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 2023  ottobre 15 Domenica calendario

Una notte a Milano su una volante

Ladri in farmacia
e risse tra laureati
Milano insonne,
sfrecciando
su una volante
di Beppe Severgnini
La Questura di Milano è scura, grave, seria. Non per colpa degli agenti di polizia, che sono giovani e indaffarati. È una questione di spazi. Soffitti altissimi, scaloni in penombra, gradini improbabili, divisori di legno laminato. Questo era l’antico convitto Longone, frequentato dall’adolescente Alessandro Manzoni. È passata mezzanotte e nella luce dei neon occhieggiano gli schermi accesi dei computer. Centrale operativa, qui distribuiscono gli interventi. Mi spiegano che Milano è divisa in tre settori, assegnati a rotazione alla polizia (due settori) e ai carabinieri (un settore). Intorno alla stazione Centrale stanotte, per esempio, ci saranno i carabinieri. Alla polizia toccano il centro, la zona sud-est e tutta la zona ovest.
Le mie guide si chiamano Maria Romagnoli, commissario capo; e Francesco Elia, agente scelto: di solito è capo-pattuglia, stasera guiderà la volante. Lei è di Bari, lui di Salerno. Insieme non fanno la mia età. Partiamo all’una di notte, il turno finirà alle sette.
Mi spiegano che, in ogni momento, ci sono una trentina di volanti per le strade di Milano. Quindici escono dalla questura, e hanno i nomi di luoghi della città (Sempione, Accursio, Comasina, Bonola etc). Altrettante escono dai commissariati: hanno gli stessi nomi, seguiti da «bis» (Sempione bis, Accursio bis, Comasina bis, Bonola bis etc). Già lo so: quello che per loro è lavoro quotidiano, per me sarà novità sorprendente. A cominciare dalla guida dell’agente scelto Elia: grintosa, diciamo. Scivoliamo verso nord, rispondendo alla prima chiamata. I semafori rossi sono un arredo cromatico: la volante rallenta, poi schizza in avanti. Lotto con la mia cintura di sicurezza posteriore e sento, senza vederlo, il sorriso indulgente del commissario Romagnoli.
In via Fleming, zona San Siro, un’anziana signora ha chiamato sostenendo che la figlia la minaccia. Quest’ultima ha problemi psichiatrici, pare. Saliamo al quinto piano – niente ascensore – la troviamo in casa. La madre, minuscola, sta invece seduta nell’ambulanza e parla con i soccorritori, che la tranquillizzano. Arriva un’altra volante e porta la figlia all’ospedale San Paolo. Tutto avviene con calma e a bassa voce, come se tutti avessimo paura di disturbare Milano che dorme.
Guida veloce
Maria e Francesco, le mie guide, sembrano contenti dell’intruso sul sedile posteriore. Parlano poco, lui guida veloce, lei parla alla radio o al telefono. Lui conosce le strade a memoria; lei, ogni tanto, usa il navigatore. La coda di cavallo ondeggia mentre schizziamo da una parte all’altra della città come palline di un flipper. Da San Siro a Santa Giulia in otto minuti. Adesso capisco perché le chiamano «volanti».
Ha chiamato una giovane donna, teme di essere picchiata. Saliamo al nono piano – ascensore, per fortuna. La ragazza è brasiliana, bionda, minuta; ci accoglie in accappatoio. Lui – italiano, aria professionale – è sul divano, silenzioso. Andiamo sul balcone, lei sembra agitata. Racconta la sua vita, metà in italiano e metà in inglese. Santa Giulia, alle tre di notte, brilla di luci bianche e silenzio. Vuote le vie alberate: alberi giovani e precari, come molti residenti. Nessun passaggio di treni a Rogoredo. Silenzioso il mastodonte di Sky. Il commissario Maria Romagnoli ascolta la ragazza brasiliana, le suggerisce di andare altrove per il resto della notte. «Anche terapeuta?», chiedo. Sorride: «Questo e altro. A Milano, la gente chiama. Considera la polizia un servizio, giustamente. E chiama».
La nostra volante (Gamma) è un’Alfa grintosa col cambio manuale e una particolarità: non ha la partizione tra sedili anteriori e posteriori, necessaria nel caso di un fermo o di un arresto. Possiamo così parlare, anche se cerco di farlo con misura: in fondo stiamo tutti lavorando, loro più di me. Torniamo verso il centro: chiamata per una rissa, dietro piazza Vetra. Un ragazzo seduto su un gradino – vent’anni, capelli biondi – sanguina dal naso, gli amici intorno hanno le camice imbrattate di sangue, accusano i buttafuori. Le ragazze si spostano di qua e di là, con i tacchi e la borse luccicanti. C’è un’aria eccitata e guardinga. Mentre gli agenti cercano di capire cos’è successo – ma ho l’impressione che l’abbiano capito subito – una ragazza viene a salutarmi: «Scusi, cosa ci fa lei qui?». Le giro la domanda: cosa fate in giro il martedì alle tre di notte? «Festa di laurea!», risponde radiosa.
La saracinesca divelta
La conversazione viene interrotta. Chiamata da Figino, periferia nord-ovest, a ridosso di Settimo Milanese: è in corso una rapina a una farmacia in via Fratelli Zanzottera. Mi sembra di ricordare l’indirizzo: è il luogo dove, un anno fa, è stato ucciso Vittorio Boiocchi, storico capo ultras dell’Inter. Presa la chiamata, l’agente scelto Elia ha un certa fretta, mettiamola così. Inserisce lampeggiante e sirena. Milano schizza via dai finestrini dell’Alfa come in un videogioco. Sulle rotonde il guidatore dice a me e al fotografo: «Tenetevi», come se ce ne potessimo dimenticare. Arriviamo in pochi minuti. Odore di gomme e di freni, la tangenziale e i campi sullo sfondo.
