il Giornale, 15 ottobre 2023
Le lettere ritrovate di Dino Buzzati a Carla Marchi
Dino Buzzati per tredici anni mandò lettere e messaggi a una delle donne più importanti della sua vita, Carla Marchi. Ne sono state ritrovate 88, inedite, costellate di disegni. Sono a volte semplici messaggi di servizio, altre volte missive più corpose. E di volta in volta affettuose, preoccupate, ansiose, contrariate, ironiche, dolorose, surreali.
Una miniera d’informazioni sulla personalità del grande scrittore bellunese. Sulla sua relazione non coniugale, ma strettissima, con questa affascinante ragazza conosciuta a Messina nel 1942.
Alcuni scrupoli ci hanno fanno indugiare. Come si suol dire, «per rispettare la memoria». Ma dello scrittore (e pittore) Dino Buzzati si è ormai detto molto. L’anno scorso ricorreva il mezzo secolo dalla morte, avvenuta il 28 gennaio del 1972. Da allora Buzzati, autore fra l’altro dei romanzi Il deserto dei tartari, Il Segreto del bosco vecchio, Il grande ritratto, della prima graphic novel italiana, Poema a fumetti, di molte centinaia di racconti (Il colombre, Paura alla Scala, Sette piani...) è entrato nel canone della letteratura italiana ed europea come uno dei massimi scrittori del Novecento. Del romanzo Un amore parleremo più avanti, per i motivi che vedremo.
Dopo un tentativo di damnatio memoriae negli anni Settanta, a carico dell’élite intellettuale della sinistra militante, che ne disprezzava la cultura borghese, il giornalista e scrittore di Belluno ha conosciuto una rivalutazione continua, non solo come romanziere, ma anche come pittore. E in effetti fu uno dei precursori della pop art in Italia. Che il suo rapporto tra la scrittura e il disegno fosse molto stretto è testimoniato fra l’altro proprio da queste lettere, che in tutto contengono una settantina di schizzi, molti dei quali colorati ad acquerello. Fra animaletti vari, topi, uccelli, mostri marini (un pescecane che appare come il prototipo del ben noto Colombre, una delle sue più riuscite metafore), pesciolini «che giocano a carte», compaiono spessissimo i cani Napoleone e Tobi. Uno che fa pipì sul muro, un altro che fa capriole all’indietro. Popolano anche i suoi sogni.
Dove finiscono le esigenze di studio accademico e dove inizia il pettegolezzo? Qual è il confine fra l’espressione critica e l’intrusione nella privacy di un artista, che è soprattutto un uomo? È davvero difficile dirlo. Un grande critico letterario come Edmund Wilson, per dire, scandagliava fino in fondo la biografia degli autori di cui trattava. Di Buzzati sappiamo già comunque parecchie cose, dai Diari per esempio, o dalla corrispondenza che intrattenne per tutta la vita con l’amico d’infanzia Arturo Brambilla.
Qui abbiamo però non solo uno spaccato della sua vita privata, ma anche molte indicazioni riguardo ai tratti più vulnerabili di un carattere sensibilissimo. Carla soggiorna spesso, anche per motivi di salute, al mare o in montagna. E lui la colma di prescrizioni, consigli, raccomandazioni, ordini. Come un padre con una figlia un po’ riottosa. Le scrive da casa, dalla montagna, anche su carta intestata del Corriere della Sera. Soprattutto insiste perché lei mangi. È come se fosse ossessionato dalla possibile magrezza di lei, o dal fatto che fumi: «Mi divertirei davvero ma ti confesso che ho sempre il pensiero della tua salute. Se tu sapessi non fumare?». Oppure: «Sta riguardata, mangia molto, misurati la febbre, non prendere sole, non fumare, non ballare, non fare camminate lunghe, copriti bene, Dio mio che brontolone!». A un certo punto le scrive perfino: «Sono contento che tu vada assomigliando a un pallone».
Una certa tendenza al controllo affiora continuamente. Negli anni non diminuisce, ma si può anche dedurre che dovesse essere reciproca. Spesso Dino, alle rimostranze di lei per non aver ricevuto sue notizie, adduce scuse e giustificazioni per i propri ritardi. Un rapporto, come si diceva un tempo, anche litigarello e dunque nelle migliori tradizioni. «Breve lettera è vero, ma sempre più della tua che non ho avuto».
