La Lettura, 21 ottobre 2023
Su Rubens
Il fanatismo religioso si è sempre servito di stragi e carneficine nel perseguimento dei propri fini. Oggi il fenomeno riguarda soprattutto una parte dell’islam e in particolare Hamas. Nella storia dell’Europa medievale e moderna fu invece il cattolicesimo a macchiare di sangue il continente, in particolare nel periodo buio delle guerre di religione. Gli eccidi perpetrati dalla «furia spagnola» contro le città riformate olandesi (nel 1572 a Naarden sopravvissero solo 60 abitanti su quattromila) diedero avvio a una sequenza di «sacri macelli» che imperversarono per quasi ottant’anni.
Il quadro di Rubens intitolato Le conseguenze della guerra (1638) è una delle rappresentazioni più emblematiche ed evocative di quel periodo. L’immagine che più colpisce è quella di Europa, a sinistra nel dipinto, impersonata da una donna vestita a lutto e con l’abito a brandelli, stroncata dal dolore dopo anni di saccheggi, oltraggi e miserie provocati dalla guerra. La donna alza le mani verso il cielo, come per supplicare l’arrivo di una tregua. Che finalmente fu siglata dieci anni dopo, con la pace di Vestfalia (1648).
Il dipinto è uno dei principali capolavori della pittura barocca. Ma è anche opera di un artista poliedrico, un uomo segnato personalmente dal trauma del conflitto religioso e dallo sforzo di contrastarne gli effetti distruttivi, non solo attraverso l’arte ma anche con l’impegno politico. La mostra su Rubens in corso a Mantova (a Palazzo Te e Palazzo Ducale) fornisce un’ottima occasione per riflettere sul ruolo giocato da questo autore nel delicato passaggio che condusse l’Europa a superare il fanatismo religioso, attraverso il principio e la pratica della tolleranza, in nome del valore supremo della vita umana e della sua dignità.
Pieter Paul Rubens nacque a Siegen, in Vestfalia (attuale Germania), nel 1577. Il padre era calvinista e subì la persecuzione spagnola. Pieter Paul fu educato ad Anversa, dove si convertì al cattolicesimo. Le Fiandre erano un microcosmo fra i più vivaci d’Europa, al polo settentrionale dell’antica Lotaringia, il territorio più prospero e dinamico del continente, culla della city belt, la cintura urbana che congiungeva l’Italia centro-settentrionale con il mare del Nord, attraverso le Alpi e lungo il Reno. Seppure anch’esse percorse da tensioni religiose, le citta di quest’area erano ricche e interessate alla pace, condizione necessaria per traffici commerciali e comunicazioni sicure.
Rubens viaggiò più volte lungo la city belt e fece lunghi soggiorni in Italia, non solo a Mantova, ma anche a Genova, Venezia, Roma. All’intensa attività pittorica, Rubens affiancò una fitta azione diplomatica per conto degli arciduchi delle Fiandre spagnole. La sua formazione politica fu influenzata dall’incontro con Justus Lipsius, un colto umanista fiammingo che contribuì a modernizzare il pensiero cattolico controriformato di fronte alle sfide dello scisma protestante.
Da Lipsius, Rubens imparò a temperare la sua fede attraverso i concetti neo-stoici di prudenza e costanza. Lipsius rimase un fervente sostenitore della Chiesa romana e della sua supremazia nella sfera spirituale. Ma era convinto che solo il potere secolare potesse garantire l’ordine civile e la pace politica. E si schierò a favore del principio di tolleranza per chi non era cattolico, purché fosse disposto a ottemperare alle leggi dello Stato. In uno dei suoi quadri, Rubens raffigurò sé stesso nella cerchia intellettuale di Lipsius, con il busto di Seneca sullo sfondo. Anche se operò principalmente al servizio della cattolica arciduchessa Isabella, l’attività diplomatica di Rubens restò sempre ispirata ai valori della prudenza, della tolleranza religiosa e della pace.
