Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 16 Lunedì calendario

Evitare gli sprechi

«Non ci sono risorse da sperperare», ha dichiarato la premier Meloni dal palco della Coldiretti lo scorso sabato. Il messaggio è, con ogni probabilità, indirizzato ai suoi ministri: in molti chiedono finanziamenti per misure di spesa da inserire nella Legge di Bilancio, la seconda dell’attuale governo e, sicuramente, la più difficile considerato il contesto macroeconomico. “Non sperperare” è un monito condivisibile e, ahimè doveroso. Dopo anni di eccessi, culminati con lo scellerato Bonus 110 per cento, il più grande sperpero di risorse pubbliche degli ultimi anni, precisare l’ovvio è – quanto mai – necessario. Le risorse pubbliche sono la sommatoria delle tasse pagate dagli italiani, pertanto vanno impiegate in modo prudente e proficuo. Un aspetto che andrebbe ricordato con regolarità nel dibattito pubblico. In passato, c’è stata molta ambiguità. Basti ricordare che l’ex premier Giuseppe Conte ebbe a dire che le risorse dello Stato erano diverse da quelle dei cittadini.Tornando a Meloni e alla sua affermazione, è necessario chiarire che lo sperpero è, innanzitutto, legato ai modi in cui i finanziamenti sono reperiti che, come abbiamo già scritto su questo giornale, sono tre: più tasse, meno spese oppure maggiore debito. Questa terza via è quella scelta in prevalenza dal governo. Come si evince dalla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef), ben due terzi delle coperture della prossima manovra – circa 15 miliardi – saranno presi a prestito. L’indebitamento non è gratis (nulla lo è, purtroppo), ha un costo, pure molto elevato in una fase di tassi alti. Il governo ne è consapevole: per il 2024 ha stimato un costo per il servizio del debito pari a 95 miliardi, una cifra record che, peraltro, potrebbe crescere significativamente per le tensioni sul fronte geopolitico.Alla luce di ciò, c’è da chiedersi se questo esborso non corrisponda proprio a quello sperpero che Meloni vuole evitare. Sicuramente, è iniquo perché sottrae risorse al finanziamento di beni pubblici, come la scuola e la sanità, che sono fruiti maggiormente dalla parte più debole della società. Peraltro, vale la pena ricordare che la spesa per interessi è destinata a chi detiene titoli di Stato, cioè investitori stranieri o nazionali, che – in linea generale – non sono i cittadini meno abbienti.C’è, poi, un altro aspetto legato allo sperpero da analizzare, che è l’impiego delle risorse. Il governo intende utilizzare il maggiore indebitamento per ridurre il cuneo fiscale. In altre parole, vuole ricorrere a una copertura temporanea per una finanziare una misura che dovrebbe essere permanente. In questo modo, però, l’impatto sulla crescita rischia di risultare inferiore alle attese. Nell’incertezza, e, soprattutto nella prospettiva di provvedimenti strutturali, i cittadini tenderanno a risparmiare – e non a spendere – il guadagno derivanti dalle minori tasse.Di conseguenza, i fondi presi a prestito saranno meno “produttivi” in termini di creazione di ricchezza. Non è, forse, anche questo uno sperpero?A conti fatti, il miglior antidoto allo sperpero è la gestione delle risorse stesse. Ciò richiede tempo e scelte precise – quindi revisione, ricomposizione, persino, riduzione della spesa pubblica – che possono avere un costo politico elevato. Questa azione, tuttavia, non può più essere rimandata: il rischio è quello di dover attuare in futuro una stretta fiscale ben più significativa di quella necessaria quest’anno.Continuare a ripetere che i margini sono stretti non serve a nulla. E, peraltro, non corrisponde a verità. I margini sono stretti per il ricorso all’indebitamento. I margini legati alla gestione della spesa – che, per inciso, ha raggiunto circa mille miliardi di euro l’anno – non lo sono affatto. Soprattutto per un governo politico (finalmente) come quello attuale.