il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2023
Edmund White, quando qualsiasi cosa diventa materiale da romanzo
“Ho sempre avuto la convinzione quasi religiosa che la scrittura fosse un modo elevato di dire la verità”. Edmund White, americano di Cincinnati, a 83 anni resta un maestro dell’autofiction. Un passaggio è rivelatore della sua intera bibliografia: “Anche quando gli sbirri lo arrestano mentre succhia un cazzo che spunta dal buco di un peepshow, lo scrittore pensa: Materiale da romanzo”.
White – sopravvissuto alla falce dell’Aids – è l’ultimo testimone di mezzo secolo di vita omosessuale negli Usa. Intellettuale colto e mondano, capace di coniugare terrazze romane e cessi del Greenwich Village, ha marcato una cesura perché prima di lui – vedi Gore Vidal o Truman Capote – i gay erano protagonisti di storie sterilizzate. Con White debutta una vera e propria letteratura di minoranza propiziata dalla rivolta di Stonewall del 1969. Nel giugno di quell’anno omosessuali, lesbiche e travestiti di fronte all’ennesima irruzione della polizia in un bar gay di New York reagiscono con una guerriglia urbana. “È stata la nostra presa della Bastiglia”. Il rimando alla Rivoluzione francese non è casuale considerata la lunga permanenza oltralpe dell’autore al punto di avere consacrato i suoi saggi più importanti a Rimbaud, Genet e Proust.
Il più europeo tra gli scrittori yankee si afferma nel 1982 con Un giovane americano, primo capitolo di una tetralogia parzialmente autobiografica composta da La bella stanza è vuota, La sinfonia dell’addio e completata nel 2000 da L’uomo sposato, in libreria nella nuova traduzione di Alessandro Bocchi per Playground. Un monumento di oltre mille pagine che restituisce la storia dell’identità omosessuale da Stonewall all’Aids (White ci convive dal 1985). Un giovane americano è un ragazzo degli anni 50 che rispecchia e tradisce il suo autore: entrambi sono figli di genitori divorziati e studiano in scuole esclusive del Midwest. Per sormontare l’esclusione sociale e accettare la propria diversità, il protagonista si affida a uno psicanalista che invero tenta di guarirlo dalla “malattia”. La bella stanza è vuota segue la giovinezza universitaria a New York con le prime esperienze erotiche e il senso di appartenenza a una comunità. La sinfonia dell’addio celebra la liberazione del desiderio. Pagine che sono il commiato a un’epoca – ecco spiegato il riferimento alla sinfonia di Haydin – in cui il sesso era un appetito che doveva essere “sfamato ogni giorno”.
Con L’uomo sposato siamo nella Parigi di fine anni 80. Austin è un professore Usa di mezza età intento a scrivere un saggio sul mobilio francese del XVIII secolo, prigioniero di un “puritanesimo americano mescolato con la lussuria”. In palestra incontra Julien, un architetto francese più giovane in procinto di divorziare dalla moglie, uno a cui piace “navigare sia a vela che a vapore” (espressione francese per la bisessualità). Nasce un rapporto di coppia intenso ma impari non solo per la collisione tra due culture ma perché “Julien non era mai stato costretto a vivere la propria omosessualità come un atto pubblico e politico in quanto membro dichiarato di una minoranza disprezzata”. La storia vira al dramma quando Julien si ammala di Aids, diventa “un mucchietto di ossa dinoccolanti” e muore in un lurido ospedale in Marocco. L’uomo sposato commuove perché qui la fine tragica di un amore è la metafora di tutto ciò che la Storia ha negato a una generazione di uomini alla ricerca inesausta della propria felicità. Julien non è che la controfigura di Hubert, l’amante che morì tra le braccia di White nel 1994 proprio nel Paese nordafricano.
Se Ragazzo di città è la cronaca delle sue innumerevoli frequentazioni celebri e intellettuali, My Lives tra marchette e analisti è il manifesto di una generazione nonostante sia sempre il suo io a debordare. Un io che pure ha saputo ritrarsi in opere come Una santa del Texas, La vita di prima o nel racconto di un’amicizia tra un etero e un gay sublimata in Jack Holmes e il suo amico. Il valore dell’opera di Edmund White rispetto alla liberazione omosessuale – per citare Francesco Gnerre, autore de L’eroe negato – è “nella determinazione a resistere, a non lasciarsi travolgere, a non ricadere nel nostro passato di auto-condanna e ostilità nei confronti di noi stessi”.