La Lettura, 21 ottobre 2023
La metafisica concreta di Cacciari e il matrimonio possibile tra filosofia e scienza
MAURIZIO FERRARIS — Il tuo libro, Metafisica concreta, è un grande libro, per mole, per impegno e per idee. Dopo averlo letto in bozze, mi sono detto che il tuo scopo fondamentale è quello, sia pure con un attraversamento della filosofia, della letteratura, e delle più varie fonti di pensiero, di gettare un ponte non genericamente «dialogico», ma filosofico, e più precisamente metafisico, ossia riferito ai fondamenti, tra scienza e filosofia. Per metterla in una formula: ci sono filosofi che hanno negato che la scienza pensasse, e decretato un’incompatibilità tra filosofia e scienza; altri che hanno pensato che la filosofia dovesse imitare o formalizzare le metodologie della scienza; e altri ancora che hanno pensato che la filosofia dovesse diventare una scienza. Tu invece proponi una opzione diversa, quella appunto di gettare un ponte tra la filosofia di tutti i tempi e la scienza del nostro tempo. Che è molto più vicina, e più aperta, alla filosofia, persino a quella degli albori, di quanto non lo fosse quella nata con la rivoluzione scientifica moderna, interessata a marcare la propria differenza rispetto al passato, dunque prima di tutto con la metafisica. Adesso, invece, abbiamo a che fare con una scienza nuova, nella quale si scopre che ciò che i filosofi chiamano «essere» e che gli scienziati chiamano «natura» sono la stessa cosa, da indagarsi con uno sguardo che è, insieme, filosofico e scientifico.
MASSIMO CACCIARI — Sarebbe già molto se il mio libro servisse a liberare il campo da una serie di penosi equivoci che gravano tanto sulla filosofia quanto sulla scienza. Il primo è che il termine metafisica stia a indicare una speculazione su «altri mondi» o «mondi dietro il nostro». Se così fosse, avrebbe ragione chi, secondo una bella battuta di Hegel, se ne fugge come da un appestato! Ma non è affatto così – anzi, è l’opposto. Metafisica significa interrogazione su quanto, proprio a partire da e sulle basi della ricerca scientifica, rimane nei limiti di questa inosservabile o non esattamente «calcolabile». Ma che è altrettanto reale! Metafisica è l’indagine delle domande che la fisica stessa si pone, allorché il suo essere scienza si fa piena co-scienza della propria complessità e problematicità. Questa apertura di senso io credo di averla messa in evidenza anche nel pensiero del razionalismo fondatore della filosofia e della metodologia scientifica del Moderno. Ancora più, in questa prospettiva credo vadano ri-ascoltate pure le grandi tradizioni classiche, nelle loro differenze. Sono sistemi, sì, ma aperti – sistemi nei quali, non a caso, alcuni dei massimi esponenti della scienza contemporanea hanno potuto riconoscersi.
MAURIZIO FERRARIS — Il problema, a questo punto, è il come. Ci troviamo di fronte a una doppia difficoltà. Da una parte, gli scienziati, nella loro pratica quotidiana, si confrontano con problemi specifici, e solo pochi tra loro hanno l’occasione, o l’interesse, per aprirsi a prospettive più ampie. Dall’altra, è molto raro che un filosofo entri in contatto con la scienza nella sua concretezza (e spesso ne ha delle versioni imprecise e arretrate). Non troppo paradossalmente – anzi, coerentemente con il suo titolo — Metafisica concreta sollecita un problema non teorico ma pratico. Com’è possibile un’apertura della scienza alla filosofia, e viceversa, in un mondo di conoscenze frammentate? Nota che questo problema è un altro modo per porre la questione dell’interdisciplinarità, termine onnipresente nel dibattito, non solo accademico, dei nostri giorni, al punto da diventare un ritornello. Il punto è che sarà anche un ritornello, ma indica un problema vero: quello di un mondo che non può essere conosciuto e governato in base a prospettive esclusivamente specialistiche. Nel confronto tra scienza e filosofia che apri in Metafisica concreta entra un terzo termine, la politica nella sua accezione più alta, ossia la capacità di comporre istanze diverse e di creare spazi in cui i diversi lati del sapere umano (dico «diversi» e non «due» perché credo completamente superato il vecchio dibattito sulle due culture) trovino modo per confrontarsi, conoscersi, e lavorare insieme.