Finché, nella primavera-estate del 1959, il rapporto giunge alla rottura, tanto che la lettera più drammatica e sofferente è una delle pochissime scritte a macchina. Quattro pagine dove al dolore per la circostanza si affianca l’urgenza di fornire delle spiegazioni per quello che è successo. E quello che è successo è che Buzzati ha perso la testa per un’altra donna, giovanissima, la ragazza che, nella trasfigurazione romanzesca, i lettori troveranno protagonista di Un amore. La conosciamo con le iniziali di «S. C.».
L’8 settembre del 1959, sono passati circa cinque mesi dall’incontro con «S. C.», e dalla villa di famiglia a San Pellegrino, vicino a Belluno, Buzzati scrive: «Cara Carla, ti scrivo questa lettera col cuore in mano, non importa se tu dici che oramai non mi credi più. Sì, negli ultimi mesi con te non sono stato sincero, ma come potevo esserlo? Sarebbe pretendere l’assurdo. Ad ogni modo, mi sembra di avere il diritto di essere giudicato da quello che sono stato per te e ho fatto per te in questi quindici anni, che sono un bel pezzo di vita». Fin dall’introduzione si avverte il tono non di chi neghi o cerchi giustificazioni, ma di chi vorrebbe che la faccenda fosse il più possibile minimizzata: «Ma quello che è assurdo, e che io respingo energicamente, è che per questa faccenda si faccia una tragedia. Mi pare che siano tutti impazziti».
In effetti, doveva esserci stata intorno a quella storia la classica ridda di voci e pettegolezzi. I due non erano sposati, ma stavano insieme da tanti anni, convivevano con discrezione a Milano in una casa in via Washington (da cui lui spesso le scrive, anche per banali questioni domestiche, o per raccontarle di come sia avvenuta una rapina al piano di sopra).
«Ti ho mai detto di volerti lasciare? Ho intenzione forse di mettermi a convivere con quell’altra? E allora? Dopo tutto ho diritto (anch’io, cancellato, ndr) a non essere trattato come un mascalzone». E poi c’è «la faccenda dell’amore fisico», che si è spento, ma «Nella maggioranza dei matrimoni fatalmente succede lo stesso».
Dopodiché lo scrittore cerca di spiegare quello che a lui stesso appare irrazionale: «Io sono stato preso da una vera e propria malattia contro la quale, ti giuro, ho cercato di reagire con tutta la mia volontà fin dai primi giorni, perché capivo benissimo che non me ne poteva venire alcuna gioia, ma solo angoscie (sic), amarezze e umiliazioni, come infatti è stato. Quella ragazza non mi ha dato un milionesimo di quello che tu mi hai dato. E allora, tu dirai, perché non l’hai smessa subito, perché hai continuato a tormentarti e a farmi soffrire per tanto tempo? La risposta è semplice, benedetta figliola. Contro queste infezioni il ragionamento e i proponimenti non contano un fico secco; purtroppo bisogna che passino, bisogna che a forza di dar la testa contro il muro, la smania si spenga. Lo vedi che ti parlo con molta sincerità?».
Tradimento a parte, il disagio dell’amore vissuto nella mezza età come una forma patologica di terrore della vecchiaia è il fulcro del romanzo Un amore, che fu scritto poco dopo e pubblicato nel 1963 con parecchio scandalo dei benpensanti. Il protagonista, Antonio Dorigo, alla soglia dei cinquant’anni si innamora di Laide Anfossi, giovanissima sedicente ballerina e prostituta. Inizia un calvario di gelosia e umiliazione. All’uscita del libro, l’autore disse: «Quando arrivano queste cose, uno non può controllarsi e l’amore si rivela, si manifesta». E continua: «Esprime il mio stato d’animo e la mia esperienza, ma ho un po’ aggravato le tinte (...) E respingo anche l’accusa che si tratti interamente di autobiografia. La protagonista non esiste; ci ho messo solo alcuni tratti della ragazza che io ho amato, e ho attribuito a lei tratti d’altre donne. Se è lecito essere un po’ presuntuosi, dirò che c’è tanta autenticità che sinceramente in altri libri non conosco».
