la Repubblica, 17 ottobre 2023
Le verità di uno 007 in pensione
«Questo non è un libro di riflessioni, ma di fatti, cose, azioni, intrighi vecchi e ancora in corso». Marco Mancini, lo 007 (oggi in pensione) più famoso d’Italia, l’uomo finito due volte in carcere e poi assolto per fatti ancora oscuri, perché coperti dal segreto di Stato, la spia che custodisce alcuni dei segreti più importanti del nostro Paese, ha scritto un libro che comincia così: si chiama “Le regole del gioco”, pubblicato da Rizzoli, e sarà in libreria nelle prossime ore.
Mancini in parte però tradisce l’incipit: perché è vero, racconta un pezzo di storia del nostro Paese, dalla lotta al terrorismo interno italiano, alla stagione di Al Qaeda (con la scabrosa vicenda del rapimento d Abu Omar su cui però l’ex spia resta afona) arrivando fino a oggi, con il lavoro del controspionaggio che Mancini dirigeva nei confronti per esempio della Russia, prima dell’invasione dell’Ucraina, in un racconto che sembra il canovaccio di una serie americana.
Ma “Le regole del gioco” è un libro, com’era in realtà anche facile attendersi, pieno di messaggi: all’attuale governo, a cui Mancini concede anche un’apertura, usando parole al miele sia per Giorgia Meloni («solo a lei potrei riferire segreti di Stato») sia per l’Autorità delegata, Alfredo Mantovano, ai quali però lancia una specie di ultimatum, in una lettera aperta alla premier: lancia l’allarme sull’attuale situazione del controspionaggio e chiede di usarla come “arma” per gestire i flussi migratori, sostenendo per esempio che la strage di Cutro poteva essere evitata. Mancini lancia messaggi al vice premier Matteo Salvini, di cui ricorda un’inedita visita in carcere (come quella dell’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si scopre ora grande amico di Mancini), quando appunto il nostro 007 era stato arrestato e Salvini era soltanto un consigliere regionale. E si toglie diversi sassolini con l’ex premier Giuseppe Conte, di cui racconta inediti e inusuali incontri a Palazzo Chigi, con discussioni di promozioni a numero 2 dell’Aise, il nostro servizio Esterno (promesse condivise anche con l’allora ministro degli Esteri, Luigi di Maio) prima di un’improvvisa frenata. Dettata, fa intendere, dalla famosa storia dell’autogrill di Matteo Renzi.
Lo 007 in pensione insiste con la storia – sulla quale onestamente non possono che restare dei dubbi – di un appuntamento, nel mezzo della crisi che stava portando alla caduta del governo Conte proprio per mano di Renzi, con l’ex premier per uno scambio di doni natalizi: i “babbi”, speciali wafer romagnoli,che distribuiva ad amici e conoscenti. Ma esprime tutte le sue perplessità sulla circostanza che vuole un’ignara professoressa, fortunata testimone oculare dell’incontro «durato soltanto 13 minuti» scrive, e autrice degli scatti che poi grazie alla trasmissione Report diventeranno mesi dopo pubblici. La magistratura ha accertato che le cose sono andate così ma Mancini si chiede se i vertici dei Servizi avessero verificato se qualche agente «avesse avuto contatti, anche occasionali, con l’insegnante o il suo compagno».
La vicenda dell’autogrill, per come è raccontata nel libro, è oggettivamente molto interessante, non fosse altro perché è quella che mette fine alla sua carriera. «L’11 maggio del 2020 – scrive – il direttore del Dis, Gennaro Vecchione, mi chiese con urgenza il curriculum. In quel periodo il presidente Conte mi intrattenne quattro volte a Palazzo Chigi, lusingandomi con prospettive di carriera. Anche Luigi di Maio, in quel momento ministro degli Esteri, mi convocò due volte alla Farnesina per riferirmi esplicitamente il suo sostegno (…) Il 22 gennaio del 2021 il presidente Conte fece le sue nomine. E io contro ogni anticipazione ero stato escluso: che è accaduto?». Mancini lascia intendere che qualcuno potesse aver avvisato Conte dell’incontro, “innocente”, con Renzi all’autogrill. Che insomma quella era stata una trappola. Fatale.