la Repubblica, 21 ottobre 2023
Burri in mostra
Alberto Burri e Ravenna si incontrano all’insegna dell’oro. Con Burri RavennaOro Bruno Corà fa il punto sul rapporto tra l’artista e la città adriatica. La mostra, visibile al Museo d’Arte della città di Ravenna fino 14 gennaio 2024, indaga un legame che eccede la semplice fascinazione per un luogo che è stato capitale della storia dell’arte, dell’Impero romano e porta d’Oriente. Un nesso che si è invece concretizzato in due episodi, compresi tra il 1988 e il 1990. Sono gli anni della maturità, quelli in cui, come ha rilevato Marco Tonelli, il linguaggio scultoreo si palesa come destino della poetica di Burri.Prima Claudio Spadoni, con l’eventoSan Vitale Nero, e quindi Francesco Moschini, con Ravenna e Bisanzio, hanno favorito la relazione tra Burri e Ravenna. In un testo alto e serrato, presente nell’elegante catalogo edito da Sagep, Moschini ripercorre la genesi del doppio progetto da lui concepito, su commissione del Gruppo Ferruzzi, e bruscamente interrottosi anche a seguito della morte di Raul Gardini.Di quella stagione resta Grande Ferro R,monumentale scultura teatro collocata appena fuori il centro storico, nella prossimità del Palazzo delle Arti e dello Sport. Moschini vi ha visto la carena di una nave aperta e orientata verso il porto.Grande Ferro R è composta da una duplice serie di cinque archi spezzati e suddivisi in tre blocchi, come grandi falangi meccaniche. Nei portici compresi tra il vicolo degli Ariani e via Diaz, Burri avrebbe poi dovuto realizzare sei quadri in nero, grigio e oro quadrettato, pertanto risonante con il mosaico. Il modello architettonico dei portici, con il ciclo pittorico, apre la mostra e lascia immaginare quel che poteva essere e che non fu.Dopo questa preziosa testimonianza, l’allestimento proseguetracciando la presenza dell’oro nel lavoro di Burri. Dalla prima timida apparizione in una composizione del 1952, fino al tripudio di Oro del 1993. Nel mezzo Corà ha selezionato due celebri sacchi, con inserti in foglia d’oro, e due copertine, liriche creazioni per l’amico Emilio Villa. È un fatto che l’oro si affermi prepotentemente solamente all’indomani di Ravenna e Bisanzio, progetto che, pur non condotto a termine, ha dato i suoi frutti con la stagione diNero e Oro.Inevitabilmente è stato rilevato un tratto alchemico nella presenza del metallo nobile, un’allusione alla metamorfosi dei materiali, anche quelli più vili, attivata dall’intervento artistico. Burri avrebbe guidato la trasformazione della materia conducendola attraverso una prova del fuoco. In catalogo Corà descrive l’azione di una «forza, non priva di contrasti che suggeriscono valenze regali, ma anche cadenze piene di echi alchemici, melanconici ed emotivamente risorgivi», mentre Moschini ragiona d’una materia «sottoposta a una vera e propria trasmutazione alchemica».La mostra prosegue con l’esposizione del ciclo Nero San Vitale,si direbbero evocazioni di figure urbiche, forse merli, non fosse per la nota avversione dell’autore per ogni semantizzazione posticcia. Eppure il paesaggio e la storia sono parte del patrimonio di immagini che l’artista ha, volente o nolente, rielaborato; così un trittico del 1994 fa pensare al pierfrancescano Polittico della misericordia, a quel modo di impugnare l’oro facendone spazialità concreta, drammatica persino. È quanto per vie diverse fa il tifernate, che desimbolizza l’elemento per riproporlo come pura materia al servizio della bellezza: la bellezza è stato quel che l’artista di Città di Castello ha sempre inseguito tra le plastiche, il bitume, la iuta o i ferri.Burri fu maestro dell’immanenza, dell’assoluta irriducibile presenza della materia, ma la materia ènella storia, così come la bellezza s’incarna nei luoghi. BurriRavennaOro prova quanto sia fecondo l’ascolto del genius loci,che a Ravenna non è un re o un imperatore, ma è il mosaico. E la mostra è iscritta nel vasto cartellone allestito per la Biennale del Mosaico Contemporaneo. Giunta all’ottava edizione, la manifestazione si concreta in una rete di eventi tesa sulla capitale del mosaico, iniziative pubbliche e gratuite: nella Biblioteca Classense c’è il concorso Giovani Artisti e Mosaico, da segnalare le opere sulfuree ebrillanti di Giorgia Baroncelli e Giovanni Manara; in palazzo Rasponi c’è spazio per il design con pezzi, tra gli altri, di Gaetano Pesce e di Alessandro Mendini; mentre rimanda a Burri l’esposizione negli Antichi Chiostri Francescani.Ci si riallaccia così aBurriRavennaOro e al MAR, che peraltro ospita una mostra del 1959, intatta. Il museo offre l’occasione di spiare, come congelata in un eterno presente, la complessa relazione tra Informale e mosaico. Accanto alle composizioni di Cagli, Guttuso, Capogrossi o Chagall, affascina il confronto quasi impossibile tra la metrica musiva e il gesto irruento diVedova o i segni liquidi di Afro, incanta poi Mathieu, che forzò la tecnica, lasciando cadere le tessere sul supporto. Una sorta di sgocciolio, che si è tradotto in un’apologia della barbarie: Omaggio a Teodorico.Ma quale luce nel Medioevo di San Vitale o nello scrigno di Galla Placidia! Qui Klimt trovò la via per Bisanzio, e nella collezione del museo non ci si deve lasciare sfuggire un disegno del viennese, di sensualità tagliente. Il Battistero Neoniano fu invece fonte di ispirazioneper Jung, chi poi volesse rivedere il Battistero degli Ariani transiterebbe accanto alla vecchia sede della Finanziaria Ferruzzi, nella quale è ancora possibile ammirare i due teleri di Arduino Cantafora, la prima installazione, e l’unica prodotta, di Ravenna e Bisanzio, che dialoga con Catodica del ravennate Luca Barberini. La Biennale è un circuito virtuoso tra la città e il suo museo, che del mosaico riprende la logica: tessere autonome distese tra il nero del petrolio e l’oro di Bisanzio. E si comprende allora la passione di Burri per questa città, un amore che Ravenna ha saputo ricambiare.