La Lettura, 21 ottobre 2023
Una mostra sui paraventi
’evento
Paraventi: Folding Screens from the 17th to 21st Centuries è l’esposizione a cura di Nicholas Cullinan presentata da Fondazione Prada a Milano (largo Isarco 2; tel 02 56662611) da giovedì 26 ottobre fino al 22 febbraio. In mostra 70 paraventi, tra pezzi storici (le origini sono cinesi, nella fase tarda della dinastia Chou, 770-256 a.C.), esemplari di pittori del XIX e XX secolo, oltre a 17 opere commissio-nate ad artisti contempora-nei. La mostra si sviluppa su due livelli: al piano terra del Podium, con sette sezioni tematiche e, al primo piano, con un percorso cronologico (fondazioneprada.org; catalogo: Fondazione Prada, pp. 448, e 75)
Le commissioni
Gli artisti che presentano nuove opere sono Tony Cokes, Cao Fei, Wade Guyton, Anthea Hamilton, William Kentridge, Shuang Li, Goshka Macuga, Kerry James Marshall, Chris Ofili, Laura Owens, Betye Saar, Tiffany Sia, John Stezaker, Keiichi Tanaami, Wu Tsang, Luc Tuymans e Francesco Vezzoli
Le immagini
Foto grande: Folding- Screen with Scenes In and Around Kyoto (Rakuchu rakugai zu) (Giappone, periodo Edo, 1615-1868, inchiostro, colore, conchiglia e oro su carta dorata), collezione privata, Alcoitão, Portogallo (©Jorge Welsh Works of Art). Quindi dall’alto: Carrie Mae Weems con The Fabric Workshop and Museum, Filadelfia, The Apple of Adam’s Eye (1993, pigmento e ricamo su satin, cornice in pizzo australiano), lascito di Marion Boulton Stroud/The Fabric Workshop and Museum, Filadelfia; Mona Hatoum, Grater Divide (2002, acciaio leggero), © Mona Hatoum, courtesy White Cube, foto di Iain Dickens. Qui sopra, nella foto piccola: Paravent (byobu) (Giappone, XVIII secolo, ventagli su carta e foglia d’oro), Museo di Arti applicate, Vienna, foto Mak/Georg Mayer
Qualcuno lo chiama mobile, ma il termine è decisamente riduttivo rispetto a quello che da giovedì si potrà ammirare alla Fondazione Prada di Milano. Intanto perché il paravento, ambiguo per eccellenza (come ogni tentativo di definirlo), è l’unico manufatto in grado di tenere insieme l’imperatore Muzong della dinastia Ming e David Hockney, Yves Klein e Marlene Dumas, i pionieri dell’estetica queer, Francis Bacon, i conquistadores e gli Impressionisti. E perché dall’Estremo Oriente ha sedotto l’Occidente fino a diventare oggetto globale, tavolozza su cui da secoli i più grandi artisti – ma anche designer, coreografi, architetti – hanno scelto di lasciare un’impronta. E, ancora, per il sublime paradosso che racchiude tra le sue pieghe e suscita una serie di domande: pittura o scultura? Arte o complemento d’arredo? Strumento di contemplazione o separazione? Quinta dietro cui nascondersi o sipario da cui rivelarsi? Qualche risposta e molte suggestioni arrivano dalla fondazione di largo Isarco: dal 26 ottobre c’è Paraventi: Folding Screens from the 17th to 21st Centuries. C ura la mostra Nicholas Cullinan.
Storia e significati dell’oggetto ibrido che rappresenta da sempre il concetto di «soglia» tra ambienti, discipline, mondi, culture. Ecco allora che il progetto espositivo dello studio Sanaa (fondato dai giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa) si sviluppa su due livelli per raccogliere settanta paraventi preziosissimi, tra cui una selezione di nuove creazioni – diciassette – commissionate apposta per la mostra. Piano terra del Podium: il percorso è suggerito da pareti curve in plexiglas trasparente alternate a tende opache. L’impatto è sorprendente, il visitatore incontra subito le opere – entrambe datate 2023 – di Shuang Li e Cao Fei. E in un labirinto-cammino tanto sinuoso quanto eclettico, trova sette aree tematiche che attraversano i secoli e le geografie.
