il Giornale, 21 ottobre 2023
Un prete particolare
Se qualcuno vi dicesse che questo romanzo, Morte d’Urban, tratta di un prete che viene colpito alla testa da una pallina da golf (pagina 289) e da una scarpa con tacco a spillo (pagina 354), quale tipo di romanzo vi aspettereste? Potreste pensare alla storia di un prete che alla Bibbia antepone i piaceri laici; oppure a quella di un prete il quale, a causa dei due oggetti contundenti, si rimette in riga come le panche di una canonica; o, ancora, alle vicende di un prete-non prete, in missione (ma di un altro tipo...) sotto mentite spoglie. In tutti i casi, sbagliereste, ma ci avreste anche azzeccato. Infatti padre Urban (al secolo Harvey Roche) è e non è tutto ciò. Fuma sigari di pregio e beve whiskey di marca, ma non ha un elevato tenore di vita, perché glieli offrono; quanto al rimettersi in riga, per lui non è un evento di cui segnare la data sul calendario, visto che gli accade quotidianamente, a causa dei suoi sensi di colpa, pur sottaciuti o appena accennati; riguardo il, chiamiamolo così, doppio gioco, da agente non segreto (in missione per conto della Chiesa), bensì palese a tutti, ebbene, questo è proprio il suo pane, anche se non ha nulla a che fare con «il corpo di Cristo», né lo champagne ha qualcosa a che fare con il Suo «sangue».
Padre Urban lo inventò, mettendo insieme tanti tasselli di vita vissuta e facendo di lui il modello del sacerdote cattolico nella seconda metà del Ventesimo secolo (e per giunta negli Stati Uniti, patria dell’espansionismo e del proselitismo), James Farl Powers, passato alla storia della letteratura come «lo scrittore dei preti». Un’etichetta che suona piuttosto sprezzante, oltre che parziale. È vero, nato nel 1917 a Jacksonville, Illinois (e morto nel 1999 a Collegeville, Minnesota), Powers era cattolico; ed è vero che la sua prima raccolta di racconti, Principe delle tenebre, del ’47, è incentrata sui problemi esistenziali dei preti; ed è vero che da lì in poi quasi tutta la sua produzione seguì quella linea. Ma quella linea è una linea come un’altra. Ci sono gli scrittori di contadini, di operai, di aristocratici, di borghesi. E se Powers scelse quel punto d’osservazione, ciò non significa che il suo sguardo non contempli, così facendo, l’intera società in cui sono immersi i preti, come messi a mollo in un’acquasantiera inquinata. In un articolo elogiativo di Powers apparso recentemente sulla Stampa, la scrittrice Donna Tartt (tradotta da Fabio Pedone) lo spiega chiaramente, e in coda ricorda: «Quando una suora lo intervistò per la American Benedectine Review, gli chiese se avesse qualche idea riguardo alla vocazione specifica di un romanziere cattolico. Lui rispose: No, temo di non avere nessuna idea, Sorella, tranne quella che dovrebbe evitare di scrivere robaccia, ovvio. Più avanti, nella stessa intervista, a una domanda sui tratti esistenzialisti e pessimisti delle proprie opere, rispose, tagliando corto: Se non puoi essere un vincitore, puoi sempre cadere da vincitore». Ecco, padre Urban cade da vincitore pur non essendo un vincitore. A pagina 15 iniziamo a farci un’idea di quale tipo di prete sia. Parlando con un riccone che potrebbe aiutare, a suon di dollari, l’Ordine dei Clementini cui il sacerdote appartiene, il Nostro afferma: «Ma in tutta franchezza, signor Cosgrove, penso che stiamo esagerando sul piano della povertà». E due pagine dopo Powers gli dà un’altra pennellata: «era fedele al suo voto di povertà: allo spirito, però, piuttosto che alla lettera». Inoltre, il padre provinciale Boniface, suo diretto superiore, è tutt’altro che incline a coltivare una politica espansionistica per l’Ordine, in competizione