Corriere della Sera, 16 ottobre 2023
Intervista a Papu Gomez
MONZA «Sono arrivato a Catania quando avevo 22 anni. All’epoca mi ero detto: faccio qualche stagione in Italia e poi torno in Argentina. Era il 2010: sono ancora qui, e pure con il passaporto italiano».
Gomez è tornato a ballare la Papu-dance, stavolta a Monza, ad appena 50 km dalla città dove si è affermato e dalla squadra, l’Atalanta, che ha trascinato alla storia conducendola per la prima volta alla qualificazione in Champions League.
Perché il Monza?
«È stata una scelta di tutta la famiglia. Rientrare in un Paese che conosciamo bene è stata la decisione ideale. Dopo aver rescisso il contratto con il Siviglia e aver rifiutato un’offerta dall’Arabia credevo di restare fermo fino a giugno».
Non si è pentito di aver detto no, a 35 anni, ai dollari dei sauditi?
«Intanto non era un’offerta irrinunciabile, di quelle che ti cambiano la vita. Poi quando ho cercato sull’atlante la città dove mi sarei dovuto trasferire, in mezzo al deserto, ho pensato: grazie, ma non porto i miei tre figli lì...».
Il corteggiamento di Galliani per portarla in Brianza quando è iniziato?
«Quando la squadra era ancora in B. Ci eravamo incontrati a Ibiza e mi aveva fatto promettere che quando me ne sarei andato dall’Atalanta mi sarei dovuto trasferire a Monza. Ma all’epoca giocavo la Champions, non ci pensavo. Poi di recente, con l’infortunio di Caprari, si sono aperti degli spazi qui e non ho fatto fatica ad accettare la proposta di tornare in un calcio che conosco bene e mi ha fatto sentire importante».
Che campionato ritrova dopo due anni di assenza al Siviglia?
«Un torneo competitivo, fra i primi tre al mondo con Premier e Liga. Ci sono tante squadre che giocano un buon calcio e molte che seguono le impronte dell’Atalanta, che con il 3-4-2-1 ha fatto scuola. Ci sono tanti giovani allenatori preparati come Palladino, Thiago Motta e Gilardino».
Nel suo attuale allenatore ha ritrovato un’impronta di Gasperini?
«Il 90 per cento. Palladino credo si sia ispirato parecchio al suo maestro: lo ritrovo nella parte fisica, tattica, atletica. Ecco perché qui nel Monza mi sono inserito in fretta: conosco bene il modulo del mister. Ha una mentalità da big, se noi giocatori gli daremo una mano avrà un grande futuro».
Gasperini in una recente intervista ha usato parole affettuose nei suoi confronti. Ha dimenticato la lite feroce che causò il suo addio da Bergamo?
«Siamo persone adulte, è acqua passata. Sono trascorsi due anni, speriamo di ritrovarci presto e di salutarci».
Ma se potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa di ciò che avvenne nell’intervallo della sfida con il Midtjylland, cioè il momento in cui la situazione con il tecnico è precipitata?
«Nulla perché, nonostante tutto, dopo quell’episodio ho vinto un Mondiale, una Copa America e un’Europa League. Certo, andarmene in quel modo da Bergamo non è stato piacevole, specialmente per i tifosi che non ho salutato e che in quel momento non conoscevano la verità. Comunque la vita sa essere pazzesca: tutti i titoli che ho conquistato sono arrivati dopo il mio brusco addio all’Atalanta. Mi sarebbe piaciuto tanto vincere qualcosa con i miei ex compagni...».
Il Gasp è davvero il tiranno che descrive Maehle?
«Tiranno è una definizione esagerata. Certo, ha un metodo di lavoro per il quale serve la testa giusta. Io ho fatto tanti anni con lui e mi sono adattato. Magari altri giocatori che sono passati da Zingonia non sono riusciti a resistere».
Quale ruolo intende ricoprire all’interno del Monza?
«Sono qui per aiutare la squadra, contribuendo a far crescere i più giovani. Ho già fatto la chioccia a Bergamo con Spinazzola, Gagliardini, Pessina, Conti».
Qual è l’obiettivo in Brianza?
«Il Monza è una società ambiziosa: prima conquistiamo i 40 punti necessari per garantirci la salvezza e poi vediamo».
L’Europa è un sogno?
«Qui è l’idea di tutti».
Prima di Bergamo, aveva giocato nel Metalist in Ucraina. C’era già sentore di quanto poi è accaduto?
«Arrivai nel 2013 e rimasi solo dieci mesi. Ero a Kharkiv, una citta importante che ora non esiste più. Il conflitto fra russi e ucraini era già nell’aria, poi mi ricordo che nel luglio del 2014, quando ero in ritiro con la squadra in Austria, venne abbattuto un aereo della Malaysia Airlines vicino Donetsk. Ho avuto paura e sono scappato. All’ultimo giorno di mercato, in corso Matteotti a Milano, io firmavo il nuovo contratto diventando il numero 10 dell’Atalanta, mentre nella stanza accanto mi lasciava il posto Bonaventura che passava al Milan».
Che idea si è fatto del nuovo scandalo scommesse?
«Intanto bisognerebbe capire se il gioco è una malattia o meno. Inoltre se i giocatori hanno violato la legge con intenzionalità. Di certo, per ragazzi così giovani, è difficile resistere a ogni tipo di tentazione».