La Lettura, 21 ottobre 2023
Biografia di Nina Simone
Germaine Greer, scrittrice e giornalista australiana, voce tra le più importanti del movimento femminista,sosteneva che «ogni generazione deve scoprire Nina Simone. Lei è la prova che il genio femminile esiste davvero». La cantante di Mississippi Goddam, uno spartiacque nella storia della musica di protesta nera, è al centro di Nina, nuova produzione di Fanny & Alexander, compagnia teatrale fondata nel 1992 da Chiara Lagani e Luigi De Angelis, in prima nazionale a Romaeuropa Festival (4-5 novembre, Mattatoio).
Interpretato dalla performer e soprano americana Claron McFadden, Nina è un omaggio a Eunice Kathleen Waymon (21 febbraio 1933 – 21 aprile 2003), cantante, pianista, scrittrice e attivista americana per i diritti civili, uno dei talenti più indomabili della musica del XX secolo. Sin da piccola, Nina aspira a essere «la prima pianista classica nera». Canta con la sorella nel coro della chiesa in cui la madre è predicatrice, ed è così dotata che la comunità mette insieme una borsa di studio per mandarla a New York e farla studiare alla Julliard, tra le più prestigiose scuole di arti, musica e spettacolo del mondo, in attesa dell’ammissione al Curtis Institute of Music di Filadelfia, dove è sicura che la prenderanno, visto che è così brava. Nina fa un’ottima audizione ma sarà respinta, racconterà in seguito la cantante, «perché nera» (due giorni prima della sua morte, il Curtis le conferirà una laurea honoris causa).
«Parliamo di una figura che convoca, oltre alla questione musicale, l’utilizzo della parola, tramite il canto e le interviste, per sostenere un discorso anche politico – spiega De Angelis, ideatore e regista del progetto —. A undici anni, nel sud dell’America di Jim Crow degli anni Quaranta, Nina incontra il pregiudizio razziale. Fino ad allora ha vissuto “protetta”. Ma durante il primo recital di pianoforte nella sala del municipio di Tyron, Carolina del Nord, i suoi genitori, vestiti a festa per la serata, dalla prima fila vengono spostati in fondo alla sala per accogliere una coppia bianca. Nina si rifiuta di suonare fino a che non saranno fatti tornare al loro posto. Quest’episodio condizionerà la sua vita. Negli anni Sessanta, quando il movimento per i diritti civili dei neri la coinvolge, ne farà emergere l’indignazione e l’energia, l’incrollabile posizione a favore della libertà e della giustizia per tutti. Attributi che la consacreranno come una pioniera e leader ispiratrice del movimento».
Nina decide di portare avanti un discorso politico attraverso le canzoni: Mississippi Goddam diventata un inno per i diritti civili, ne è l’esempio più cristallino. Scritta in meno di un’ora, è la risposta rabbiosa e lucida all’omicidio nel 1963 dell’attivista e politico statunitense afroamericano Medgar Evers in Mississippi, e all’attentato a sfondo razziale in cui rimasero uccise quattro bambine nere, avvenuto nello stesso anno alla 16th Street Baptist Church di Birmingham, in Alabama. «È soprattutto questo periodo quello che lo spettacolo intercetta – spiega De Angelis —. Ho pensato a Claron McFadden come interprete perché per trovare la sua voce, in quanto donna, cantante, nera ha dovuto spostarsi dagli Stati Uniti all’Europa, in Olanda. È un’interprete eccezionale, può passare da Monteverdi a Rameau, allo sperimentalismo più audace. Trovo che Nina e Claron condividano alcune similarità, su tutte quella di aprire il canale del cuore durante il canto. Claron, come Nina, non ha paura di veicolare le emozioni attraverso il canto: pur possedendo una tecnica incredibile, riesce a commuovere, a toccare interiormente».
Grazie alla tecnica dell’eterodirezione e a partire da documenti audio, interviste radiotelevisive e discorsi pubblici, McFadden compone un ritratto a tutto tondo di Nina Simone, che consente una connessione profonda e intima con il mondo interiore dell’artista, abitandone la voce e testimoniando le complesse manifestazioni della forza del suo carattere e spirito creativo. «Ancora oggi, ascoltandola a occhi chiusi, puoi capire dalla sua voce quanto questa donna sia stata ferita – riflette De Angelis —. Una ferita che riesce a far parlare, a esprimere, tramite quel meraviglioso mezzo espressivo che è il canto».
«Nina Simone – interviene McFadden – ha trasmesso la sua visione del mondo in cui viveva attraverso la musica, prima come pianista classica e poi come interprete. La sua eredità multiforme è aperta a molte interpretazioni. Per me, che abbia incanalato il suo genio in una forma che non era la sua intenzione originaria, è qualcosa che non andrebbe mai dimenticato». Per il soprano Usa, è difficile avere un’opinione sulla cantante e militante per i diritti civili dei neri «che non sia intrisa di mito e leggenda metropolitana. Non sono cresciuta con la sua musica – precisa —, ne avevo sentito parlare. Ma a quel punto era già una “combattente per la libertà” musicale, e forse non le veniva concesso spazio in radio a causa della sua visione “militante” degli Stati Uniti. Ho scoperto davvero Nina Simone quando mi sono trasferita in Europa, dove ha avuto una rinascita con My Baby Just Cares For Me, che in realtà era l’unica sua canzone che conoscevo dalla mia giovinezza. Ora la riscopro attraverso questo progetto, una drammaturgia che interseca brani dall’autobiografia di Nina Simone, I Put My Spell On You. Ma non è un biopic, e non “reciterò” Nina Simone. Sarò presente, la voce che parla e canta sarà la mia. Mi vedo però più come un “contenitore” attraverso cui Nina condivide le sue parole e la sua arte, oggi ancora urgenti e attuali». Una condivisione in cui convergono anche le ferite della discriminazione razziale. «Vedo gli Stati Uniti come un arazzo intessuto con il filo della disuguaglianza, dell’iniquità – considera McFadden —. Solo disfarlo completamente risolverebbe il razzismo. Ma è purtroppo impossibile. Allora devo ricordare a me stessa che gli Usa sono un Paese costituito da persone provenienti da molti altrove».