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 2023  ottobre 16 Lunedì calendario

La domanda dirimente su Israele

Ogni volta che mi trovo ad affrontare il problema Israele in pubblico, chiedo al mio interlocutore: lei intende discutere degli errori di Israele o dell’esistenza di Israele? La risposta a questa domanda è dirimente. Gli ayatollah sciiti iraniani, gli hezbollah (o Hizb All?h ) sciiti libanesi, i miliziani sunniti di Hamas al di là delle loro divisioni spesso sanguinose convergono su un solo punto: Israele non deve esistere, dobbiamo ricacciare a mare gli ebrei. Questo rende impossibile ogni confronto che abbia una ragionevole possibilità di compromesso – ovunque ci si trovi, quali che siano le idee di partenza. Dal 1948, per volontà praticamente unanime del mondo rappresentato alle Nazioni Unite (Urss compresa), l’esistenza di Israele deve rimanere fuori discussione, discutibile invece tutto ciò che da questa premessa discende. Sabato 7 ottobre 2023 è una data che resterà negli annali come quella dell’11 settembre 2001 che ha inaugurato nel sangue il XXI secolo. L’obiettivo dell’attacco ai ragazzi che ballavano nel deserto e ai kibbutzim che si stavano svegliando, non era militare, uniformi contro uniformi, ma una macelleria contro civili inermi colti nel riposo del sabato. Gli sventurati non sono stati semplicemente uccisi ma torturati, mutilati e squartati con deliberata ferocia non nascosta ma, al contrario, esibita, postata sulle reti sociali, con un obiettivo psicologico e uno politico. Terrorizzare l’intera popolazione d’Israele, rendere evidente l’inutilità di ogni tentativo di pacificazione come, per esempio, i colloqui in corso con l’Arabia Saudita. Questo è un conflitto, volevano far intendere i sicari di Hamas, che andrà ancora avanti per decenni, nessuna pace fino a quando non avremo cacciato gli ebrei.Nei kibbutzim intorno alla Striscia è stata infranta la legge morale alla base della nostra civiltà riassunta da Kant nell’imperativo categorico: «Agisci in modo da trattare l’umanità nella tua persona come nella persona di un altro, sempre come fine, mai come semplice mezzo». Quei poveri corpi dilaniati sono stati usati invece come un qualunque strumento politico. Questo dovrebbe rendere unanime la condanna, se non è così vuol dire che il pregiudizio pesa più di una regola di fondo che in questo continente tutti dovremmo condividere.La finalità politica principale era interrompere le trattative con Riad. Si tratterà probabilmente solo di un ritardo e non di una chiusura definitiva. I sauditi stavano tra l’altro negoziando un aiuto americano al loro programma nucleare per uso civile, ma la ripresa tarderà e vedrà comunque un indurimento dei negoziati.Galia Oz, figlia dello scrittore Amos, una delle grandi anime d’Israele, ha ricordato questa frase di suo padre: «Chi non sa distinguere tra i gradi di malvagità è destinato a diventare schiavo del male». Questo vale per i tagliagole del 7 ottobre ma estende la responsabilità morale anche a tutti coloro che rifiutano di considerare la disumanità dell’attacco.Grandi intellettuali come David Grossman e Yuval Noah Harari nemmeno in giorni come questi pieni di dolore e di grida, hanno risparmiato critiche a Israele; la democrazia del dissenso ha continuato a funzionare anche dopo la tragedia. Sarei quasi tentato di dire che ha funzionato troppo; per quaranta settimane (40!) manifestazioni imponenti hanno bloccato le città contro l’insolente riforma della giustizia preparata dal governo Netanyahu. Mentre i sicari rifinivano gli ultimi dettagli, Israele si prodigava e si dividevain un appassionato rituale democratico come si sarebbe potuto fare in Svizzera o in Olanda non lì, nella terra degli olivi e del fuoco. Netanyahu metteva alla porta il ministro della Difesa Yoav Gallant che sulla riforma della giustizia lo stava criticando (salvo poi reintegrarlo di fronte all’indignazione generale). Giocava con una crisi di gabinetto, come se Israele fosse la Svizzera.Pesano le parole di David Grossman pubblicate qui il 12 scorso: «Quello che accade adesso è la materializzazione del prezzo che Israele paga per essersi lasciata sedurre da una leadership corrotta che l’ha trascinata sempre più in basso; che ha demolito le istituzioni giudiziarie, l’esercito, il sistema scolastico».Harari ha usato parole ancora più dure: «La coalizione imbastita da Netanyahu nel dicembre del 2022 è di gran lunga la peggiore. Un’alleanza di fanatici messianici e opportunisti spudorati che hanno ignorato le molte criticità d’Israele per concentrarsi sull’accaparramento di potere per loro stessi».Verosimilmente la catena degli errori è cominciata molto prima di Netanyahu, nel 1967, per esempio, dopo la fulminea vittoria che ha chiuso la guerra in sei giorni e dato inizio ad un’occupazione “solo temporanea” di territori. Nel 1995 a Tel Aviv con il tragico assassinio di Itzhak Rabin, l’uomo arrivato a pochi passi dalla pace nonostante le ambiguità del suo antagonista Yasser Arafat. Rabin e Arafat furono nel 1993 i protagonisti degli accordi di Oslo. Per la prima volta Israele riconosceva nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina un interlocutore ufficiale e l’Olp sanciva il diritto di Israele a esistere. Sembrava una luce, gli estremisti delle due parti hanno provveduto a spegnerla. È cominciata quando i primi segni di un disastroso populismo sono passati inosservati. Stavano inquinando la coscienza del paese e nessuno è insorto; allora, forse, l’ondata si sarebbe potuta contenere.Rimangono due speranze in queste ore di tragedia. Che l’umanità trovi posto nella giusta repressione che Israele ha il dovere di fare. I civili palestinesi sono le prime vittime di Hamas, succubi di una cricca sanguinaria, corrotta dal fanatismo, che ha sperperato miliardi in armi invece che in strutture civili per il suo popolo. La seconda speranza è che Grossman sbagli quando prevede che dopo la guerra: «Israele sarà molto più di destra, militante e anche razzista. La guerra che le è stata imposta imprime nella sua coscienza gli stereotipi e i pregiudizi più estremi e odiosi». Non è impossibile, invece, che il trauma risvegli l’animo e gli ideali dei primi coloni che volevano far fiorire il deserto. Questo era il sionismo.