il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2023
Biografia di John Le Carré
Tra i nomi di scrittori storpiati dai lettori ci sono Scìa-scìa – che ha portato l’autore siciliano sulle piste da neve –, Rondò Carducci e Le Carrère. Ai tempi del successo di Limonov, Carrère era ancora piuttosto sconosciuto e veniva confuso con il più celebre e affermato le Carré.
John le Carré (1931-2020) è lo pseudonimo francese scelto dallo scrittore inglese David Cornwell per firmare i suoi 26 romanzi, molti dei quali best-seller internazionali diventati altrettanti film. Lo ha scelto fin dal suo esordio, Chiamata per il morto (1960), mentre vagava per Londra in autobus. Il successo arriverà con il terzo titolo, La spia che venne dal freddo (1963). Difficile mantenere nascosta l’identità quando sei in testa per mesi alla classifica delle vendite riportata dal New York Times. Prima è emerso il vero nome e poi l’appartenenza ai servizi segreti, da molti sospettata (dunque Elena Ferrante e la e/o sanno proteggere i loro segreti meglio dell’intelligence di Sua Maestà). A quel punto – grazie ai diritti d’autore –, erano inevitabili le dimissioni da 007 per darsi a una vita da romanziere: qualche scappata a Londra, viaggi esotici per documentarsi, ma soprattutto molto tempo passato nella casa sulle scogliere della Cornovaglia, di fronte all’Oceano.
Abbandonato dalla madre a cinque anni in balìa del padre Ronnie, che oscillava tra momenti di presenza, megalomania e promesse ad altri di lontananza, povertà e carcerazione, David/John è riuscito a trasformare la propria vita devastata dall’incertezza, dalle bugie e dal tradimento in un propellente per thriller spionistici malinconici ed esistenziali. L’ispirazione gli è venuta mentre lavorava come spia, prima nel Mi5 e poi nel Mi6. In una lettera pubblicata nella raccolta della corrispondenza (Vita privata di una spia, uscito postumo, qualche settimana fa, con Mondadori), lo scrittore parla di sé e del padre: “Un paio d’anni fa sono entrato in possesso del mio dossier della Stasi, che aveva dentro solo quattro ritagli di stampa tedeschi e nient’altro. Il dossier su mio padre, al contrario, era davvero notevole: truffatore di professione, ma anche mercante d’armi (reato per il quale era finito in carcere in Indonesia), andò in Germania dell’Est e si offrì come intermediario e facilitatore per, si presume, la vendita di armi ai Paesi terzi… Ma continuano ad arrivare informazioni su di lui: persone che ha truffato in località remote, lettere dei suoi ex carcerieri di Hong Kong, ecc.”. Nel momento in cui veniva scritta la lettera, Ronnie Cornwell era morto da un pezzo e il figlio gli aveva pagato il funerale ma senza parteciparvi. Come Rick Pym, personaggio di Una spia perfetta (1986), per Philip Roth, il romanzo più bello uscito in Inghilterra nel dopoguerra. L’uso dello pseudonimo – imposto dal Mi6 – ha liberato l’autore dal peso del cognome paterno, mentre l’appartenenza a quella potente istituzione l’ha sgravato della precarietà economica, consentendogli di laurearsi in Lingue moderne a Oxford (tedesco e francese).
Dalle lettere non bisogna aspettarsi sfoggi di stile e arguzia culturale, ma comunicazioni essenziali, con diversi riferimenti a fatti e persone del mondo artistico e politico, ambienti che detestava e da cui si teneva alla larga. Le Carré parla per esempio del “rilevatore automatico di merda” che si dovrebbe avere incorporato, secondo gli auspici di Hemingway, per distinguere al volo situazioni, libri e persone da evitare. Dà dello “stronzo”, per stare in tema, a Martin Amis; e ricorda uno sgradevole incontro con Anthony Burgess al festival letterario di Lancaster. L’autore di Arancia meccanica aveva tenuto una conferenza poco prima e ammonito il pubblico a non confonderne le Carré con la vera letteratura.
Non mancano ovviamente giudizi politici. Le Carré era interessato a tornare nelle “terre insanguinate” dell’Est Europa per raccontare come dalle ceneri delle dittature sono nate altre dittature: Putin, Lukašenko, Orbán… Se l’anticomunismo non può che essere viscerale, le Carré ne era impregnato, avendo lavorato in Germania quando tiravano su il Muro di Berlino, chiudendo in gabbia milioni di persone e sparando a vista su chi tentava la fuga. Ma detestava pure il repubblicano Trump, sostenendo che era il perfetto ostaggio dei servizi segreti russi, uno che non hai bisogno di istruire ma ti basta favorirne l’ascesa per poi essere sicuri che, una volta al potere, farà danni enormi e lavorerà per te anche senza bisogno di istruzioni. Così come ce l’aveva con Tony Blair per l’avventura della guerra in Iraq sulla base di false informazioni (presenza di armi non convenzionali nell’arsenale di Saddam).
Legato agli intrighi fioriti durante la Guerra Fredda, le Carré ha saputo sopravvivere alla caduta del Muro di Berlino ambientando le sue ultime opere in altri scenari non meno avventurosi come l’Africa e i Caraibi. Certe carriere, a cavallo tra arcana imperii e repubblica delle lettere, fanno subito pensare alla differenza rispetto a figure ibride italiane meno poetiche, nonostante lo pseudonimo, come Betulla, la firma di Libero Renato Farina. Ostile alle derive populiste, di cui smascherava il finto spontaneismo, le Carré se l’è presa infine con Boris Johnson per la Brexit a tal punto da chiedere la cittadinanza irlandese tornando nel villaggio dove era nata e cresciuta la nonna, Ichinillin: un paesino di due sole case.