la Repubblica, 15 ottobre 2023
Intervista alla Pfm
Attaccati alle pareti dei loro uffici milanesi ci sono i poster di una storia travolgente: gli esordi nell’era beat, i Quelli, il lavoro in studio con Lucio Battisti, il progressive italiano esportato con enorme successo in Gran Bretagna e negli Usa, un memorabile tour con Fabrizio De André e tanto altro ancora. LA PFM, oggi rappresentata dai due veterani Franz Di Cioccio e Patrick Djivas (l’altro membro storico, Flavio Premoli, è saltuariamente ospite in qualche data) è ripartita ieri sera da Roma con un nuovo giro di concerti (dopo i sold out delle ultime stagioni) pensato per festeggiare i 45 anni del tour PFM canta Fabrizio De André anniversary, un evento che ha cambiato la storia di tutti: del cantautore, della band e del pubblico, all’epoca spiazzato e presto innamorato da un sodalizio impensabile in quegli anni. «I discografici sconsigliarono Fabrizio: “suonano troppo forte, sono troppo rock, ti schiacceranno”», racconta Di Cioccio, «anche i giornalisti disapprovavano, perfino i suoi amici lo sconsigliavano. Io lo convinsi a fare il passo che non aveva mai fatto.Lavorammo in pochissimo tempo, lui era molto indeciso. Alla fine andò contro tutti coloro che gli dicevano che era una pazzia: “Belin, io lo voglio fare lo stesso!”». Fu un successo clamoroso, tanto che quei concerti vennero consegnati alla Storia con un disco live di grande impatto commerciale.Di nuovo sul palco, di nuovo con De André a cui rendete un ulteriore omaggio aggiungendo nella scaletta anche brani da “La buona novella”.Djivas: «È un regalo a Fabrizio. Sono brani totalmente in linea con il nostro stile, sarebbe un peccato non riproporli».Di Cioccio: «Sono canzoni bellissime, che non hanno niente a che fare con le cose che si ascoltano oggi. La nostra intenzione con lui è stata sempre quella di dare una scenografia alle storie meravigliose che raccontava. Lui era un poeta vero».Avete raccontato di essere stati “la tribù” di De Andrè in quel periodo. Lo avete anche difeso fisicamente.Djivas: «Noi eravamo una band abituata a stare sul palco in tempi in cui il pubblico contestava anche violentemente, Fabrizio no. Quindi capitavano situazioni complicate, Fabrizio poi era anche fumantino, rispondeva alle provocazioni. Con noi alle spalle si sentiva più protetto.Era come in famiglia».C’è un episodio particolare che viè rimasto in mente?Djivas: «Una volta a Torino un ragazzo tirò un bicchiere di whisky sul palco. Fabrizio si arrabbiò tantissimo, ma il ragazzo sparì tra la folla. Caso volle che in un autogrill, nel viaggio di ritorno col pulmino, lui si avvicinò chiedendoci un passaggio senza riconoscerci. Noi lo facemmo salire, la situazione sembravaamichevole ma a un certo punto aprimmo lo sportello e lo facemmo scendere al volo. Nel tempo ebbe modo di conoscere Fabrizio: si era pentito di quel gesto e di averlo chiamato “fascista”».Franz, lei ha suonato con Lucio Battisti nei suoi singoli di maggior successo degli anni 60, da “Mi ritorni in mente” a “Acqua azzurraacqua chiara”.Di Cioccio: «Con Battisti è stato un rapporto simbiotico. Lui amava la batteria, pur essendo un perfezionista mi lasciava la libertà di “sporcare” la canzone, di metterci del mio. In privato era molto diverso da come appariva in pubblico: era simpaticissimo, parlava tanto. “Fra’, Fra’, daje”, mi diceva durante le prove per incitarmi a osare con la batteria.Poi, quando gli dicevo “Lucio, questa è venuta bene” mi rispondeva ridendo “Aho’, scusa er guanto, eh”: come a dire “sei stato bravo, ma l’ho scritta io”».Domanda secca: era di destra?Di Cioccio e Djivas: «Macché, non gliene importava niente. Pensava alla musica».Altra storia anni 70: l’incontro con la Regina Madre.Di Cioccio: «Eravamo alla Royal Albert Hall di Londra, stavamo provando un moog. Lei arrivò con un codazzo di persone, doveva inaugurare una scuola di danza al primo piano. Ci sentì suonare e volle venire a conoscerci. I tecnici di palco, tutti inglesi, quando la videro sbiancarono. Lei si avvicinò con grande charme e ci chiese cosa stessimo suonando: “Albinoni, vostra altezza”. Si fermò con noi e volle sapere tutto della nostra musica. Una donna di rara simpatia. Era incantata da questa cosa tutta italiana».Voi siete stati i primi italiani a sfondare davvero all’estero. Anche negli Usa.Di Cioccio: «Piacevamo perché, al contrario di altre band progressive, improvvisavamo molto, cosa che è molto vicina alla loro cultura. E poi erano pazzi della nostra italianità:Celebration, per dire, è una tarantella rock, quando la suonavamo si scatenava il caos».