Corriere della Sera, 15 ottobre 2023
Biografia di Alessandra Martines raccontata da lei stessa
In un caffè di Saint Germain des Près, tra i rumori dei cantieri in vista dell’Olimpiade 2024 e davanti al solito cappuccino sbagliato alla francese (bollente, troppa schiuma), Alessandra Martines cita «la parola del Signore» proprio all’inizio della conversazione. Può capitare spesso negli Stati Uniti; è un po’ meno frequente nella nostra Europa secolarizzata, e ancora meno nell’ambiente dello spettacolo. Ballerina classica, étoile a Zurigo, New York, Chicago e Roma, poi star degli show del sabato sera sulla Rai, poi ancora attrice da Mastroianni a Fantaghirò fino ai film in Francia con l’allora marito Claude Lelouch – «e tanti altri registi», tiene giustamente a precisare —, Alessandra Martines è un’italiana di Parigi «mai stata appagata come oggi». E in effetti la sua bellezza sprigiona serenità, la prontezza di spirito nelle risposte (notevoli in questi anni le sue interviste alla tv francese) si accompagnano a una nuova sicurezza. Silenzia il telefonino, lo lascia acceso «solo in caso chiami la scuola di mio figlio», ovvero il quasi 11enne Hugo nato dall’unione ormai conclusa con l’attore Cyril Descours (dal matrimonio con Lelouch nel 1998 nacque la primogenita Stella). Poi, cominciamo a parlare di quella che ha l’aria di una rinascita.
I francesi oggi la vedono in tv, su «CNews» e «C8» del gruppo Canal Plus, per parlare del Santo del giorno. Come mai ha scelto di fare questo programma?
«Quando me l’hanno proposto ho pensato che fosse un segno del destino e ho accettato subito, con gioia. È bellissimo parlare delle vite dei Santi. Il mio preferito è San Francesco».
Perché?
«Perché San Francesco si è spogliato della ricchezza e della gloria per dedicarsi agli altri».
Si riconosce un po’?
«No, per carità, non sono così presuntuosa. Mi affascina però la capacità di andare al nocciolo delle cose, di badare all’essenziale».
Quando è cominciata questa sua nuova fase di attenzione alla religione?
«Circa due anni fa, dopo alcuni eventi non facili. La vita mi ha dato qualche sganassone, diciamo, e finalmente ho capito. C’erano stati alcuni segnali anche prima, anni fa, dei richiami, ma non ero ricettiva e non li avevo raccolti».
E stavolta che cosa è successo? È stata un’illuminazione improvvisa?
«No, piuttosto un processo, cominciato per caso un giorno che passeggiavo per Parigi. Sono entrata nella basilica di Sainte Clotilde, una chiesa molto bella poco lontano da qui, e proprio in quell’istante è cominciata una fuga di Bach suonata all’organo. La musica barocca, in particolare quella di Bach, è la mia preferita. A quel punto sono rimasta nella chiesa anche per la messa, e le parole del sacerdote mi sono piaciute. Adesso vado a Lourdes, e mi dedico a cose che abbiano un senso per servire la mia fede».
Che cosa ha sentito a Lourdes?
«Mi ha colpito la tranquillità, l’amore delle persone anche in situazioni di sofferenza. Ci sono andata di recente con alcune amiche, siamo state benissimo».
Che cos’altro fa per la fede?
«Per esempio dico sì alla trasmissione sul santo del giorno, e rifiuto film magari anche interessanti, ma che non servono al mio bisogno di testimonianza. Soprattutto, sto costruendo una fondazione per le donne sopra i 18 anni in situazioni di vita estremamente difficili, dal punto di vista materiale ed emotivo. Le aiuteremo in tre tappe: ricostruzione, formazione e posto di lavoro per ritrovare dignità e autostima. In modo che siano finalmente viste, guardate».
Questa questione dello sguardo è interessante. Lei ha avuto sempre i riflettori puntati addosso, da ballerina e poi da attrice.
«È così, e adesso ripenso ai miei talenti. Perché mi sono stati dati? Da bambina e da ragazzina ho lavorato durissimo per diventare étoile, ma non ci sarei riuscita senza una specie di talento innato, e quello non è merito mio, me lo sono ritrovato».
Le persone a lei vicine cosa dicono? I suoi figli come hanno preso questa svolta?
«Anche loro hanno ricevuto la grazia della fede e anche per questo sono estremamente riconoscente al Signore. Non è mai stata un’imposizione da parte mia, è una cosa che è nata nel loro cuore. La mia figlia più grande Stella ha intrapreso degli studi di teologia».
Lei è nata a Roma, ed è arrivata a Parigi con i suoi genitori a cinque anni. Da bambina ha avuto una formazione religiosa?
«No, per niente».
E che cosa si ricorda di quegli anni di adattamento alla Francia?
«È stato molto facile, andavo alla scuola italiana, ma ho imparato il francese molto presto. I bambini comunicano tra loro anche senza conoscere le lingue, si impara la lingua dell’altro quasi senza accorgersene. Poi sono entrata al Conservatorio nazionale di musica e danza di Parigi, i corsi erano molto rigorosi. Ma volevo fare la ballerina ed ero molto decisa a studiare e impegnarmi quanto necessario per riuscirci».
