Domenicale, 22 ottobre 2023
Arriva il nuovo Zingarelli
Come ogni anno, la redazione zanichelliana del vocabolario Zingarelli (che deve il suo nome al Nicola Zingarelli filologo e linguista pugliese, che lo varò più di un secolo fa) ha reso note le parole che entrano nell’edizione cartacea e digitale dello Zingarelli 2024. E come ogni anno, nell’elenco dei nuovi arrivi echeggia tipicamente l’attualità più calda, con il suo portato di parole che fino a ieri non esistevano, o quasi nessuno usava, e oggi corrono quotidianamente sulla bocca – o sulla timeline – di tutti.
Guerre, pandemie e altre catastrofi varie sono naturalmente protagoniste di quest’annuale giostra lessicale, cossicché non stupisce troppo veder entrare quest’anno nel vocabolario più diffuso sui banchi di scuola varie voci legate allo scenario del conflitto ucraino (mentre non ha fatto in tempo ad entrare qui la nuova tragedia della crisi di Gaza).
Ecco dunque l’aggettivo putiniano (ma davvero valeva la pena di… vocabolarizzarlo?), la denominazione amministrativa oblast, a cui ci siamo abituati un po’ tutti, o addirittura una parola più enciclopedica che lessicografica come Holodomor (lo «sterminio per fame perpetrato dal regime sovietico nei confronti della popolazione ucraina nel 1932-33»). Non mancano nemmeno l’eco-ansia, «che descrive il timore delle possibili conseguenze di disastri ambientali legati all’emergenza climatica» e, tra gli anglicismi (o pseudo-anglicismi) ormai accolti generosamente, il plogging, «pratica consistente nel raccogliere rifiuti lungo il percorso mentre si sta facendo jogging».
Va bene. Ma come si notava tra queste pagine già un anno fa, introducendo un mannello d’altri occasionalismi (i linguisti li chiamano così: sono parole che durano lo spazio d’un mattino), sarebbe interessante se i vocabolari che, come appunto lo Zingarelli, lavorano apprezzabilmente sull’attualità, ci informassero regolarmente anche delle parole che escono dalle loro pagine per fare spazio a simili nuove chicche. Forse che si tratta di altre parole-meteora, atterrate nel dizionario in occasione solo uno o due anni fa, e già cadute nell’oblio assieme al ricordo di qualche recente cataclisma?
Oppure a tramontare sono, in questi casi, le tante e preziose parole antiquate di quello che Vittorio Coletti in un bel libro di qualche anno fa chiamò l’italiano scomparso? (il Mulino, 2018). Come altre lingue, ma forse più di tante altre, l’italiano ha una superficie stratificata, una pelle che di continuo si rinnova perdendo elementi antichi mentre ne acquista di nuovi. «Nell’italiano scomparso – scriveva Coletti – c’è quella parte di antico che è andata perduta e c’è quella parte di lingua recente che non ce l’ha fatta a imporsi». Nell’uno e nell’altro caso, a molte e a molti, forse, interesserebbero i suoi destini, oltre alla rumorosa eco di un’attualità sempre più violenta.