Corriere della Sera, 18 ottobre 2023
Intervista a Roger Cohen
«Israele è in uno stato di choc estremo. Le persone sono furiose verso Hamas, responsabile di un crimine malvagio, che ha rianimato qualcosa di molto profondo negli ebrei: due millenni di persecuzioni e ovviamente l’Olocausto. Israele doveva essere la terra che avrebbe posto fine a questi pogrom. E d’improvviso scoprono che non lo è. Questo ha sconvolto tutti. Si sentono minacciati da uomini armati fino ai denti. C’era il sentimento prevalente che le cose stessero muovendosi in direzione della pace, mi riferisco agli accordi di Abramo o alle trattative con l’Arabia Saudita, e che la questione palestinese fosse stata marginalizzata. Tutto questo è scomparso di fronte a 1.440 israeliani assassinati in modo barbaro da Hamas».
Domani mattina Roger Cohen sarà nella Low Memorial Library della Columbia University a New York per ricevere il premio Pulitzer per l’International Reporting, insieme a un gruppo di colleghi del New York Times, premiati per la copertura della guerra in Ucraina. A farglielo vincere «The Making of Vladimir Putin», straordinario ritratto del presidente russo. Ma il giorno dopo l’attacco stragista di Hamas, Cohen è volato in Israele per raccontare dal vivo il dramma del Paese. È stato nel deserto del Negev, sui luoghi del rave trasformatosi in un massacro, dove i terroristi hanno ucciso oltre 250 ragazze e ragazzi: «Quando stai lì, senti ancora tutto quello che è successo. Erano giovani e volevano solo ballare».
«C’era anche tanta rabbia verso il governo – dice al telefono da Tel Aviv – la gente ne percepisce l’incompetenza, la distrazione verso problemi secondari, come la riforma giudiziaria, i coloni della West Bank da difendere in incidenti provocati da loro stessi. Questo non è stato solo il governo più a destra della storia di Israele ma anche il più inetto. È ovvio che la responsabilità ricada sui leader del Paese, soprattutto sul premier Netanyahu».
Ci sarà una resa dei conti?
«Non adesso. Le indagini, la commissione parlamentare d’inchiesta, capire come Hamas abbia superato barriere considerate imprendibili e per 12 ore abbia potuto uccidere a suo piacimento, tutto questo accadrà. Ma ora la priorità è un’altra: occorre essere uniti e porre fine una volta per tutte ad Hamas come potere militare e politico a Gaza».
Fino a che punto Israele ascolterà gli appelli a rispettare il diritto internazionale, evitando troppe vittime civili?
Contro l’esecutivo
Questo non è stato solo il governo più a destra della storia di Israele ma anche il più inetto
«È difficile. Il sangue sta già scorrendo. C’è desiderio di vendetta. Abbiamo ascoltato il linguaggio del ministro della Difesa, che ha parlato di “animali”. Allo stesso tempo, Israele rimane una democrazia, con una popolazione di cui fanno parte dei palestinesi, i cosiddetti “arabo-israeliani”, consapevole che l’opinione pubblica mondiale teme che in un’invasione di Gaza non vengano rispettate le leggi della guerra, che invece esistono e le società democratiche devono rispettare. Israele ha lanciato un appello all’evacuazione alle popolazioni della parte nord della Striscia. Ma è un’operazione molto problematica. Penso che ora Israele sia determinata ad annichilire, eliminare e distruggere Hamas a qualsiasi costo».
Entrando in piena forza a Gaza, l’esercito israeliano cadrebbe nella trappola tesa da Hamas?
«Non credo che Israele possa prenderlo seriamente in considerazione. In questo momento il sentimento dominante è “mai più”. Mai più massacri di ebrei da parte di Hamas, un’organizzazione che nel suo atto fondativo persegue esplicitamente la distruzione dello Stato ebraico. Eliminarla può essere fatto solo con un’azione di terra».
Quando parli di rischi, oltre ai costi umani, includi anche quello che salti ogni dialogo, un riavvicinamento con i Paesi arabi?
«Ogni dialogo verrà congelato, almeno per qualche tempo. Il problema è che l’unico nodo politico-diplomatico dimenticato in questi anni è il cuore della questione: due popoli vogliono avere il loro Stato sullo stesso pezzo di terra. E a mio avviso c’è una sola soluzione nel mondo reale. Chi parla di uno Stato confederato dove israeliani e palestinesi vivono in pace e democrazia, parla di La La Land. Questi due popoli oggi possono vivere solo in due Stati separati, dove forse un giorno molto lontano potrà anche succedere quello che è successo tra Francia e Germania e le barriere ai confini diventeranno irrilevanti. Ma c’è voluto un secolo».
Il massacro del rave
Quando stai lì, senti ancora tutto quello che è successo. Erano giovani e volevano solo ballare
Ma «due popoli e due Stati» è la via che Netanyahu ha del tutto delegittimato.
«Proprio così. Ha lavorato in modo cinico per rafforzare Hamas, a scapito dell’Autorità palestinese, più moderata. Fin quando c’era Hamas, nessuno Stato palestinese poteva esistere, i dirigenti erano divisi tra un gruppo radicale e terrorista che controllava Gaza e un’Autorità Palestinese indebolita e corrotta nella West Bank. Netanyahu ha gestito il conflitto, invece di lavorare per risolverlo. Un tatticismo miope e irresponsabile. Ora sappiamo quale prezzo ha significato blandire in qualche modo Hamas. Fino a quando non ci sarà pace tra israeliani e palestinesi nello spazio di terra tra il Mediterraneo e il Giordano, ci saranno esplosioni periodiche di violenza».