la Repubblica, 17 ottobre 2023
Raccontare ancora la Callas
Come ti inventi una ennesima mostra su un mito, la Divina che regnò nei meravigliosi anni in cui dovevi essere un mito, una Divina, oppure una epocale assassina, perché il mondo si occupasse di te? Negli anni in cui, i ’50, i ’60, eravamo così colti, così avidi di bellezza, forse anche così sfacciati, così presuntuosi, da pretendere, e ottenere, ciò che poi non abbiamo mai più avuto, e neppure mai più sognato. Donatella Brunazzi, direttrice del Museo della Scala aveva il compito, visto la quantità di mostre sulla Grande Signora di cui non si è mai sazi, di organizzarne una molto speciale per il centenario della sua nascita: di Maria Callas, morta disperata il 16 settembre 1977 nella sua casa parigina, americana, nata a Manhattan il 2 dicembre 1923: e io ricordo benissimo quando da piccoli ignoti cronisti l’aspettavamo fuori dalla sarta Biki, qui a Milano, magra e crudelissima, in attesa di qualche sua villana apocalisse.
Ce ne importava qualcosa di lei? Non più di tanto, l’Onassis era tutto suo, con la brutta faccia del miliardario antipatico, e poi allora, figuriamoci, il denaro noi lo trovavamo volgare. Di tutta la sua vita di massima mondanità tra troppi ricchi, di tutto il silenzio e la solitudine e gli amici gay rimasti ancora fedeli, e quel letto che nella casa parigina l’accoglieva nell’indicibile muto deserto della fine, tra tutti i ricordi sul suo breve cammino, mancava per la Callas una sola cosa: la sua voce, la sua voce umana, quella che ne ha fatto da una grassa cantante di origine greca la più celebre donna della sua epoca.
Per lei, per Maria Callas, la vita si fermò a 53 anni e i medici confermarono che non si trattava di suicidio. A 53 anni! Donatella Brunazzi si è rivolta al curatore Francesco Stocchi, appena nominato al Maxxi di Roma dopo aver lasciato il museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, che ha trovato il diverso e giusto modo di ricordarla, dando un piano del museo ai creativi contemporanei, perché ricordino che lei, prima di tutto, è stata e sarà per sempre una voce di inimitabile bellezza: Giorgio Armani e l’abito rosso fuoco della sua gloria, Francesco Vezzoli e la diva dalle ciglia ricamate nei 63 suoi volti su tela, Alvin Curran e l’installazione sonora che la ritrae, Latifa Echakhch e l’ombra di piccole luminose perle da cui traspare l’orma fantasmatica del suo ultimo dolore. E poi c’è Mario Martone, tra i grandi registi del teatro alla Scala, che mette in una messinscena filmica 8 incantevoli minuti straordinari: «Mi sono imbattuto in un testo di Ingeborg Bachmann, poetessa e scrittrice tedesca, in cui parla della Callas, che mi è sembrato adatto a ricordare non la massima vita mondana, non la celebrità, non la fine, ma la sua grandezza, ciò che la rende unica per sempre: la voce, la sua voce umana».
È Sonia Bergamasco a interpretare la Bachmann, sola, mentre si ferma davanti alla Duse e a Verdi, si chiude in un palco nel teatro vuoto e in penombra: «Cosa sia la grande arte, che cosa sia un artista, l’ho capito il giorno in cui ho ascoltato la cantante Maria Callas. Era un pomeriggio d’inverno, a Milano…».
Bisogna risalire al piccolo bel libro di Laura Boella, uscito l’anno scorso (Ponte alle Grazie) e appunto intitolato Con voce umana, che contiene le pagine per la prima volta da lei tradotte in italiano, quelle che parlano della Callas, da un magnifico libro in tedesco, Kritische Schriften, “Scritti critici”, 424 pagine della scrittrice.
In quei minuti esemplari l’attrice italiana recita i due pezzi su Maria Callas, ed è lì che la Bachmann racconta: «non avevo la minima voglia di andarci… spettatrice assai indifferente se non proprio ostile… su quel palcoscenico c’era una creatura, un essere umano… all’improvviso ho capito: è lei, la traviata, la nuova Violetta… lì iniziava qualcosa di umano… Lì c’era qualcuno, ed era più di quanto in un teatro avessi mai vissuto… E sul quel palcoscenico c’era una persona altamente spericolata. Sì, era spericolata, terribile nella sua presenza, nella precisione con cui interpretava quella Violetta…».
Era il febbraio del 1956, in un piovoso pomeriggio, la Scala vuota, Bachmann assisteva alla prova generale della ripresa della Traviata, regia di Luchino Visconti, costumi di Lila De Nobili. Nel suo saggio per la mostra, Indimenticabile Callas, Laura Boella scrive, «All’incontro delle due “divine” si è aggiunto così il mio incontro con due storie di donne. La scoperta della “voce umana” del grande soprano mi è apparsa ricca di richiami all’esistenza femminile e mi ha posto di fronte al fatto che la grandezza di una donna resta ancora oggi inquietante…».
La fine della grande poetessa e scrittrice è stata terribile: è morta il 17 ottobre 1973, quattro anni prima della Callas, nella sua casa romana dove, assonnata dai barbiturici, la sua vestaglia prese fuoco dalle ceneri della sigaretta. Ricoverata in ospedale resistette qualche giorno e poi morì. Aveva 47 anni.