Del resto, questa era la natura di Buzzati, se crediamo a una lettera che mandò nel 1942 a Brambilla, dopo aver conosciuto a Messina Carla Marchi: «Ma invece mi trovo in una deplorevole condizione: di amare una donna la quale credo, sul serio, che mi voglia abbastanza bene, nello stesso tempo di non vedere nel futuro, per tale legame, che amarezze, lontananza, sospetti eccetera; che cosa posso sperare di tirarne fuori?». Parlava della stessa donna alla quale, diciassette anni dopo, scriverà: «Oh come sarebbero semplici le cose, e come la nostra unione sarebbe stata arricchita e rinsaldata se tu, saputa la cosa, mi fossi venuta incontro, sia pure piangendo, ma con la bontà. Mi avresti fatto mancare il terreno sotto i piedi, mi avresti immediatamente sconfitto».
Invece lei doveva essersi risentita parecchio, per usare un eufemismo, tanto che lui la invita alla calma e alla riflessione. Ma ammette che, a questo punto, sposarsi sarebbe la soluzione peggiore. Fa invece un’altra promessa: «Un giorno, vedrai, ti racconterò tutto per filo e per segno. E tu dirai: povero Dino; e ti verrà anche da ridere. E probabilmente mi vorrai più bene».
Non sappiamo se e come le abbia davvero raccontato tutto, ma possiamo, a distanza di sessant’anni, rileggere Un amore, e trovarci frasi come questa: «La sensazione insomma di essere in balia di una forza selvaggia infinitamente più forte di lui per cui egli tornava bambino fragile e indifeso. Ebbene la medesima sensazione gliela faceva provare l’avventura con Laide solo che stavolta non era un gigante invisibile scaturito dalla montagna questa volta era una ragazzina di carne che trascinandoselo dietro lo faceva sbattere di qua e di là contro i muri e lei correva con l’ansiosa frenesia dei vent’anni...».
Naturalmente si scatenarono i pettegolezzi che, per un uomo riservato e incredibilmente timido come Buzzati, erano duri da sopportare. E così come in Un amore scrive che «Confusamente anche Antonio capiva che quanto più si sviluppavano e si facevano più intimi i rapporti con Laide, tanto più sarebbero state frequenti le occasioni di inquietudine e sospetto, tanto più in fondo egli veniva trascinato verso una sorte che non riusciva a immaginare. Anche gli amici a cui sentiva il disperato bisogno di confidarsi avevano ormai rinunciato a trattenerlo, se gli era dato di volta il cervello si rovinasse pure con le sue mani».
Gli amici, alcuni, li conosciamo. Gaetano Afeltra, illustre firma del Corriere, e Indro Montanelli che con Silvio Negro aveva aiutato Carla a trasferirsi a Milano nel 1942.
«Purtroppo si sono messe di mezzo persone che hanno fatto di tutto per farti del male, raccontandoti cose insensate», si sfoga lo scrittore nella lettera a Carla. «E non dar retta a quello che ti ha raccontato Montanelli. Montanelli non ti conosce e non sa niente della nostra vita. Quella muraglia di cui parlava è una sua invenzione».
Autobiografico o no che fosse Un amore, Buzzati nel 1960 nel suo diario annota: «L’unica, per salvarmi, è scrivere. Raccontare tutto, far capire il sogno ultimo dell’uomo alla porta della vecchiaia. E nello stesso tempo lei, incarnazione del mondo proibito, falso, romanzesco e favoloso, ai confini del quale era sempre passato con disdegno e oscuro desiderio».
Pochi mesi dopo conosce Almerina Antoniazzi, anche lei ventenne. La sposerà nel 1966 e staranno insieme fino alla fine.
Su tutto il carteggio è stato avviato da parte della Sovrintendenza alle Belle Arti un procedimento di dichiarazione dell’interesse storico particolarmente importante. Nel frattempo si muoveranno esperti e critici, caso mai si arrivasse alla pubblicazione totale o parziale di questi scritti (gran parte dell’opera di Buzzati è pubblicata oggi sotto la curatela di Lorenzo Viganò). Dall’Associazione internazionale Dino Buzzati di Feltre (Belluno), il direttore Marco Perale si dice interessato a organizzare un giorno una mostra pubblica. Non si tratterà di andare a frugare in maniera morbosa nell’intimità dell’artista, quanto di comprenderne meglio il pensiero e la genesi dell’opera.
Senza contare che tutte queste lettere sono tessere di un mosaico: una raffigurazione lampante dell’amore, e di un affetto che non tramonterà mai, se non quando a spegnersi sarà la vita stessa dello scrittore, incredulo fino alla fine che tocchi anche a lui, come a tutti, d’inoltrarsi fra le ombre.