il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2023
Mal di capelli
Tocca scegliere, meglio un cinema che – brutta espressione – cerca la quadra o un cinema che disperatamente e passionatamente cerca l’inquadratura? Almeno per noi, una domanda retorica: meglio il secondo, che stralunato, sbilenco, persino pericolante provi ad affermare il primato della riproduzione sulla realtà, ovvero a trasfigurarla. Succede con Mi fanno male i capelli di Roberta Torre, che mutua il titolo dalla celebre battuta di Monica Vitti in Deserto rosso di Michelangelo Antonioni.
In cartellone alla Festa del Cinema di Roma e già nelle nostre sale, muove poeticamente da differenti parole della Vitti, “Ho l’impressione di scordarmi ogni giorno qualcosa”, rivolte al Marcello Mastroianni de La notte, ancora di Antonioni. È lì, di fronte a quella scena vista in tv che la Monica incarnata da Alba Rohrwacher incomincia a identificarsi con i personaggi incarnati dall’altra, celebre Monica, ed è un passaggio di senso: la giovane donna sta perdendo la memoria, dimenticando il passato e dunque se stessa, ed è alle dramatis personae della Vitti che chiede una restituzione di vissuto, sentimenti e storia.
Qui il racconto di Torre, anche sceneggiatrice in solitaria, molla gli ormeggi, si fa libero fino a rasentare il ridicolo, ambizioso oltre la ragione, bello da straziarsi per dirci, e dirci forte, una cosa non inedita ma ormai inaudita: che possiamo vivere al cinema e di cinema, che il deficit cognitivo, e tutti gli altri, può colmarsi nell’immaginario e nelle immagini della Settima Arte.
Stare al gioco, questo labile e pericoloso, si deve, lo fa Edoardo (Filippo Timi), che Monica la ama profondamente, fino alla (di lei) follia, fino a spartirla con i Mastroianni, Delon e Sordi con cui la Vitti divise lo schermo, insomma, fino a condividere un’altra (sur)realtà. La notte, L’eclisse, Deserto rosso, Teresa la ladra, Amore mio aiutami, Polvere di stelle, le pellicole acquisiscono carne e spirito, interloquiscono, rimpiazzano, sì, vivono: forse Mi fanno male i capelli non ha drammaturgicamente il respiro del lungo, ma quanti film italiani ultimi scorsi stanno con la bombola d’ossigeno già dopo poche scene?
A impreziosire i costumi citazionisti con garbo di Massimo Cantini Parrini e le musiche – il suo più grande successo, In the Mood for Love di Wong Kar-wai, echeggia malandrino – di Shigeru Umebayashi, Torre non fa prigionieri, concede abbastanza poco alla verosimiglianza e infinitamente alla residenza e persistenza della finzione nella realtà, e persino verità. Edoardo ha debiti, c’è chi rivendica gioielli, ci sono tutte le brutture del mondo là fuori, mentre Monica sta fuori di testa e meglio di tutti: Alba Rohrwacher la assiste con dedizione e devozione, vagheggia per lei l’impossibile paragone con la Vitti, e dopo aver ammansito un leone di pietra avvicina la testa all’alter ego sulla locandina di Polvere di stelle al Cinema Augusto di Sperlonga. Screanzata lei, scellerato il film, e grazie a Dio: la centrifuga restituisce, in fondo, anche gli ultimi anni di Monica Vitti, passati nella malattia e nella cura del marito Roberto Russo. Programmaticamente vi faranno male i capelli, ma gli occhi no: abbiate coraggio, anche voi.