Come sostenne Max Weber, le nuove idee maturate agli albori dell’Europa moderna e poi sviluppate dall’Illuminismo riuscirono a imporsi progressivamente grazie all’opera di vari «traghettatori» che le applicarono nella pratica politica e le resero fruibili tramite la produzione di simboli, accessibili anche al di fuori della sfera strettamente intellettuale. Agli inizi del Seicento, Rubens divenne un geniale traghettatore su entrambi i fronti, come mediatore di conflitti politici e come instancabile creatore di simboli attraverso la pittura.
Questo secondo ruolo emerge con chiarezza proprio nel dipinto Le conseguenze della guerra. Al centro campeggia la figura di Marte, simbolo di rovina e distruzione. A sinistra Venere, dea dell’amore, che vuole placare la furia del suo amante. A destra Aletto, l’Erinni della discordia, richiama invece Marte con una torcia accesa, usata per spaventare chi sarebbe stato ucciso. Fra questi, scorgiamo una madre che stringe il figlioletto: la violenza non risparmia innocenti e indifesi. Il piede di Marte calpesta dei libri, simbolo di ogni forma di espressione intellettuale. La guerra non solo causa morte, ma distrugge la cultura, generando una spirale di imbarbarimento. La scena del quadro è ciò che Rubens esorta a superare, recuperando i valori dell’umanesimo classico-rinascimentale e dell’universalismo cristiano, proiettandoli verso il futuro.
In un articolo apparso anni fa in occasione di una mostra negli Usa, la rivista «New Yorker» definì Rubens Mister Europe. Più di ogni altro artista prima e dopo di lui, il pittore fiammingo si impegnò per conciliare «le due idee di Europa – universale e locale – che si erano contese il primato a partire dal primo millennio dopo Cristo». Questa sfida restò il fulcro dell’attività artistica e diplomatica di Rubens perché «la sua storia personale era anche quella dell’Europa».
Rubens morì prima del Trattato di Vestfalia. Avrebbe senz’altro plaudito all’arrivo della pace. Ma avrebbe anche intuito che il nuovo ordine basato su singoli Stati conteneva i semi di nuovi conflitti fratricidi, ispirati dal fanatismo nazionalista. Come Lipsius, il grande artista fiammingo restò fedele all’impero, ossia alla presenza di un’autorità secolare sovraordinata rispetto agli Stati, rispettosa dell’autonomia della Chiesa e capace di arginare gli impulsi bellicosi dei prìncipi territoriali.
Questo aspetto del pensiero di Rubens attribuisce alla metafora di Mister Europe un significato ancora più pregnante, legando direttamente la prospettiva di questo autore alle fondamenta dell’Europa contemporanea. Dopo i due conflitti che dilaniarono il continente nella prima metà del Novecento, la creazione di una autorità sovranazionale e di una comunità ispirata dai principi cristiani diventa l’obiettivo dei padri fondatori dell’Unione Europea. I democristiani Adenauer, De Gasperi e Schuman erano in fondo gli eredi (anche per i loro luoghi di nascita) dell’antico spirito lotaringio, refrattario alla guerra perché interessato al binomio pace-prosperità. Non è un caso che la sede del Consiglio europeo sia oggi un palazzo di Bruxelles dedicato a Justus Lipsius. E che il motto della Ue sia «uniti nella diversità».
Le atrocità della guerra raffigurate da Rubens rimandano oggi al conflitto mediorientale, alla furia del fanatismo religioso e al suo massacro di innocenti. L’Europa occidentale non è più teatro di guerra, è diventata un osservatore lontano, indignato ma impotente. Ai confini tra Gaza e Israele, come in Ucraina, vediamo ancora all’opera Marte e l’Erinni della discordia. Manca però Venere, il richiamo all’empatia e alla compassione. E per i terroristi di Hamas l’unico libro che conta è il Corano, nella sua interpretazione più radicale rispetto agli infedeli. La scena di oggi è più lugubre di quella dipinta da Rubens, e non sembra lasciare spazio a prospettive di tregua durevole.