Dunque si parte con quattro pezzi cinesi e giapponesi del XVII e XVIII secolo dedicati a battaglie navali e vedute dall’alto per indagare la natura transnazionale dei paraventi (Readings, East and West). L’opera del cinese Chen Zhifo (1896-1962), maestro dei dettagli realistici, è invece affiancata a quella più astratta dell’americano Jim Dine (datata 1969) per affrontare la rappresentazione delle stagioni; i pezzi inediti realizzati da Joan Jonas e Wu Tsang – come i due all’inizio del percorso – mostrano come un paravento si possa trasformare in uno schermo per proiettare immagini perdendo così la sua «missione» originaria: prima nascondeva, ora rivela (sezione Split Screens). Poi ci sono capolavori come Paravento ricamato con le figure di Lucrezia, Ippolita ed Elena (1860-1861 circa) di William Morris con Jane Morris ed Elizabeth Burden accostati ai «pieghevoli» contemporanei di Lisa Brice, Anthea Hamilton, Lorna Simpson e Carrie Mae Weems (sulla seduzione e il senso del pudore nella sezione Public/Private). La trasgressione dirompente del decoro è rappresentata dal paravento di Duncan Grant del Gruppo Bloomsbury, ma anche da un raro esemplare del 1929 di Francis Bacon, a cui si aggiungono creazioni di artisti di oggi come Kai Althoff, Marc Camille Chaimowicz e Francesco Vezzoli (World of Interiors è l’area tematica). E visto che i paraventi possono anche essere ottimi strumenti di propaganda politica, ecco i dieci enormi pannelli dipinti nel 1718 di Pedro de Villegas per esibire la conquista del Messico da parte di Hernán Cortés. Goshka Macuga, con il suo nuovissimo in time or space or state (2023) tocca il tema della trasmissione del sapere. L’ultimo gruppo al piano terra del Podium, Parody/Paradox, è appunto un paradosso: paraventi trasparenti negano la funzione pratica di questi oggetti. Le quinte si fanno cornici.
Al piano superiore il criterio espositivo cambia: i paraventi sono allestiti in ordine cronologico. Si parte con la Cina, ovviamente. E si arriva a Giacomo Balla, Man Ray, Sol LeWitt, Cy Twombly, David Hockney, William Kentridge. «Abbiamo raccolto opere mai viste insieme: il risultato è molto interessante», dice a «la Lettura» il curatore Nicholas Cullinan, direttore della National Portrait Gallery di Londra. Rivincita del paravento? Sorride: «Potrebbe essere una chiave». Arte, arredo o decoro? Separè o strumento che unisce? «Tutte queste cose simultaneamente, ecco il segreto del suo fascino eterno».
Migrazione culturale, contaminazione tra forme d’arte e applicazioni inaspettate, sviluppo per sezioni e per cronologia in una mostra ricchissima, colta e però divertente, che sbalordisce per i nomi che si sono cimentati nell’arte del paravento: Pablo Picasso, Jean Prouvé, René Magritte, Le Corbusier, Alvar Aalto (tutti esposti). Ma anche per i talenti di oggi che hanno accolto con entusiasmo la proposta di Fondazione Prada. Cullinan continua: «Viviamo in un’era in cui gli schermi fanno parte delle nostre vite. Ed è affascinante riflettere su come i paraventi, pensati per mediare tra due spazi, ora medino tra realtà e mondo digitale». Il 3 novembre inaugureranno due mostre complementari a quella milanese, nelle stanze di Prada Rong Zhai a Shanghai e Prada Aoyama a Tokyo: approfondiranno l’eredità storica e le interpretazioni contemporanee dei paraventi nei contesti orientali.