La Stampa, 16 ottobre 2023
Quel 30% di cibo che buttiamo via sprecando acqua in tempi di siccità
«Facile come bere un bicchiere d’acqua»: chi di noi non l’ha mai detto, riferendosi a un’azione che per quanto semplice non necessita di essere pensata, riflettuta? In realtà a partire da un bicchiere d’acqua si possono tessere interconnessioni che si dipanano a livello globale e che, per vie più o meno dirette, interessano il cibo. Ed è proprio per questo che la Fao ha deciso di dedicare l’odierna giornata mondiale dell’alimentazione all’acqua. Perché «l’acqua è vita, l’acqua ci nutre».
La Terra è diventata così come la conosciamo grazie all’acqua che ricopre il 70% della superficie terrestre. Non a caso ci chiamiamo il pianeta blu, e non verde o marrone. Di tutta quest’acqua il 97% si trova nei mari e negli oceani. Il 2% circa è immagazzinato nei ghiacciai e il restante 1% – distribuito tra laghi, fiumi e falde acquifere – è la quantità che noi esseri umani riusciamo effettivamente a utilizzare. Una percentuale davvero esigua, nonché spartita fra molteplici e contrastanti pressioni e interessi, che fanno sì che il suo movimento non risponda solo alle leggi del ciclo naturale, ma anche a quelle della politica e della finanza che determinano chi, come, quando e perché può accedere all’acqua.
Il settore che ha più fame d’acqua è senz’altro quello agricolo, con il 70% dell’acqua dolce utilizzata, permettetemi di dire spesso inefficientemente, per questo scopo. Nelle grandi estensioni agricole si continua infatti a ricorrere principalmente all’irrigazione a pioggia: un sistema (c’è stata, qualche anno fa una proposta di legge per vietarlo, subito accantonata) che richiede grandi volumi d’acqua, parte dei quali evaporano ancora prima di toccare il suolo. Inoltre lo stoccaggio dell’acqua in sistemi di raccoglimento non è ancora pratica comune, così come mancano gli incentivi ad adottare pratiche di economia circolare quali il riutilizzo di acque reflue depurate per fini irrigui.
A questi aspetti si aggiunge l’uso massiccio di pesticidi (giovedì, in Commissione europea, l’Italia ha votato a favore del rinnovo dell’autorizzazione a favore dell’uso glifosato!) e fertilizzanti in agricoltura e di antibiotici nell’allevamento, che fanno sì che una parte residuale permei nel terreno e raggiunga le falde acquifere, oppure si riversi nei corsi d’acqua; generando in entrambi casi problemi di inquinamento e contaminazione. L’agricoltura non è quindi efficiente nell’uso della risorsa idrica, se però il cibo prodotto venisse tutto consumato, in un certo qual modo potremmo ancora riuscire a giustificare la situazione.
Invece no: annualmente sprechiamo il 30% del cibo, e siccome per produrlo si è impiegata molta acqua, è come se stessimo gettando una quantità pari al fabbisogno idrico della città di New York per i prossimi vent’anni. L’avanzare prepotente della crisi climatica sta poi rendendo la relazione tra acqua e alimentazione ancora più complessa. In un loro rapporto le Nazioni Unite hanno paragonato la siccità a una imminente pandemia, per la quale però non ci sono vaccini. Attualmente 1,5 miliardi di persone nel mondo vivono in condizioni di stress idrico, ma si stima che la percentuale di persone interessate salga al 47% nel 2030. In Italia tra l’inizio del 2022 e la metà del 2023 abbiamo vissuto il periodo più siccitoso degli ultimi due secoli di storia, con profonde ripercussioni sulle rese agricole.
Nelle regioni subsahariane la siccità ormai cronica favorisce il progredire della desertificazione e non lascia a molti pastori e contadini nessuna altra opzione di sopravvivenza se non migrare. Se la mancanza d’acqua la fa da padrone, non possiamo però ignorare le situazioni in cui è invece l’abbondanza a creare problemi. Pensiamo all’alluvione che colpì il Pakistan nel 2022 portando alla perdita di 1,7 milioni di ettari di terreni agricoli. Ma anche alle isole del Pacifico che devono fronteggiare le criticità legate all’innalzamento degli oceani a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Qui la sicurezza alimentare è minacciata sia dalle frequenti inondazioni che salinizzano il suolo e distruggono campi e raccolti, sia dall’infiltrazione dell’acqua di mare nelle falde che forniscono l’acqua potabile alle abitazioni.
Abbiamo parlato di problemi di natura tecnica legati all’uso e alla conservazione inefficiente della risorsa idrica, di natura ambientale per via degli effetti della crisi climatica, ve ne sono poi altri di natura economica che rispondono a meschine dinamiche di potere.
Faccio alcuni esempi. Per anni le comunità contadine del Rajasthan indiano si sono schierate contro i colossi mondiali delle bibite gassate accusandole di prosciugare le falde acquifere e lasciando così i contadini senza possibilità di irrigare i loro campi. In molte aree del mondo l’attività mineraria è fonte primaria di accaparramento di acqua utilizzata per estrarre, lavorare, lavare i minerali e successivamente di inquinamento per il rilascio delle scorie nelle falde acquifere. Tutto questo ai danni della sicurezza alimentare e della salute delle persone del territorio (spesso povere, poco istruite e privi di mezzi per contrastare il fenomeno).
In ultimo un caso legato alle dinamiche economiche che fanno sì che il Nord globale importi dal Sud globale beni che richiedono una grande quantità di acqua per essere prodotti. Nei paesi di produzione questo scambio può essere fonte di pressioni sulle risorse idriche che non vengono gestite in ottica di conservazione e distribuzione a livello locale, bensì di sfruttamento a favore di dinamiche commerciali profittevoli. In tal senso è emblematico il caso della regione desertica di Ica, in Perù, che da quasi due decenni è diventata il primo centro di produzione per l’export di asparagi al mondo. Gli asparagi, ortaggio di lusso, finiscono nei supermercati europei (principalmente UK), e i contadini di piccola scala peruviani rimangono senza acqua nei loro pozzi e senza possibilità di fare agricoltura. Questi sono tutti esempi in cui l’acqua, bene comune precondizione per la sopravvivenza umana, viene incanalata a favore di interessi privati e fini di lucro.
La risorsa idrica, a cui noi in Italia (e così anche gli altri paesi del Nord globale), abbiamo il privilegio di accedere facilmente, arriva nelle nostre case – in forma di acqua o cibo – portandosi appresso un bagaglio di narrazioni complesse e spesso problematiche.
Auspico che il dibattito intorno al tema non si esaurisca in una giornata, ma che sia di stimolo per l’elaborazione di politiche idriche e l’adozione di comportamenti virtuosi che sono quanto mai impellenti. —