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 2023  ottobre 15 Domenica calendario

Intervista a Emma Bonino


Il tumore, il fumo, il patto (quasi rispettato) con Umberto Veronesi di una sola sigaretta ogni due ore. Emma Bonino racconta la malattia. E si racconta. «Non lo sapevo, ma ho scoperto di avere pazienza, ho voglia di vivere e qualche volta piango».
Emma Bonino sta bene. Lo ripete convinta: «Mi sento bene». Dopo aver annunciato a Belve di essere guarita dal tumore al polmone sinistro, la storica leader dei Radicali aspetta il 19 ottobre, giorno dell’ultima Tac, per festeggiare. Nei 36 minuti in cui la incontriamo su Zoom, l’ex ministra e commissaria europea parla del tumore, «tu-mo-re» (scandisce le sillabe) non «alieno», non «male oscuro», e delle difficoltà affrontate negli ultimi otto anni: «Sono riuscita a separare me dalla mia malattia, ho lasciato tutto in mano a degli ottimi medici: dal professor Santini al professor Cortesi. Il microcitoma aveva la capacità di recidiva anche in altri organi quindi ho fatto un lungo percorso di radioterapia. Dopo otto anni eccomi qua. I miei capelli non cresceranno più, ma intanto 1 a 0 per me». Poi precisa: «Questa è l’unica intervista in cui parlo del tumore. L’ultima».
Cosa ha capito in questi otto anni?
«Ho scoperto di essere una persona paziente, non me lo sarei mai immaginata. Anche adesso faccio tutti i giorni fisioterapia, me l’hanno ordinata dopo essermi rotta il grande trocantere, l’osso vicino al femore. Meno male che il fisioterapista Paolo Baron, oltre a essere un bravissimo professionista, è simpatico».
Mica poco.
«Pensi sennò un’ora di fisioterapia... Ma è stata utile, mi hanno detto di continuare e io, da obbediente, continuo. Ho persino accettato di fare la cyclette. Non si metta a ridere perché rido già da sola. Spingi un pedale, spingi un altro, alla fine quell’attrezzo trionfa nella mia stanza da letto. La faccio cinque minuti al giorno».
Il patto con Umberto Veronesi: una sigaretta ogni due ore, massimo dieci al giorno. L’ha mantenuto?
«Più o meno. Lo confesso, non l’ho seguito alla lettera. La sigaretta mi calma quando vado in ansia».
Nel 2015 ha annunciato la malattia mentre girava anche il suo nome per la presidenza della Repubblica. C’è chi pensa sia stato un modo per evitare il Quirinale.
«No per favore, io ho detto che in politica, come nella vita, c’è un tempo per ogni cosa, il mio tempo per diventare presidente della Repubblica è stato il ’99. Allora non credevo di vincere, sono comunque contenta di aver fatto quella sfida persa in partenza. Almeno forse è servita all’ottimo presidente Ciampi».
Emma, come ha scoperto il tumore?
«Per caso. Avevo pianificato con la mia amica Mimmola e la mia famiglia un viaggio dalla Nuova Guinea alle Maldive. In vacanza mi sono ammalata, vomitavo e nessuno sapeva cosa avessi. Il console italiano mi ha portata in ospedale a Manado: c’erano letti per terra, mi hanno dato antibiotici e sonniferi, non ricordo quasi niente. La mattina, sempre il console, mi ha accompagnata in aereo fino a Giacarta».
E poi cosa è successo?
«A Giacarta mi ricoverano in un ospedale e dopo un giorno mi mettono su un aereo per Roma. All’aeroporto mi aspettava il professor Santini. Lui mi ha portata alla clinica per fare le analisi alla ricerca di questo virus che mi aveva praticamente sotterrato. Lì lo abbiamo scoperto».
Un microcitoma.
«Il professor Santini venne a dirmelo con grande disagio mentre io ero nel letto della clinica. Quando se n’è andato sono scoppiata a piangere (sospira ndr ). Era l’11 gennaio 2015. Il giorno dopo ho avvisato la mia famiglia e le mie amiche più care. Poi ho fatto la dichiarazione su Radio Radicale. Ho voluto dire: “Mi è capitato, ma io non sono il mio tumore”. Fortunatamente l’oncologo non era in ferie e ho iniziato subito le cure».
Di cosa ha avuto paura?
«Ho avuto una grande scuola da Luca Coscioni. La sua associazione mi ha aperto gli occhi sul mondo dei malati e della malattia. Nel partito Radicale, da Pannella a Fortuna, avevo sentito parlare di eutanasia e fine vita ma ero talmente giovane e fuori di testa, nel senso che ero impegnata su altro, che quella pagina non l’avevo aperta. Ho imparato ad avere voglia di vivere e non arrendermi. Sapevo che sarebbe stata lunga. Ha avuto varie fasi la malattia».
Come le ha vissute?
«Durante la chemioterapia sentivo una spossatezza infinita, gli organi non rispondevano ai miei comandi. Ero seduta, volevo prendere il telefono e la mano non si muoveva. Poi la radioterapia tutti i giorni. Ma io sono una che non è mai andata su Internet a leggere cos’è il microcitoma. Non l’ho mai cercato e sono contenta così. Oggi va molto meglio, anche se di tanto in tanto cado, ovunque, anche dalla sedia. Però ho ricominciato a occuparmi di me».
+Europa è il suo riscatto?
«No, io sono europeista, federalista da cultura radicale. Nel 2017 era necessario un partito per cercare di rovesciare la narrazione populista che incolpava l’Europa».
Le rifaccio la domanda, cosa l’ha spaventata di più?
«Paura, tanta paura, l’ho avuta solo un anno fa, il 9 dicembre. Improvvisamente ho avuto un rash farmacologico di tipo allergico: non parlavo più e sentivo un prurito insostenibile. All’ospedale mi hanno dato dei farmaci, ho dormito ed è passato tutto».
Quale è stata la rinuncia più grande per la malattia?
«Non essere autonoma. Anche ora, per alcune attività ho bisogno di assistenza».
Ha speranza o la perde facilmente?
«Ho degli alti e dei bassi, ci sono dei giorni in cui mi sento più ottimista e altri bui in cui la depressione mi fa male e tento di farmi forza. Ultimamente piango spesso. Sto emotivamente male».
Cosa la fa soffrire?
«Dipende, la morte di un amico, per esempio quella di Gianfranco Spadaccia. Anche io ho i miei momenti di debolezza, mica sono King Kong».
E dopo la vita cosa c’è?
«Non lo so, né mi addentro in queste cose».