La Lettura, 21 ottobre 2023
La Zoraide di Donizetti in Irlanda
T i cado esangue ai piedi», esclama lei, Zoraida, pronta a svenarsi, pur di salvare l’amato Abenamet dal tiranno Almuzir, che la vuole in sposa. Poche scene e la situazione si inverte. È Abenamet in incognito a strappare lei al rogo, con un duello d’onore: «Bella Zoraida, ti salvo e moro». E Almuzir che fa? Prima tentenna: «Non so risolvere,/Non so che bramo:/ Odio la perfida,/ L’odio! no, l’amo»; ma quando i suoi raggiri vengono scoperti, perdona tutti e lascia che il rivale convoli: «Tardo rimorso ammendi/ Il mio rigor tiranno./ Calma il tuo lungo affanno./ Zoraide è tua. Lo voglio…». Scioglimento «facilino», per una storia avvincente: è l’opera Zoraida di Granata, fra i primi successi di un Gaetano Donizetti appena ventiquattrenne, al debutto a Roma nel 1822, musica smagliante di spunti lessicali e di architetture ancora rossiniane, mediate attraverso Johann Simon Mayr, specie nei crescendo e nei concertati. Mai più rappresentata in epoca moderna, l’opera va in scena dal 24 ottobre al festival di Wexford: che la riscopre, con lode, secondo la nuova edizione critica di Edoardo Cavalli, in coproduzione con il Festival Donizetti di Bergamo, dove approderà l’anno venturo, ma nella versione del 1824.
Cittadina «vichinga» sulla costa sudorientale dell’Irlanda, Wexford vanta una lunga tradizione donizettiana, come spiega a «la Lettura» la pianista Rosetta Cucchi, dal 2020 direttrice artistica della rassegna: «Tom Walsh, il medico che fondò questo festival nel 1951, partendo da un club d’ascolto (sedevano intorno a un fuoco e sentivano musica…), chiamò da subito molti cantanti italiani, Mirella Freni, Sesto Bruscantini, Ugo Benelli, per eseguire opere mai date in Irlanda, soprattutto del Belcanto e di Donizetti». Dicono che il primo spunto a trasformare il club in festival sia venuto dall’autore scozzese Compton Mackenzie, fondatore del magazine «Grammophone», prendendo a modello la rassegna di Aldeburgh.
Alla tradizione belcantistica, Rosetta Cucchi ha aggiunto ora un taglio tematico: «Per dare consistenza a tutto cio che avviene nel festival. Quest’anno il tema è Women and War, “donne e guerra”, filone usuale nell’opera, ma qui rappresentato da tre titoli rari, non di repertorio. Quella di Zoraida sembra la solita storia di lei innamorata di lui, mentre il re la vuole per sé... Ma un secondo piano di lettura la svela come vicenda politica: questa donna riesce a tenere un discorso politico, cercando di non arrivare alla catastrofe. La sua è più una mediazione che un triangolo». Zoraida è un personaggio combattuto, che risalta nel confronto originale con due tenori rivali (anche se, poco prima del debutto, uno dei due cantanti morì all’improvviso e Donizetti dovette modificare al volo la parte, da tenore a mezzosoprano); e possiede una propria cifra di intensità affettiva: «A parte gli influssi rossiniani e certo classicismo, ancora con recitativi non accompagnati – prosegue Cucchi – nelle arie di Zoraida ho sentito un afflato di Romanticismo, di un mondo che verrà più tardi: in Donizetti, con Maria Stuarda».
Zoraida è anche una «donna in guerra», difficile dire se più eroina o più vittima: «In fondo, anche nel mondo reale non è facile capire quale guerra le donne debbano affrontare. Zoraida cerca di sopravvivere alle conseguenze di guerre che non ha voluto. Il nostro tema è specchio della vita vera: oltre le donne al fronte col fucile in mano , esistono anche le guerre che le donne devono combattere quotidianamente, contro violenza e pregiudizi. Le donne sono sempre combattenti. Questo le porta a essere piu forti; e ciononostante continuano ad essere vittime».
Senza cesure, il discorso trascorre, così, nel nostro presente. E la messinscena lo testimonia: «Il regista Bruno Ravella ambienta quest’opera nella Sarajevo dell’ultimo conflitto balcanico, nella Biblioteca, vandalizzata e distrutta dalla guerra: porta tutta la vicenda più vicina a noi, ma sempre con l’odore della storia». E alla storia, sul filone Women and War, si collega anche il prosieguo del festival: oltre a La ciociara, musica di Marco Tutino, ecco una’altra perla rara, L’Aube rouge di Camille Erlanger (1863-1919): «Un autore stimatissimo da Maurice Ravel e vincitore di un Prix de Rome — conclude Cucchi —. Un’opera bellissima: è la storia di una donna che, alla vigilia della rivoluzione russa, nel 1911, cerca di salvare il suo uomo da un nichilismo teso a distruggere l’ordine prestabilito. Lungo tutta l’opera, combatte per salvarlo da sé stesso, dalla sua natura. E non ci riesce...».