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 2023  ottobre 19 Giovedì calendario

Dietro al tram di Roma

Roma conta 2 milioni e 700mila abitanti su una superficie di 1300 km quadrati. È il comune più popoloso d’Italia, il terzo dell’Unione Europea. Ma è anche il comune più esteso d’Italia e della Ue. La sua rete tranviaria è un sistema di trasporto pubblico locale di superficie composto attualmente da sei linee urbane, per una lunghezza complessiva di circa 36 km, gestito interamente dalla società in house Atac per conto dell’ente Roma Capitale. Una città pronta in questo momento alla realizzazione di un nuovo progetto: la nuova tranvia TVA – Termini-Vaticano-Aurelio, in seguito a un avviso pubblico successivo di trenta anni dall’ultima gara. Ventidue vetture, ottomila metri, 90mila persone al giorno: di questo stiamo parlando.
Una rete tranviaria è presente in circa 270 città europee, eppure molte sono le polemiche a Roma – tra giornali come Il Messaggero, pensatori, addetti ai lavori – intorno al caso del nuovo progetto romano: dall’inquinamento acustico all’utilizzo di materiali compatibili; dallo smog alle pedonalizzazioni e la sicurezza, a come il progetto si inserisce oggi in una città fatta di migliaia di persone, di quartieri e di trasporti diversi.
Ricostruire la dimensione storica e sociale dei tram può aiutare a guardare meglio quell’agglomerato complesso che è la mobilità di Roma, tra processi decisionali e urbanistici a cui far somigliare la città. Il tram si inserisce in un discorso più ampio che parte da molto lontano.
La storia
Grazie alle fonti e i documenti dell’Archivio Capitolino, si può vedere come servizi di trasporto collettivo nella Roma papalina si attivarono intorno alla metà dell’Ottocento, con carrozze trainate da cavalli chiamate con termine latino omnibus ("per tutti").
Dopo l’unione di Roma al Regno d’Italia, un gruppo di imprenditori privati fondò nel 1871 l’Impresa Romana degli Omnibus, poi Società Romana Tramways Omnibus (SRTO).
Per la definitiva introduzione del tram elettrico urbano bisogna attendere il 1895 quando, aumentata la produzione di energia elettrica, fu attivata dalla SRTO la linea Termini-S.Silvestro, alimentata con cavo aereo. La municipalizzazione si decretò nel 1909, sotto la giunta di Ernesto Nathan: l’Azienda dei Trasporti Municipali diventa realtà e la sua prima linea creerà il collegamento tra Piazza Colonna e il quartiere operaio di Santa Croce. La nascita delle municipalizzate a Roma segnò anche il progresso delle classi lavoratrici.
I tramvieri e la loro organizzazione sindacale ebbero un ruolo importante nelle lotte del biennio 1921-1922, quando il radicalizzarsi in tutto il paese dello scontro sociale avrebbe aperto la strada alla Marcia su Roma. Nel ’21 si poteva seguire il tracciato di 32 linee tramviarie urbane (di cui 30 gestite dalla municipalizzata) che attraversavano la città.
Con la guerra furono smantellati i binari per dare ferro alla patria e importanti nodi logistici tramviari furono colpiti dai bombardamenti del ’43.
Dopo la liberazione cominciava la ricostruzione: con il ritorno alle istituzioni democratiche l’azienda fu ridenominata “Azienda Tramvie e Autobus del Comune di Roma” (ATAC).
A partire poi dai lavori per le Olimpiadi del ’60 fu in parte ridisegnato il sistema del trasporto pubblico di superficie e dal ’74 iniziarono una serie di interventi di ammodernamento. A metà anni Ottanta insistevano quindi su Roma otto linee tranviarie e dopo vari lavori la rete assunse la configurazione attuale con sei linee: 2, 3, 5, 8, 14 e 19.
Carlo Cellamare, docente di Urbanistica nella Facoltà di Ingegneria Civile dell’Università La Sapienza e direttore della rivista Tracce Urbane spiega: «Le linee dei tram hanno una maggiore capacità di raccogliere l’utenza quando l’insediamento è più diffuso, oltre ad avare un minore impatto ambientale, con più fermate e servendo più quartieri.
Questo ci fa pensare a come il tram sia favorevole nei territori in cui l’insediamento è a bassa densità e non si possono realizzare metropolitane, che hanno bisogno invece di alte concentrazioni».
Cellamare sostiene che realizzare queste assi vuol dire però dover pensare alla città in un altro modo per evitare falle come l’innalzamento drastico dei servizi immobiliari.
Il mezzo più urbano
A fine anni Novanta sono stati elaborati programmi di sviluppo della rete tranviaria nell’ambito della cosiddetta cura del ferro ma essi hanno trovato solo parziale realizzazione.
La cura del ferro fa particolare riferimento alla proposta del 1996 del Comune di Roma, nota come Rete Metrebus 3x3, che prevedeva la realizzazione di tre passanti ferroviari integrati con altrettante metropolitane urbane, un progetto enorme per la città, le cui idee ne avrebbero forse cambiato l’idea che abbiamo. Walter Tocci, ex vicesindaco e assessore alla mobilità, ha parlato di «città trampedonale», un’innovazione tecnologica e urbanistica che si sarebbe potuta realizzare con il progetto Metrebus.
Secondo questa idea, la città dovrebbe essere attraversata da una rete di passanti collegata all’asse tramviario centrale, distendendo le relazioni tra le varie parti della città, tra centro e periferia.
Tocci sosteneva che «la metropolitana e la ferrovia hanno un rapporto difficile con la città, la prima la evita passando sotto e la seconda la elude girando intorno. Il tram, invece, è il modo più urbano perché accetta di vivere in città e anzi ne costituisce la continuità fisica e narrativa».
Sembra che «Roma non ha alcuna peculiarità tale da non renderla adatta al tram», così risponde anche Andrea Spinosa, ingegnere, fondatore del blog CityRailways, quando gli si chiede come potrebbe delinearsi il futuro per la città.
Spinosa sostiene che «oggi non abbiamo contezza che la forma urbis che vediamo innaturale per il tram è nata proprio con il tram» e che «fare un tram significa fare un progetto di città, ripensare le strade attraversate, riprogettarne l’aspetto passando da uno stato presente tutt’altro che ottimale a uno di futuro prossimo che sia più vivibile e piacevole. Pensare a un mezzo di trasporto sicuro efficace in termini di offerta di trasporto e in termini di costi e consumi energetici, che richiede spazi di transito minori di quelli del trasporto su gomma, significa anche riscoprire lo spazio pubblico».
Alla luce di questa complessa storia, insomma, è forse più di tutto importante interrogarsi sulle varie componenti che fanno davvero una città.
(Questo testo nasce da un episodio edito per Sveja Podcast)