con gli altrettanto immaginari Dalmati e Dolomiti, e non vede di buon occhio i finanziamenti che vanno oltre le offerte dei fedeli durante la Messa. Sicché il rampante self-made priest Urban che batte Chicago e i vasti territori circostanti in cerca più di mecenati che di «fratelli» e di «novizi» da accogliere, è un’anima in pena. Lui, «cinquantaquattro anni, alto e di bell’aspetto ma con le guance un po’ flaccide e gli occhi arrossati», è l’esatto opposto del collega padre Wilf, responsabile della «Casa» di St Paul che come tutte le altre deve «sostenersi da sé», e ritiene che la povertà «troppo spesso» è «solo una copertura per l’incompetenza» di chi è solito «mangiare il pane raffermo perché quello fresco si sarebbe mantenuto ancora». Insomma: «Al contrario di Wilf, lui si era impegnato non poco a conquistare il mondo profano prima di affrontare l’altro, e perciò era in grado di vedersela con il clero da seduto, da pari a pari, invece che genuflesso». Quindi in Einaudi non sbagliarono, durante la riunione di redazione del 3 ottobre 1962, quando appuntarono: «Calvino riferisce della Morte d’Urban del Powers; è il suo ultimo romanzo (cioè il primo, il secondo e ultimo, Wheat that Springeth Green, con protagonista un altro prete, uscirà nell’88, ndr) incentrato sul tema della commercializzazione del cattolicesimo americano, e attraverso di esso di tutta l’America. Un libro amaro e pungente, di sicuro successo. Sì, lo si acquista». E bene ha fatto l’editore Fazi a riproporre il libro, nella nuova traduzione di Fabio Pedone, dopo quella di Ida Omboni (pagg. 389, euro 20). Dopo aver seguito padre Urban in versione commesso viaggiatore in una manciata di Stati, aver riso dei suoi traffici per far costruire una nuova chiesa a Santa Monica, aver gustato il suo imbarazzo di fronte alle timide avances di una polposa matrona stregata da un suo discorso-omelia, aver solidarizzato con lui quando impedisce a Cosgrove di annegare un cervo, è tempo di chiudere il cerchio tornando ai nostri punti di partenza, la pallina da golf e la scarpa con il tacco a spillo, e al loro valore simbolico. La pallina da golf, sul green che lui si è tanto impegnato per far realizzare sulla Collina dei Clementini, viene scoccata dal giovane padre Feld, il cocco del vescovo, e assume quasi il senso di una vendetta divina. Dopo tanta paura, qualche giorno in ospedale e una convalescenza in casa dell’anziana signora Thwaites, ex proprietaria della Collina che donò all’Ordine, padre Urban continua a soffrire di cicliche emicranie. E quando incontra Sally, la figlia dell’ormai pentita baciapile, il suo disagio aumenta. Quello di Sally a padre Urban è infatti un agguato seduttivo, durante la serata a due trascorsa nella piccola torre in mezzo a un piccolo lago, con tanto di nudo integrale davanti al caminetto. Quasi integrale, viste le scarpe tacco 12. Ma lui no, si rifiuta di andare a fare una nuotata con lei. Morale: seconda botta in testa, a rappresentare la vendetta dei sensi, delle tentazioni rigettate, e istantanea illuminazione sulla via del peccato per il Nostro: «La vita quaggiù, nonostante tutti i nostri desideri in senso contrario, era fatta di scarpe: non di champagne, ma di scarpe, e non di terra, ma di scarpe, e dicendo pane al pane questo era il pensiero della Chiesa». Poi, è chiaro, le emicranie piovono a grappoli come se fosse tempo di vendemmia, e a nulla varrà la promozione a «provinciale» di Chicago e dintorni, per lenirle. Anche perché nella testa di padre Urban continua a frullare la pericope del Vangelo di Luca sull’amministratore disonesto alla fine lodato dal padrone truffato. Che cosa avrà voluto dire, Nostro Signore? Bella domanda.