumento. La statua in bronzo di Alessandro Manzoni scolpita da Francesco Barzaghi nel 1883, Milano, piazza San Fedele I 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, avvenuta il 22 maggio 1873, sono stati ricordati con mostre, spettacoli, articoli e libri. L’anniversario è l’occasione per ripensare lo scrittore italiano per antonomasia, che generazioni di italiani hanno letto e studiato a scuola e continueranno a farlo. Può essere anche l’occasione per indagare meglio la sua complessa biografia e riproporre una sorprendente scoperta fatta da Pier Carlo Masini, storico e bibliofilo di valore, nell’ormai lontano 1996 e rimasta da allora sottotraccia. L’autore (1923-1998) è il riconosciuto storico dell’anarchismo e del primo socialismo, ma anche lo scopritore di importanti archivi, carteggi, rarità librarie e negli ultimi suoi anni un notevole bibliofilo, da sempre appassionato alla letteratura e alla cultura otto-novecentesca. Nel biennio 1996-97, a seguito dell’acquisizione da fonti diverse sul mercato antiquario di tre opere, pubblica in elegante tiratura limitata a 500 esemplari fuori commercio tre volumetti presso le edizioni Biblioteca Franco Serantini di Pisa: Manzoni; Alfieri; Porta. Sono i primi e ultimi tre titoli della Collana “Perduti e ritrovati”, da lui ideata, da tempo esauriti. Più che tre saggi sono tre gialli letterari, che si leggono d’un fiato e che affascinano in quanto veri “casi risolti” da un detective bibliofilo.
Torniamo a Manzoni. Tutto inizia – sembra il classico avvio di un romanzo di genere – con l’acquisto da parte di Masini di «un manoscritto stretto in una vecchia pergamena riadattata, con macchie e tracce di usura, su cui è apposto, a penna, un titolo un po’ stinto: Memorie riservate manzoniane del dottor Innocenzo Ratti». All’interno, al frontespizio, si legge che sono state raccolte dal prevosto di San Fedele in Milano don Giulio Ratti dal 1831 al 1869 parroco del Manzoni, ordinate e completate dal dottor Innocenzo Ratti, suo fratello. Anni 1872-78-79. Il manoscritto girava sulla piazza milanese fin dagli anni 50 con la nomea di essere un falso. Il colpo di genio di Masini è stato, sulla spinta della sua innata curiosità intellettuale, di acquistarlo e di studiarlo a fondo. Così ha scoperto non solo il probabile autore del falso, Nino Bazzetta de Vemenia (1880-1951), giornalista e scrittore mondano imparentato con la famiglia Ratti, ma soprattutto che un manoscritto falso può contenere anche notizie vere, una in particolare e clamorosa.
Quella che Alessandro Manzoni non solo non è figlio di Pietro Manzoni bensì di Giovanni Verri (cosa peraltro già nota in ambienti molto ristretti), ma che non è neppure nipote di Cesare Beccaria, bensì nientemeno che di Pietro Verri, amante allora di Teresa Blasco, giovane moglie di Cesare, con cui concepisce Giulia Beccaria. Teresa Blasco è una protagonista delle cronache milanesi del tempo. Masini ricostruisce con puntiglio tutti i tasselli e arriva a una conclusione dirompente. «L’ipotesi, affacciata qui per la prima volta e comunque mai affiorata nella memorialistica manzoniana, configurerebbe nella dinastia Manzoni-Verri-Beccaria una situazione per cui Pietro Verri sarebbe nonno e zio di Alessandro, Giovanni Verri avrebbe avuto il figlio naturale da Giulia, sua nipote e amante, Alessandro Manzoni Beccaria non sarebbe né un Manzoni né un Beccaria, ma un Verri per parte di padre e di madre, frutto di un rischioso rapporto tra consanguinei».
È una conclusione clamorosa – e non senza conseguenze psicologiche sul giovane Alessandro che di una parte, solo una parte, della vicenda viene presto a conoscenza dalla madre Giulia – documentata con ricerche approfondite e riscontri inediti nel contesto di un potente affresco della Milano illuminista e libertina del secondo Settecento. Il brillante saggio di Masini, percorso da una vena di sapiente ironia, prende in esame con rigore anche altri aneddoti contenuti nel manoscritto apocrifo, delineando con mano sicura un acuto e non convenzionale ritratto dello scrittore e della sua opera.
È stato naturale per lui, una volta pubblicato il testo, affidarmi come libraio antiquario e amico il manoscritto per una collocazione. Incarico portato a termine, non prima di aver comunicato la vicenda alle principali testate milanesi. Significativo tra tutti è il commento di Giancarlo Vigorelli, all’epoca autorevole presidente del Centro nazionale di studi manzoniani, intervistato da Piero Lotito sul «Giorno» (10 ottobre 1996): «Tutto ciò che dice Masini è detto in modo serio. Lui è stato con i documenti in mano, non si possono non accettare le sue conclusioni. In mezzo a tanti fagotti in circolazione, ha tirato fuori le cose che persuadono di più».
Perché da allora è calato il silenzio sulla vicenda, oggi di fatto ignorata? A causa della scarsa circolazione dell’edizione pisana, dei titoli banalmente scandalistici e fuorvianti dati agli articoli, oppure del sotterraneo timore reverenziale di “sporcare” la figura dello scrittore? Quali che siano i motivi è giunto il momento di fare i conti con il volumetto. A maggior ragione dopo gli ulteriori studi fatti dall’autore nei due anni successivi. Nell’ottobre 1998 Pier Carlo mi aveva invitato a Bergamo per illustrare le nuove conferme, ben «settanta integrazioni al testo originario», ma non fece in tempo.
Le opere letterarie e artistiche non si giudicano dalla biografia dell’autore, né la biografia si scrive spiando dal buco della serratura. Detto questo è innegabile che la biografia si intreccia all’opera e contribuisce a comprenderla. I “libelli” hanno il loro destino. L’augurio è che quello di Pier Carlo Masini rinasca a una seconda vita e che l’anniversario in corso sia l’occasione per rileggere la biografia di Manzoni in una chiave più problematica, meno ingessata e a noi più “vicina”. Oltretutto, come mi disse una volta l’amico con ironia tutta toscana, il miglior inedito è l’edito. Da parte mia aggiungo il pertinente aforisma di Oscar Wilde: «Chi dice la verità prima o poi viene scoperto».