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 2023  ottobre 17 Martedì calendario

Paganini compositore

Avevo diciassette anni quando nel 1958 vinsi il Concorso «Niccolò Paganini». Ha contato molto nel mio percorso, nel bene e nel male. Nel male perché in un certo senso ero condannato a suonare soltanto Paganini, come se non fossi capace di affrontare altra musica.
Ricordo che per un po’ ho smesso di suonare Paganini. Pur essendo un convinto paganiniano, volevo estendere al massimo il mio repertorio. È così che ho cominciato a suonare anche molta musica da camera, che trovo sia fondamentale per la crescita di un giovane musicista. Insegna a suonare ascoltando chi suona con te e fa capire dove finisce la tua libertà e comincia quella di chi sta suonando accanto a te. La musica da camera è una grande lezione musicale: grande quanto una lezione di vita.
Quando si fa musica con i grandi musicisti del Novecento con cui ho avuto la fortuna di collaborare, da Maurizio Pollini a Isaac Stern, a Mstislav Rostropovic, Jean-Pierre Rampal, Severino Gazzelloni, la lezione è unica e straordinaria. Così per un certo periodo ho messo da parte Paganini, estendendo il mio repertorio fino alla musica contemporanea.
Purtroppo tutti pensano che Paganini sia stato soltanto il più grande virtuoso del violino e non un grande compositore. Questo è sbagliatissimo perché Paganini è figlio del periodo in cui è vissuto, quello del grande melodramma italiano – la musica sinfonica in Italia non stava allora al primo posto – e i contemporanei erano Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini. Paganini era attratto da questo tipo di musica tanto che, senza quasi rendersene conto, ha scritto vere «opere liriche» per il violino. Va spiegato così, lui: con il grande amore per la melodia lirica italiana, per il bel canto, al di là del virtuosismo fine a sé stesso.
Paganini è stato compositore massimo, quanto Robert Schumann, Fryderyk Chopin, Franz Liszt, Johannes Brahms e più avanti Sergej Rachmaninov. Essi stessi attratti dalla sua musica, tanto da comporre spesso variazioni sui suoi temi. Per Schumann era il più grande musicista dell’epoca. Ascoltando Paganini in concerto, Franz Schubert esclamò: «Ho sentito suonare un angelo». A Johann Wolfgang Goethe, l’autore del Faust, di fronte al suo suono per certi versi al limite del diabolico, venne da dire: «Ho cominciato a sentire odore di zolfo».

Fu, quest’ultimo, un vero complimento ma probabilmente l’origine di un sacco di baggianate che descrivevano Paganini posseduto da un demone. Di fatto era un virtuoso trascendentale, possedeva una tecnica straordinaria che lo rendeva magico, strabiliando la platea sempre però al servizio della musica e non della pura esibizione. Al pari di Domenico Scarlatti, coetaneo di Johann Sebastian Bach e di Georg Friedrich Händel (erano nati tutt’e tre nel 1685, anno fausto), che fu l’inventore di ogni tecnica sulla tastiera cui tutti i grandi pianisti si sono formati, allo stesso modo Paganini fu l’inventore delle più sofisticate tecniche eseguibili con un violino. Tanto che i suoi i contemporanei ne erano folgorati.
Rossini sospirava: «Meno male che Paganini è occupato col violino, perché se cominciasse a scrivere delle opere ci darebbe del filo da torcere». Tutti i suoi concerti per violino e orchestra sono di fatto opere liriche con tutti gli ingredienti, dall’ouverture ai recitativi, alle arie, ai duetti amorosi.
La tecnica è fondamentale per far musica ma mai deve essere fine a sé stessa. Di contro si può essere grandi musicisti, ma se la tecnica è modesta non si realizza il miracolo del capolavoro musicale. Nella mia carriera d’insegnante ho visto tantissimi ragazzi dotati di talento eccezionale e perderlo, poi, in assenza di uno studio approfondito.
Un concorso oggi ha senso se c’è il massimo della qualità e dell’autorevolezza. In questa edizione del «Paganini» abbiamo cambiato un po’ di cose rispetto ad anni recenti, soprattutto ampliando il programma, molto duro, molto più completo e impegnativo. Assieme a Nazzareno Carusi, direttore artistico del Premio, eravamo anche un po’ spaventati dalla difficoltà che stavamo formulando. Ad esempio il dover affrontare per una prova da solista un concerto di Wolfgang Amadeus Mozart senza il direttore, consente di capire come il candidato possa interagire con l’orchestra.
Malgrado ciò il numero degli iscritti è eccezionale, 117 giovani, quasi raddoppiato rispetto a prima. La serietà e il successo di un concorso è determinato anche dalla credibilità della giuria. Chi partecipa vuole essere valutato non da maturi tromboni prestati alla musica, ma da chi ha fatto un grande percorso musicale e di carriera.
Oggi è molto difficile emergere per un giovane musicista, tanto che alcuni tendono al famolo strano di Carlo Verdone, a esibirsi un po’ come pagliacci, con abbigliamenti improbabili. Lo ricordo sempre ai miei allievi: dobbiamo essere al servizio della musica, non usare la musica per stupire. I nostri modelli devono essere i grandi musicisti, che erano tutti gran signori sul palcoscenico, con aplomb invidiabile.
Maurizio Pollini è sempre stato al servizio della musica e di nient’altro. Arturo Benedetti Michelangeli a un giovane pianista, in dubbio se continuare a studiare, rispose: «Se pensi di arrivare a essere uno dei primi dieci pianisti al mondo, vai avanti». Mozart, genio assoluto, scrisse il Don Giovanni direttamente in bella copia