I suoi genitori l’hanno incoraggiata?
«No, era proprio una enorme passione spontanea che veniva solo da me. Ma non mi hanno neppure scoraggiata. Neanche quando a 15 anni mi sono trasferita all’Opera di Zurigo. Vivevo da sola in un monolocale, in quegli anni Zurigo era una città difficile, c’erano molti problemi di droga, per andare a fare le prove costeggiavo un parco con tanti ragazzi tossicodipendenti buttati per terra. I miei genitori mi hanno lasciata andare a Zurigo a patto che prendessi il Bac, la maturità francese. Ho seguito i corsi per corrispondenza, studiavo di notte. In quegli anni ho dormito molto poco».
Come riusciva a reggere?
«Non è stato facile. Ricordo una volta, dietro le quinte, a Londra, una nostra compagna svenne in pieno spettacolo per la fatica e la denutrizione. Ci dissero “go, go!”, la rappresentazione non poteva certo fermarsi, tornammo in scena e il ballerino fece finta di ballare con un fantasma. Mi pare che oggi ci sia più attenzione per la salute fisica e psichica di chi fa danza classica».
Comunque, lei è diventata étoile e il grande George Balanchine l’ha notata.
«Per qualche anno mi ha dato consigli perché migliorassi fino a meritare di entrare nel suo New York City Ballet, il mio sogno. Dopo un paio di “non sei ancora pronta”, quando avevo 18 anni mi ha chiamata a New York. Poi sono entrata nel Chicago City Ballet».
Che cosa ricorda di quegli anni americani?
«Una grande competizione. È inevitabile ed esiste ovviamente anche in Europa, ma in America mi è sembrata più dura. Io comunque ho sempre cercato di concentrarmi su di me, la gara era con me stessa. Poi ho incontrato quell’idea americana di essere artisti completi, chiamati a ballare, recitare, cantare, un’idea che mi è tornata utile qualche anno dopo».
Perché dopo l’America ha deciso di tornare in Europa, e a Roma, dove era nata?
«Sentivo che nella mia formazione mancava la grande scuola russa. Avevo già ballato con Nureyev, ma non era mai stato il mio insegnante. A Roma al Teatro dell’Opera c’era Maja Plissetskaya, e sono stata felice di potere lavorare con lei».
Dalla danza classica alla tv italiana, Raffaella Carrà e «Fantaghirò».
«È stato un caso, dopo una prima apparizione in tv dove ho interpretato un pezzo classico, Gianni Boncompagni mi ha chiesto di fare l’ospite da Raffaella Carrà. Già quando ero a New York ero stata avvicinata da due impresari che volevano portarmi a Broadway, ma avevo rifiutato subito come è abitudine nel nostro ambiente blasé. A Roma invece ne ho parlato con la mia amica e grande critica di danza Vittoria Ottolenghi, e ci siamo dette che unire i mondi della danza classica con quello dello spettacolo popolare poteva essere interessante».
E ha cominciato anche a recitare.
«Nel film Miss Arizona di Pál Sándor, con Marcello Mastroianni e Hanna Schygulla».
Com’è stato l’incontro con Mastroianni?
«Mi ha fatto molta impressione. Un uomo eccezionale, di straordinaria gentilezza e di grande umiltà, che è un po’ la caratteristica di chi è davvero grande. Mi tranquillizzava dicendomi: “Alessandra, non devi fare nulla”».
Le pause, i silenzi, sono importanti nell’arte, lo diceva pure Miles Davis.
«Sì, anche se questo stride un po’ con la mia preferenza per la musica barocca. Di fronte a certa musica colta contemporanea mi capita di sbottare, facendo la parte del bambino che ha il coraggio di dire Il re è nudo. Quando la ricerca musicale diventa completo narcisismo, si potrà pur dire che è insopportabile».
Dopo la tv italiana è tornata in Francia per il cinema. Si sente italiana o francese?
«Mi sento italiana, tengo molto alle mie radici, parlo in italiano ai miei figli. Anche se amo pure la Francia e ci vivo benissimo. Il presidente Nicolas Sarkozy mi ha dato l’alta onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica francese per il contributo che tramite il mio lavoro artistico e umano porto dall’Italia in Francia e dalla Francia in Italia. Per strada mi riconoscono e mi salutano, mi fa piacere non per vanità, ma perché sento l’affetto. Oggi mi pongo la questione di dare un senso a tutto questo».
Lei ha anche scritto un libro per bambini.
«Sì, Contes pour Stella, una raccolta delle storie che mia figlia mi chiedeva di inventare, pubblicate per sostenere l’Unicef».
Prima parlava dei segnali che pensa le siano stati mandati, e che lei non era pronta a ricevere. A che cosa si riferisce?
«Ripensandoci, c’è stato un istante di grazia, tanti anni fa a Chicago, in cui ho sentito una sintonia perfetta tra la musica di Bach, la coreografia, il pubblico, e me. Mi sono sentita un tramite, una specie di antenna di qualcosa di superiore. Ma all’epoca non ho saputo interpretarlo».
E adesso?
«Adesso credo fosse la prima di alcune chiamate. Penso che ci siano due mondi, in basso e in alto. Oggi ho imparato a vivere con lo sguardo verso il cielo, e non sono mai stata meglio».