Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 15 Domenica calendario

Niente voce agli aborigeni l’Australia alle urne dice no a nuovi diritti

Chiedevano una voce, di essere ascoltati. Invece, è fallito il “Voice”, referendum indetto in Australia per riconoscere ufficialmente i popoli aborigeni nella Costituzione, in nome di una riconciliazione nazionale ancora lontana. Dopo discriminazioni, condizioni di vita spesso peggiori dei bianchi e bambini indigeni in passato anche allontanati dalle proprie famiglie.
Eppure il primo ministro laburista Anthony Albanese ha fatto campagna per molti mesi, e in prima fila, per incamerare questo diritto alle comunità “First Nations”. Ossia ai discendenti di quelle popolazioni indigene che hanno popolato l’isola oceanica per oltre 65mila anni, ben prima dell’arrivo degli inglesi nel 18esimo secolo, che iniziarono a utilizzare il territorio della futura Australia come colonia penale e di detenzione.
Invece, 235 anni dopo il primo insediamento britannico e 61 dopo la concessione del diritto di voto agli aborigeni in Australia, ha vinto il no. In maniera netta, con circa il 60% dei voti dei 17 milioni di australiani chiamati alle urne. Dunque, non ci sarà nessuna “voce” per i popoli aborigeni nella Costituzione australiana. Che può essere modificata solo attraverso un referendum, sebbene la singola maggioranza nazionale non basti: affinché il “sì” vincesse, infatti, c’era bisogno contestualmente anche della maggioranza dei voti in almeno quattro dei sei Stati del Paese. Ma in tutti (New South Wales, Tasmania, South Australia, Queensland, Victoria e Western Australia), analizzando il conteggio proseguito nella notte, il “no”era chiaramente in vantaggio.
I sostenitori del referendum volevano riconoscere i popoli indigeni nella costituzione attraverso la creazione di un organismo indipendente come tramite tra il governo e le richieste dei “First Nations”. Ciò affinché l’esecutivo potesse promuovere politiche adeguate per queste popolazioni in ambiti come istruzione, salute, edilizia e venire incontro ai loro problemi in maniera più efficace. Il nuovo ente indipendente avrebbe avuto solo una funzione consultiva e il governo australiano avrebbe comunque avuto l’ultima parola su ogni provvedimento. In ogni modo, sarebbe stato un grande gesto verso gli aborigeni, soprattutto dal punto di vista simbolico e di riconoscimento ufficiale nella costituzione. E tutti i governi, di qualsiasi colore, avrebbero dovuto ascoltare e valutare le osservazioni del nuovo organismo, prima di prendere una decisione.
Invece, gli australiani hanno deciso di non concedere una “voce” alle popolazioni indigene, che rappresentano il 4% del totale dei cittadini. Rimane intatto lo status quo, difeso dalle opposizioni poiché, se avesse vinto questo «divisivo referendum, avrebbe inserito il concetto di razza» nella Costituzione. Promotori del referendum come Thomas Mayo hanno accusato la campagna per il “no” di essersi comportata in maniera “disgustosa”, promuovendo «continue bugie per spaventare gli australiani». Mentre il premier Albanese, che è stato eletto nel 2022 anche per questa promessa, ha commentato: «Non è certo il risultato che speravo e rispetto la decisione del popolo australiano. Ma la nostra battaglia va avanti. La strada verso il progresso è lunga. Non siamo al capolinea».