la Repubblica, 18 ottobre 2023
Intervista a Gilles Gressani
n meno di quattro anni, la rivistaLe Grand Continent è diventato un punto di riferimento del dibattito intellettuale e strategico in Europa. Con analisi, editoriali, lunghe interviste, spunti di dottrina, infografiche e cartografie tematiche, la rivista online combina la potenza del digitale a un parco collaboratori di oltre 1600 firme, da Henry Kissinger a Carlo Ginzburg, da Thomas Piketty a Mario Vargas Llosa. «Puntiamo a strutturare il dibattito continentale arricchendo le questioni della politica contemporanea con un’esigenza intellettuale adeguata alla scala europea» spiega il direttore Gilles Gressani, trentenne valdostano di brillanti studi che ha conquistato l’élite culturale d’Oltralpe.
«Multiscalare e multidisciplinare», la rivista online – 22 milioni di visitatori l’anno scorso, accesso gratuito con una parte riservata agli abbonati – è ormai multilingue. Dopo un’edizione in spagnolo, arriva quella in italiano, con l’obiettivo di essere presente l’anno prossimo anche in Germania e Polonia.
Partiamo dall’inizio: il suo periodo di studi negli Stati Uniti.
«Quello che mi ha impressionato negli Usa non è tanto la qualità del dibattito intellettuale quanto l’infrastruttura che permette di far circolare le idee, con percorsi tra università, ricerca, decisione e dibattito pubblico. Anche noi cerchiamo di connettere questi tre punti: sapere, dibattito, decisione».
Vi siete lanciati nel 2019, con base all’École Normale Supérieure di Parigi. Quale metodo vi siete dati?
«Cerchiamo di articolare il tempo deldibattito più immediato e intenso, quello di un tweet, con la temporalità più lenta della ricerca scientifica. In questi vertiginosi anni Venti, attraversiamo crisi costanti che ci mettono in una situazione paradossale: dobbiamo diventare epidemiologi, esperti dei paesi post-sovietici, specialisti del terrorismo. Abbiamo più di 1600 autori di ogni nazionalità ed età, che hanno lavorato per anni sui temi sui quali li interroghiamo».
Come scegliete i contenuti da pubblicare?
«I nostri contenuti devono parlare a lettori da Varsavia a Siviglia, da Parigi a Napoli, passando per Berlino, Vienna e Milano. Oggi ci sono una serie di tematiche fondamentali che si muovono sulla scala del grande continente mentre gli spazi mediatici sono ancora su scala nazionale. Siamo diversi dai giornali un po’ comeForeign Affairslo è rispetto alWashington Post.È un approccio che ci permette di affrontare solo le questioni strutturali dell’interregno che stiamo vivendo».
Molti avevano previsto la fine delle riviste intellettuali. Grazie al digitale, possono rinascere?
«Le grandi riviste intellettuali del Ventesimo secolo vendevamo qualche migliaio di copie. Alcuni dei nostri contenuti raggiungono più di un milione di persone. Ciò non significa che facciamo articoli diversi rispetto al passato, ma li pensiamo in un ecosistema digitale, cercando di attivare la risposta giusta quando la domanda è presente».
Qual è il vostro posizionamento politico?
«Siamo strutturanti non strutturati. In questo momento in cui tutto sta cambiando, il fatto di essere posizionati al centrodestra o alcentrosinistra è un’illusione poco fruttuosa. Non bisogna essere da qualche parte, con qualcuno, ma cercare di capire come si spostano i pezzi sulla scacchiera. Stiamo vivendo in modo individuale le trasformazioni del mondo. Il Covid ci ha costretti a casa. Il cambiamento climatico porta il fuoco davanti alle finestre della Valle d’Aosta. La guerra non è mai stata così presente. Servono spazi per pensare risposte a queste trasformazioni, e forse anche per governarle. È questo il punto nevralgico in cui vogliamo posizionarci».
Avevate già un’edizione in spagnolo, ora l’Italia. Su che base avete deciso l’espansione linguistica?
«Con la guerra in Ucraina, l’Europa si sta strutturando sull’asse orizzontale tra Washington e Kiev. Ma così ci si dimentica di trattare l’asse tra Nord e Sud, che decide il nostro presente e futuro. Da qui l’idea di cominciare con i tre grandi paesi mediterranei. Non si può pensare un’autonomia strategica, una transizione geopolitica europea senza avere una riflessione molto più forte sull’asse Mediterraneo ed euroafricano».
Cosa vorreste portare nel dibattito italiano?
«L’Italia è un posto in cui ci sono ancora notevoli eccellenze culturali e intellettuali ma paradossalmente poco ascoltate a livello internazionale. Una buona parte delle critiche all’Ue venute dall’Italia nell’ultimo decennioerano in parte fondate ma sono rimaste poco visibili. E forse, anche così, è stata alimentata la dimensione contestatrice della politica italiana. IlGrandContinent vuole dare spazio a posizioni anche fortemente critiche ma che servano a costruire un dibattito politico strategico su scala europea. Abbiamo già cominciato a pubblicare diversi intellettuali italiani, giovani ma non solo».
E farete scoprire autori internazionali poco noti in Italia?
«C’è un bellissimo testo di Arbasino degli anni Sessanta intitolato La gita a Chiasso,riferimento alla prima stazione del treno che va da Milano verso la Svizzera. Il consiglio di Arbasino agli intellettuali dell’epoca era di allontanarsi dai terreni conosciuti e aprirsi a nuove prospettive. IlGrand Continent èun po’ come la gita a Chiasso, solo che grazie al digitale non c’è bisogno di prendere le valigie».
C’è una forma di provincialismo italiano che resiste?
«Sono nato ad Aosta. La provincia ti seleziona il mondo. Nella biblioteca della mia città c’erano sostanzialmente tutti i libri che bisognava leggere. Quindi c’è un aspetto provinciale nell’Italia contemporanea che per me è positivo e va semplicemente riportato su scala europea. In realtà l’Europa sta diventando la provincia del mondo.
Nella nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti, la linea di frattura passa per l’Indopacifico: noi simmetricamente dove siamo? Tutte le questioni fondamentali non sono definite né dall’Italia né dalla Francia.
Dobbiamo capire che stiamo diventando provincia e proprio per questo costruire nuovi centri».
Oggi i temi cruciali si muovono su scala sovranazionale: perciò parliamo a lettori da Parigi a Napoli, da Vienna a Varsavia