MASSIMO CACCIARI — Credo di non aver mai usato il termine interdisciplinarità. Non si tratta per me di analizzare soltanto la relazione possibile tra diverse discipline (esercizio senz’altro comunque utile), ma della vera questione metafisica – da Platone al razionalismo moderno, almeno fino a Kant (e che a me pare ritorni con forza in alcuni dei più grandi scienziati contemporanei). La scienza della natura, secondo i suoi stessi principi, impone di procedere oltre: da un lato, «verso» quella dimensione dell’ente che non risulta empiricamente calcolabile e, dall’altro, al problema della vita del soggetto conoscente, della sua coscienza. La specializzazione necessaria della ricerca contemporanea, senza di cui nessuno dei suoi successi sarebbe concepibile, non contrasta affatto questa interrogazione. Connessa a questa, ma non identificabile col suo problema, è la questione pratico-politica che tu sollevi, e che in qualche modo era al centro del mio libro precedente, Il lavoro dello spirito. Il potere che governa lo sviluppo dei saperi speciali, che ne orienta le direttrici, che ne mette a profitto (in tutti i sensi) gli esiti sfugge completamente dal controllo dei produttori. Sì, metafisica concreta significa anche, se non altro, rimettere al centro del dibattito questo che è il problema politico per eccellenza.
MAURIZIO FERRARIS — Credo che questa sia la differenza fondamentale tra le nostre prospettive. Tu proponi una unificazione tra la scienza della natura e la metafisica sul piano di un principio comune, quello del procedere insieme verso i limiti dell’esperienza, e in effetti (così traduco io), oltre i limiti dell’esperienza, e di un pensiero della vita e della coscienza. L’incontro che auspico io (e che mi pare complementare al tuo) punta invece sugli effetti. È possibile attuare un progetto di ricerca comune che coinvolga, per esempio, fisici, neuroscienziati e filosofi su un tema specifico? Non c’è nulla di più necessario, ci sono già tante esperienze in questo senso, solo occorre un orizzonte istituzionale in cui questo incontro avvenga (di qui il mio richiamo alla politica nel senso più alto del termine). Lo stesso vale per il rapporto tra filosofia e tecnologia: che differenza c’è fra intelligenza naturale e Intelligenza artificiale? Che cosa diventa il lavoro nell’età digitale? Sono temi che stanno a cuore a entrambi, ognuno di noi li ha discussi, a suo modo e con il suo stile, nei suoi libri, ma tutto questo rischia di restare lettera morta, o semplice enunciazione di princìpi, se non si passa ad azioni concrete, a progetti di ricerca condivisi. Sono pienamente consapevole dei rischi di un simile passaggio all’atto, ma sono altrettanto certo della sua necessità.
MASSIMO CACCIARI — La ricerca è comune se comune è la radice da cui sorge. O l’interrogazione comune su specifici problemi nasce da un’istanza che è oltre la forma specifica delle diverse discipline oppure si tratterà sempre di relazioni episodiche, empiriche, che daranno risultati soltanto occasionali. Lungi da me ritenerli superflui, ma non formeranno mai quella scienza nuova, da me tante volte citata nel libro! La scienza nuova vichiana si origina dal riconoscimento, certo per Vico, che il razionalismo del Seicento, che dava fondamento e forma alla scienza sperimentale, richiedeva, per essere completo, una filologia scientifica vòlta allo studio del co-implicarsi storicamente determinato di pensiero e linguaggio. Così io ritengo che la scienza della natura contemporanea implichi in sé e da sé l’interrogazione sulla differenza tra Inizio e Origine (fonte di continui equivoci in sede cosmologica), tra cervello, mente e coscienza, tra una concezione del nostro esserci incatenata al possibile effettivo e un’altra che, senza alcuna pretesa «transumanante», ne coglie le connessioni con reali forme dell’agire e pensare in cui sembriamo venire ai ferri corti con il Muro dostoevskiano dell’Impossibile.
