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 2023  ottobre 18 Mercoledì calendario

Intervista a Calcutta

Calcutta, che fine aveva fatto?
«Niente di che, gli anni passano velocemente. Ho scritto canzoni per altri, ho visto film, sono stato a casa.
Ma non mi piace parlare di fine.
Preferisco pensare la vita come una cosa in divenire. E poi non avevo voglia di fare un disco».
L’album alla fine l’ha fatto, si chiamaRelax,vero manifesto di vita per il cantautore di Latina, 34 anni, e arriva venerdì a cinque anni dal precedente. Relax,perché vuole fare le cose a modo suo, con i suoi tempi, senza stress. Nell’ansia da presenzialismo del mondo dell’intrattenimento Edoardo “Calcutta” D’Erme non compare spesso, neanche sui social. E ora, a disco finito – ed è un album maturo, denso, bello, con echi di «oscuro pop italiano anni Settanta», forse «un po’ di Battisti, Dalla» – alla vigilia di un tour nei palasport subito tutto esaurito, nella prima intervista dopo anni, con il suo consueto understatement racconta, seduto nella rampa di un garage che porta alla sala prove, nel quartiere Africano a Roma… «L’album? Io non sono mai soddisfatto, l’importante è capire quanto non sono soddisfatto, e a me sembra di non essere soddisfatto in una maniera sufficiente per dire che presto mi piacerà».
Otto anni fa pubblicava “Mainstream”, da allora è partita una corsa al gigantismo nella musica, tutti vogliono suonare negli stadi: si sente a suo agio?
«Io sto già bene così, non ho fame di suonare in posti così grandi. Che poi già in molti palazzetti italiani si sente malissimo, non credo che negli stadi sia meglio. La mia ambizione è qualitativa, non quantitativa. Senza troppe pressioni».
Relax.
«E poi crei scompiglio. Quando ho suonato allo stadio di Latina mi scrivevano “guarda sto stronzo che ha bloccato la circolazione” e cose così… Soffro molto a stare al centro di un certo tipo di attenzione. Mi logora. Poi magari gli stadi li farò comunque, non lo so. Ma non mi piace parlare di mercato, non ci capisco niente».
Vive male la fama?
«Se posso fare felice una persona semplicemente sorridendo in una foto perché no. Non mi piace quando si creano situazioni non naturali, quando mi sento costretto. Poi domani finisco nel peggiore dei talk show, chissà. Ma in tv mi sento come di dover riempire uno spazio, potrei fare la ruota e sarebbe uguale. Il mio è un misto di sofferenza e timidezza, anzi no, imbarazzo. In generale non mi piace curarmi della mia immagine pubblica. Forse è una scelta sbagliata per la carriera, ma mi sento più onesto così».
L’album inizia con un coro alpinoin cui canta “Se non esistessero i soldi noi due dove saremmo? Non si farebbe Sanremo. Forse è anche meglio così”. Così finalmente smettiamo di chiederle quando andrà al festival?
«Ma no, è uno scherzo. È una riflessione sull’economia, non ho nulla contro Sanremo. Non mi farete dire questo! Mi sta simpatico, è un totem, ci si può anche scherzare, non è niente di sacro. Prendere bonariamente in giro Sanremo è prendere in giro noi stessi purtroppo, ahaha».
Canta molto di solitudine. In “Loneliness”, in “Giro con te” (“sono stato un po’ solo…”), in “Ghiaccioli” (“e adesso che sono solo…”).
«Sono stato chiuso in un monolocale a Bologna durante il Covid. Non è stato semplice ma mi ha fatto bene, mi sento cresciuto. Non sono diventato un misantropo, ho solocapito che molte cose che facevo forse erano inutili, non esco più spesso come prima».
In “Controtempo “canta “non ero mai finito a letto con una di destra”…
«Nasce da una fantasia, diciamo. Non mi è mai capitato e mi sono chiesto: chissà. Sarebbe un po’ strano. Ma non è neanche una fantasia erotica, solo una cosa che mi incuriosiva».
In “Tutti” dice “i leghisti lì in riva al Po non hanno più un capobranco”. Mai pensato di scrivere un testo dichiaratamente impegnato, come i cantautori degli anni Settanta?
«Non c’è niente di offensivo contro i leghisti, mi piaceva questa immagine, una specie di processione in cerca di una direzione. Gli argomenti, anche quelli politici, li tratto in modo diverso rispetto a quello diretto dei cantautori. Mi diverte di più disseminare cose,anche scherzarci».
In “SSD” immagina di parlare con sua madre (scomparsa improvvisamente nel 2021) sotto effetto di Lsd.
«Parlando con amici ho scoperto che c’è gente che usa gli allucinogeni come strumento medianico. Ho cercato di metterci un po’ di leggerezza nell’amarezza. Non dirò certo se ho provato in prima persona.
È stato un avvenimento molto triste, quindi ovviamente ha influenzato l’umore del disco e dei miei pensieri.
Ci sono varie cose disseminate nell’album. Io comunque alla fine sono uno che ha un’impostazione un po’ strana per i testi, non sono Bob Dylan. Scrivo le canzoni per creare sensazioni, paesaggi, cose».
In futuro si immagina solo autore o anche interprete?
«Secondo me ci sono delle persone che sono nate per fare questo. Tipo Elisa, si vede, è nata per scrivere, per cantare, per essere un faro della musica italiana. Probabilmente Jovanotti geneticamente è predisposto. Forse Paul McCartney, anche se lui si è fatto pure molto i fatti suoi a un certo punto. Io non mi sento di dire che sono parte di quella stirpe. Scrivere anche per altri mi fa fare il mio lavoro più serenamente: so che se un giorno non andranno bene le cose o se non mi andrà più ci sarà comunque una cosa che posso fare».
Come sarà il tour?
«Spero che vada bene come gli altri, che dia felicità. M’accontenterei, diciamo». Relax.