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 2023  ottobre 19 Giovedì calendario

Un po’ di poesia

Una bella notizia: Roma, in pieno centro, nel Borghetto Flaminio alle pendici di Villa Borghese, avrà una Casa del poeta, là dove per oltre mezzo secolo ha vissuto e operato Valentino Zeichen. Un grande poeta «dandy e paradossale» (Valerio Magrelli), autore di testi importanti come Gibilterra eOgni cosa a ogni cosa ha detto addio.Ciò grazie al fatto chel’interaareastaperessererestituitaallacittàinvirtù della collaborazione tra l’amministrazione di Roma (gli assessoriMiguel Gotor,Maurizio Veloccia e Tobia Zevi), la facoltà di Architettura dell’Università Sapienza e la SoprintendenzaArcheologia,BelleArtiePaesaggio.In questo quadro di valorizzazione su un progetto della figlia di Zeichen, Marta, un posto speciale avrà la Casa del poeta, per la quale la Soprintendenza garantirà la tutela e la salvaguardia, attraverso un vincolo demoetnoantropologico. Una formula sottilmente esoterica, che tuttavia costituisce un dispositivo assai chiaro: la cura di quello che viene considerato un bene immateriale facente parte del patrimoniodell’umanità.È una bella notizia, dicevo, perché offrire nel centro di Roma uno spazio dedicato alla poesia non è solo un modo per celebrare le lettere e l’arte del verso: è, può essere, un’opportunità per riconoscere un ruolo alla creazione poetica all’interno della vita quotidiana e delle relazioni sociali. La poesia come un ristoro condiviso e un bene pubblico, che non significa dello Stato, per carità, bensì nella disponibilità di tutti e che contribuisce allo sviluppo della capacità umana di cogliereilbelloedigoderne.Cheè,anch’esso,undiritto fondamentale e una qualità unica e irripetibile dell’identità della persona. Insomma, la domanda è sempre quella: a che cosa servono i poeti? Ma è bene, penso, che questo antico interrogativo resti senza risposta. A ispirare tutto questo è la memoria di ValentinoZeichen.La costruzione in questione è parte di alcune unità abitative edificate abusivamente, dove Zeichen si insediò a partire dagli anni Sessanta, facendone la propria casa, e rimanendovi fino alla morte in condizioni di precarietà e di povertà. Un’abitazionecircondata da un bosco e immersa nel silenzio, assai prossima alla consolare di via Flaminia e a piazza del Popolo. Gli spazi della Casa del poeta dovrebbero essere costituiti dall’abitazione privata di Zeichen col suo arredamento originario, dal giardino destinato alla lettura, da una biblioteca, da un piccolo auditorium e daunbarristoro.Tutto questo è ancora interamente da realizzare, perché la casa oggi è ancora quella che il suo abitante definiva «una baracca». Ma, intanto, si stanno compiendo i primi e indispensabili passi. Si tratta di altrettanti segnali che mostrano una certa attenzione istituzionale tutt’altro che scontata nei confronti della cultura in generale e di quella che sembra essere la sua manifestazionepiùnegletta:lapoesia.Mi spiego partendo da una esperienza personale. Quando già Zeichen era gravemente malato, io di lui conoscevo solo le raccolte poetiche, ma fui sollecitato dai suoi amici e dalla figlia perché mi adoperassi al fine di ottenere il cosiddetto “vitalizio Bacchelli”. Un modesto sussidio previsto da una legge del 1985 per quei cittadini che «abbiano illustrato la patria». La procedura per l’assegnazione del vitalizio fu lunga e macchinosa e decidemmo di affrontarla, nonostante ignorassimo quale potesse essere la reazione dello stesso Zeichen, uomo non facile, fiero e ostile a ogni compromesso. Ma nelle mie intenzioni si trattava di un atto di responsabilità e di gratitudine da parte delle istituzioni in ragione della sua intensa attività artistica: una sorta di gesto unilaterale e di riconoscimento della suaqualità letteraria.Infine, il consiglio dei ministri deliberò a favore del provvedimento, ma il poeta ne poté beneficiare solo per alcuni mesi. Ancora più drammatica fu lasuccessiva vicenda di Giancarlo Majorino, una delle voci poetiche più limpide e forti degli anni Sessanta e Settanta. Il 20 maggio del 2021 ricevetti una telefonata da RobertoGarofoli, sottosegretario allapresidenza del Consiglio, che si felicitava con me perché dopo una iniziativache andava avanti ormai da due anni, proprio quella mattina il consiglio dei ministri aveva deliberato a favore della concessione del vitalizio per Majorino. Dovetti dirgli che il poeta milanese era morto appena alcune ore prima. Stessa sorte toccò a Dario Bellezza, deceduto il 31 marzo del 1996, che ricevette il sussidio perpochimesi.Devo dire che in altre e fortunatamente numerose circostanzel’impegnoperottenereilvitalizioèandataa buon fine (Alda Merini, Elio Fiore, Anna Maria Cascella…), ma ogni volta è stata una impresa davvero improba. La procedura si è rivelata estremamente complessa e faticosa, sottoposta a mille rinvii, ritardi, ostacoli. Come se la pesantezza e la torpidezza della macchina dello Stato, pur relativa a un provvedimento di così ridotta entità economica e di così lineare intenzionalità politica, si rivelassero troppo gravose e lente per la delicatezza e la fragilità della sostanza poeticaedella stessavita fisicadei destinatari.Per quanto mi riguarda, tutto ebbe inizio quando, nel1995PaoloVolponi mifececonoscerel’esistenzadel Fondo Bacchelli e mi assegnò imperiosamente il compito di seguire la vicenda di Alda Merini. Gliene sonoancoragratoanchese,dopoquasitrent’anni,devo riconoscere che il suo asperrimo scetticismo nei confronti delle istituzioni pubbliche e della loro mancata sensibilità verso la cultura non può che essere confermata. Quello di Roma è il piccolo segnale di una possibileinversioneditendenza?Un’opportunità per riconoscere un ruolo alla creazione poetica all’interno della vita e delle relazioni sociali