La Stampa, 20 ottobre 2023
Le lettere di Gobetti
«Era un giovane alto e sottile, disdegnava l’eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso. I lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte». Così Carlo Levi tratteggiò l’immagine di Piero Gobetti, infaticabile editore e saggista torinese che nella sua breve esistenza (1901-1926) ha lasciato un segno profondo nella storia della cultura italiana del Novecento.
Grazie al prezioso lavoro di curatela di Ersilia Alessandrone Perona, dopo la corrispondenza di Gobetti con la moglie Ada Prospero e quella relativa agli anni 1918-1922 e 1923, è ora disponibile, edito da Einaudi, anche il Carteggio 1924: un anno segnato, il 10 giugno, dall’assassinio di Giacomo Matteotti, che lo vide cimentarsi nell’organizzazione dei “Gruppi di Rivoluzione Liberale”, un movimento nato con l’obiettivo dichiarato di creare una nuova classe politica.
Un impegno politico che si affiancò allo sviluppo della casa editrice costituita nel 1923, alla fondazione della rivista letteraria Il Baretti nel pieno della crisi Matteotti, oltre alla pubblicazione del settimanale Rivoluzione Liberale, uscito per la prima volta nel febbraio del 1922.
Delle 1.765 lettere raccolte in Carteggio 1924, ben 1.612 sono relative a messaggi che Gobetti ricevette anche da gente comune che si rivolgeva a lui per il suo coraggio e per l’intransigenza morale e politica espressa nella sua attività giornalistica e di organizzatore culturale.
«Un mondo sommerso – annota la curatrice – non disposto a cedere: operai e impiegati di categorie combattive e acculturate come i ferrovieri, medio ceto di insegnanti, professionisti (in prevalenza avvocati, giornalisti di provincia), alcuni medici, militari, fino ad autori affermati i cui scritti più audaci erano stati respinti da altre case editrici».
Tra i corrispondenti di Gobetti vi furono esponenti dell’antifascismo come Amendola, Turati, Sturzo, Merlino, Nitti, Rosselli e Salvemini, figure di primo piano del mondo culturale e universitario (Luigi Einaudi, Cabiati, Corbino, Severi, Tilgher, De Ritis, Prezzolini), ma anche personalità vicine al fascismo come Curzio Suckert (Malaparte).
Dalle lettere emerge anche il suo difficile lavoro editoriale come nello scambio epistolare con un giovane Eugenio Montale per la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, Ossi di seppia, in cui il Gobetti editore metteva il suo interlocutore di fronte alla dura realtà delle problematiche commerciali: «Le sue poesie mi piacciono, purtroppo però l’esperienza di altri versi mi dice che per un volume di eccezione e di gusto come il suo c’è in Italia uno scarso pubblico. Mandando ai suoi amici schede di prenotazione crede che si arriverebbe a qualche risultato?». E ancora: «Le recensioni non hanno diretta confluenza sulle vendite se non in certi casi. Sarà meglio conservare al libro un sapore d’inedito e perciò non pubblicarlo troppo prima».
Giuseppe Prezzolini, invece, si lamentava, parlando del suo libro su Giovanni Papini, che «le tue bozze sono semplicemente fastidiose. Non ho mai durato tanta fatica a correggere. Mi meriterei un compenso soltanto come correttore di bozze! Forse hai voluto fare un dispetto al “sostenitore del regime fascista”?».
Capitava che talvolta a sfogarsi fosse Gobetti, come quando scriveva a Natalino Sapegno: «Un settimanale è una fatica d’inferno. Io mi trovo con incredibile esuberanza di materiale, ma tutto mediocre, tutto votato al cestino. Devo scrivermi il giornale tutto da me, in condizioni disastrose, disperso come sono tra tanti impegni e tra tante faccende».
È nota, invece, la critica severa e spesso corrosiva di Gobetti nei confronti della vecchia classe politica liberale e della sinistra, con l’eccezione per il gruppo dell’ “Ordine Nuovo” di Antonio Gramsci e per l’intransigenza politica e morale di Giacomo Matteotti.
Gobetti conobbe di persona il segretario del Partito socialista unitario il 20 gennaio 1924, a margine di un comizio di Filippo Turati al teatro Scribe di Torino. «Ci si intese subito sull’antifascismo – ricorderà il giovane editore torinese – Anche lui lo sentiva d’istinto. Nella fronte corrugata a serietà, negli occhi fermi e pensosi, nelle labbra atteggiate a tagliente ironia avvertii un vero stile di oppositore».
Il giorno dopo il famoso discorso di Matteotti, il 30 maggio, sulla denuncia delle irregolarità e delle violenze relative alle elezioni politiche del 1924, Mussolini inviò al prefetto di Torino, con esplicito riferimento a Gobetti, un telegramma con l’ordine di «Vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore Governo et Fascismo».
Le lettere del secondo semestre 1924 ci restituiscono un Gobetti impegnato ad alimentare la battaglia politica per cacciare dal governo Benito Mussolini, stimolando costantemente il fronte delle opposizioni.
Nel pieno della crisi Matteotti, il 24 giugno, a margine di una lettera a Turati, Gobetti sintetizzava il suo pensiero sul da farsi: «È necessario agire. Battere in blocco mussolinismo e maggioranza. Io credo Mussolini non cadrà: ma bisogna, se cade, che siano le minoranze a farlo cadere e a succedergli. Guai se si dovesse tornare a Giolitti! Bisogna formare un governo di partiti, non di false concentrazioni».
Come noto, le cose andarono differentemente e Mussolini riuscì a riassorbire l’onda di sdegno e di condanna seguita all’omicidio Matteotti, nonostante – come scrisse Pietro Nenni – «Dal 12 giugno 1924 al 3 gennaio 1925, per una decina di volte l’esito della battaglia dipese da un nonnulla, da un gesto da una parola che non fu detta».
Il carteggio gobettiano aiuta, dunque, a comprendere appieno il clima e gli umori che agitarono il variegato mondo dell’antifascismo nel 1924, un anno decisivo per la definitiva affermazione del fascismo e, forse, anche ultima possibilità per modificare il corso della Storia e impedire che la violenza squadristica mettesse a tacere, tra gli altri, dopo Matteotti, nel 1926 lo stesso Gobetti e nel 1937 i fratelli Carlo e Nello Rosselli. —