Corriere della Sera, 17 ottobre 2023
L’acqua, quando è troppa e quando è poca
È il paradosso dell’acqua italiana: «Troppa e troppo poca». Al punto da diventare anche il titolo di uno studio di «Italy for climate» pubblicato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile. «L’impatto del riscaldamento globale sul ciclo idrico – chiarisce il responsabile scientifico di Italy for climate Andrea Barbabella – ha un duplice effetto: da una parte allunga i periodi di siccità, durante i quali non piove e quindi di acqua ce n’è troppo poca, dall’altra l’acqua diventa troppa per i nubifragi che ne riversano grandi quantità in modo violento, improvviso e concentrato come mai».
L’essere contemporaneamente troppa e troppo poca nel nostro Paese emerge anche da un altro risultato dell’indagine: l’Italia è al terzo posto in Europa per disponibilità di acqua, ma detiene anche il record di prelievi. Un avere e un prendere in cui alla fine prevale la seconda voce, ponendoci così ai più alti livelli di «stress idrico»: concetto definito dal rapporto tra la quantità di acqua che viene prelevata – per uso civile (alimentazione, pulizia del corpo e degli ambienti), agricolo e industriale – e l’acqua teoricamente disponibile, che arriva dalle piogge e rimane sul territorio e ruscella o si infiltra in falda. Si dice allora che un determinato luogo è in situazione di stress idrico se quel rapporto, espresso in percentuale, supera la soglia del 20%.
Per l’Italia ci sono inoltre due problemi aggiuntivi che fanno salire lo stress: abbiamo una rete idrica estremamente inefficiente che disperde il 42% dell’acqua prelevata, e deteniamo il record europeo di consumo pro capite. «L’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, prevede un’estremizzazione degli indici italiani di stress idrico – spiega Barbabella – tenendo conto che già oggi al Sud siamo attorno all’80% per cento e c’è il rischio di arrivare al 100, cioè in una situazione in cui non hai più l’acqua che ti serve. Il cambiamento climatico infatti accentua fortemente anche le differenze di stress, non solo tra Paesi, ma anche tra regioni: quelle più a secco saranno sempre più aride e quelle che hanno più pioggia si troveranno con ancora più precipitazioni».
Uno studio molto dettagliato dello stress idrico globale è appena stato realizzato dal World resources institute con l’aggiornamento del suo «Wri’s aqueduct water risk atlas», il quale colloca l’Italia tra i Paesi ad «Alto stress idrico», cioè con percentuali che sono comprese tra il 40 e l’80%.
Per converso la ricerca segnala l’alto il rischio alluvioni per il nostro Paese. Secondo la mappa navigabile dell’Aqueduct Floods del Wri il rischio di inondazioni dovute allo straripamento dei fiumi causerà, al 2030, danni urbani per un valore di 1,5 miliardi di dollari all’anno (2 miliardi invece per le inondazioni costiere dai mari), valore che sale a 2,8 miliardi di dollari al 2050 (3,6 per quelle costiere). Simulando le inondazioni al 2030, le aree più esposte sono la Pianura Padana, le zone costiere del Delta del Po e quelle della laguna di Venezia.
Allargando lo sguardo al resto del mondo, risultano essere 25 i Paesi con stress idrico «Estremamente elevato» (superiore all’80%): un quarto cioè della popolazione globale. I Paesi più colpiti sono distribuiti soprattutto tra Medio Oriente e Nord Africa, dove l’83% della popolazione è esposta a stress idrico estremamente elevato. E la situazione è in peggioramento. Entro il 2050, secondo il Wri, si prevede che un ulteriore miliardo di persone vivrà in condizioni di stress idrico estremamente elevato. La domanda globale di acqua aumenterà in percentuale dal 20 al 25%, mentre il numero di bacini idrografici che affronteranno periodi di elevata variabilità dal punto di vista della disponibilità idrica aumenterà del 19%.
Dal punto di vista economico i dati Aqueduct prevedono che, sempre entro il 2050, il 31% del Pil globale, circa 70mila miliardi di dollari, sarà esposto a un elevato stress idrico. Una prospettiva che deve far capire agli Stati del mondo che risolvere le sfide idriche globali risulterebbe più economico di quanto si possa pensare, costando infatti solo l’1% del Pil, ovvero 29 centesimi a persona al giorno di qui al 2030.
Un grosso problema italiano è, come già segnalato, il consumo civile di acqua che, precisamente, supera del 75% quello di Francia e Germania e arriva a più del doppio di quello spagnolo. «È vero che in quel consumo ci sono i comportamenti scorretti delle persone – commenta Barbabella – ma la colpa non è solo del consumatore finale. Mancano infatti normative mirate, come invece esistono in altri Paesi europei. Ad esempio quelle per il recupero delle “acque grigie”, che impongono, nelle case nuove e in ristrutturazione, il divieto di usare l’acqua potabile nello sciacquone del bagno, obbligando a dotarsi di sistemi di filtraggio che reimmettano nello sciacquone stesso l’acqua già usata nei lavandini».