La saracinesca della farmacia è divelta, i rapinatori sono passati di lì. Francesco Elia si appiattisce e riesce a entrare. Esce quasi subito: «L’hanno fatta». Sottinteso: la rapina. Hanno svuotato la cassa. Accorrono altre pattuglie. L’uomo che ha dato l’allarme – la moglie è ancora alla finestra – racconta di quattro ragazzi con felpe e cappucci. Arriva un tipo in monopattino, felpa e cappuccio. «Mi sembra lui», sussurra il testimone in pigiama. Rapido controllo dei documenti, il tipo sta andando al lavoro. Un agente – barba abbondante, fisico robusto, accento napoletano – si gira verso il testimone e sbotta: «Ma ti sembra che uno fa ’na rapina e dopo dieci minuti torna qui in monopattino?». Parte la ricerca dei rapinatori, potrebbero essere ancora in zona. Le auto si fermano al bordo dei campi e le pattuglie, torce alla mano, proseguono a piedi. Resto vicino alla volante, nella notte tiepida di ottobre.
Sono le 04.15. Torniamo verso il centro. Arriva via radio una chiamata: in via Rembrandt, da una Fiat 500 Enjoy fermata per un controllo, stanno tirando fuori una fornitura di droghe sintetiche degna di Breaking Bad. Arriviamo e l’operazione è in corso. Il fermato – italiano – è nell’auto della polizia: racconta di un fidanzato in carcere, dice d’aver preso in consegna le sostanze da un amico. Più tardi andremo a bussargli alla porta, in via Gabetti. «Possiamo procedere a una perquisizione senza un mandato – mi spiega il commissario Romagnoli – se c’è il sospetto che si nasconda della droga. Dpr 309/90». Lo zerbino davanti all’ingresso recita: «Welcome to the Batcave». Ma Batman, o chi per lui, non è in casa.
Bustine e pasticche
Mi avvicino alla Enjoy. Dai bagagli sbucano diverse buste di Mdpv, nota anche come Mdpk, Mtv, Pv, Magic, Maddie, Super Coke. Puntiglioso, mi informo: scopro che induce euforia, aumenta la voglia di parlare, migliora le prestazioni sessuali e stimola l’acutezza delle sensazioni. Il fermato, cappellino in testa, occhi bistrati, non sembra né euforico né acuto: solo rassegnato. Dai bagagli sbucano altre bustine, pasticche, un sacchetto di hashish, un bong (usato), due bilancini e una varietà strabiliante di oggetti: tre passaporti Usa, un passaporto italiano, un profumo Versace, vari orologi, un visore Oculus Quest, carte prepagate, mazzi di chiavi, una confezione da sei di Campari soda. Un trolley tricolore, aperto, ci guarda.
Le mie guide, Francesco e Maria, mi invitano a prendere un caffè dietro l’angolo, da «Mimmo e Anna». Sono le 05:30. Due inservienti, accento slavo, stanno pulendo e chiudendo il chiosco, e mi guardano come un simpatico marziano. L’agente di un’altra volante mi spiega che i posti aperti di notte a Milano, alla fine, quelli sono: ci si conosce tutti. C’è un’ultima incombenza. Poco distante, in un edificio abbandonato dietro il deposito Atm di via Novara, si rifugiano alcuni stranieri senza fissa dimora, entrando da un varco in un cancello. Entriamo anche noi, e dal buio escono uomini assonnati, non più giovani. Su due tavoli bassi, rotondi, sono rimasti vuoti di birra, di vino e di liquore al mandarino, resti di olive. All’interno un tanfo pesante, che rimane nel naso e sui vestiti. Su una parete cartoline di Donnie Brasco, dei Queen, di Harry Potter e di Lupo Alberto.
Fedine penali
Quasi tutti gli occupanti vengono dalla Romania. Mostrano i documenti, con l’aria di esserci abituati. Uno di loro si lamenta di non averne; glieli trova un poliziotto, erano abbandonati su un tavolo («Vedi? Non devi lasciarli in giro!»). Restiamo più di un’ora. L’agente scelto Elia mi spiega: «Dobbiamo controllare che non abbiano mandati di cattura pendenti. Ma ciascuno di loro, per ognuna delle generalità che ha fornito negli anni, ha una fedina penale che è romanzo. Ci vuole tempo in centrale per far passare tutte le pagine».
Torniamo verso il centro con l’ultimo buio. Sono passate da poco le 06:30. È illuminata l’edicola di piazzale Baracca, è aperto il caffè in via Meravigli, sono sudati i corridori metropolitani che saltapicchiano fra i semafori di Cordusio, eleganti nelle tutine colorate. Il commissario Romagnoli – oggi è il suo compleanno, ma non me lo dice – racconta della laurea in giurisprudenza a Bari, del concorso per avvocato (superato), della scelta della polizia e di Milano, del padre che stamattina la chiamerà per sapere com’è andata la notte. Dietro il Duomo sale la luce azzurra. Torniamo in via Fatebenefratelli, un nome che – se ci pensate – è un’esortazione. Accolta: i fratelli e le sorelle in divisa stanotte hanno fatto bene, senza dubbio.
Sono passate da poco le sette. La volante Gamma, guidata dall’agente scelto Elia, si ferma davanti all’ingresso, aspettando che esca un’altra auto. Un ciclista – caschetto, scarpe nere da ufficio, cartella a tracolla – ci gira intorno e si allontana imprecando perché abbiamo ostruito la ciclabile. We love Milan!