MAURIZIO FERRARIS — Guarda che io non intendevo escludere la radice comune, e sono persuaso quanto te del fatto che il semplice mettere insieme saperi diversi non porti da nessuna parte. Mi limitavo a osservare che il difficile, nell’incontro tra scienza, filosofia e tecnologia, non sta nei princìpi, sui quali trovare un accordo è relativamente facile purché gli interlocutori siano sufficientemente illuminati e ben disposti. Le difficoltà cominciano nel momento in cui si entra nei particolari, ossia quando un filosofo incontra, per esempio, un esperto di Intelligenza artificiale. I due potranno probabilmente convenire (o dissentire in modo consapevole) sui principi, ma questo rimarrà un confronto teorico. Quello che mi sembra auspicabile è invece una prassi comune, e da questo punto di vista l’esempio di Vico è molto eloquente. La sua scienza nuova è stata a lungo incompresa non per ragioni teoriche, ma per difficoltà pratiche: perché era scritta in italiano e non in latino; perché il suo autore faceva l’insegnante di retorica e come tale veniva considerato; perché soffriva di una certa marginalità culturale. Ecco il motivo per cui sento la necessità di istituzioni che facilitino il confronto tra i saperi e rompano gli schemi. Se abbiamo intitolato «Scienza Nuova» l’istituto interateneo che a Torino riunisce su progetti di ricerca l’Università e il Politecnico è proprio per questo motivo: per evitare che il confronto si limiti ai princìpi, e magari resti confinato nei libri. Su tutto il resto sono d’accordo con te, ma sono anche convinto (perché ci è capitato di parlarne in altre occasioni) che tu sia d’accordo con me sulla necessità di istituzioni fondate non solo sulla condivisione di princìpi, ma anche su pratiche comuni nell’ambito di problemi specifici. Non trovi che sia anche questo «metafisica concreta»?
MASSIMO CACCIARI — Non a caso citavo il mio Lavoro dello spirito — in qualche modo premessa pratico-politica di questo Metafisica concreta. Sì, l’organizzazione del lavoro scientifico nei termini che tu dici è esattamente metafisica concreta! E cioè messa in pratica della domanda che il mio libro svolge anche sotto il profilo della storia del pensiero – e non certo in termini lineari o «progressisti» – fin dalle origini dell’episteme europea: l’essente è un infinito aporumenon, un problema che continuamente si riformula, approfondisce, sviluppa e mai si risolve – e questo vale essenzialmente per quell’essente che il soggetto conoscente è. Qualsiasi riduzionismo, qualsiasi tentativo di ridurne l’essenza a un «quieto» fondamento, finisce col tradirla. È questo un «atteggiamento», una Haltung direbbero i miei tedeschi, che ritengo fondamentale per affrontare criticamente questioni decisive nella vita contemporanea, come quella riguardante il rapporto tra artificiale e naturale – e quindi l’Intelligenza artificiale e i suoi effetti complessivi. Averne coscienza esprime l’istanza metafisica implicita nell’autentica ricerca scientifica, libera da quello che Kant chiamava «dogmatismo dell’intelletto», e che è oggi ancora largamente dominante. Credo come te sia l’ora di uscire dalla caverna delle «due culture», dalle contrapposizioni astratte, inerti tra «umanisti» e «scienziati», e ancor più da una pratica filosofica che non sia filosofia reale, critica della realtà presente. L’antico termine di metafisica è usato in questo mio libro per indicare questa prospettiva: una filosofia e una scienza che ritengono per sé essenziale riguardarsi reciprocamente e che proprio in questo procedono oltre, metà, sé stesse, per corrispondere alle proprie interrogazioni.