Corriere della Sera, 15 ottobre 2023
L’esercito di Israele
Gerusalemme Le ali di pipistrello della Shayetet 13, il becco di Ibis della Maglan. Sono i primi soldati a essere trasportati in volo dagli elicotteri all’alba di sabato mattina, quando l’allarme da Gaza risale fino ai comandi nel centro del Paese. Queste unità di forze speciali (la Flottiglia 13 è considerata a livello dei Navy Seals americani) sono affiancate in quelle ore da gruppi di pronto intervento come il Duvdevan (ha ispirato la serie tv Fauda ), la Sayeret Matkal (ci hanno servito il primo ministro Benjamin Netanyahu e l’ex premier Ehud Barak), la Sayeret Golani, gruppo d’élite dalla brigata di fanteria d’assalto meccanizzata che si prepara all’operazione di terra dentro la Striscia. Tra i 1.300 morti che Israele piange da otto giorni, ci sono anche una quarantina di questi ragazzi, lo sbigottimento di aver perso alcuni dei militari meglio addestrati.
Quando il 26 maggio del 1948 David Ben-Gurion ordina la creazione delle Forze di difesa israeliane – l’acronimo in ebraico è Tsahal – la nazione appena nata sta già combattendo la prima di tante guerre, conseguenza dell’attacco dei Paesi arabi dopo la dichiarazione d’indipendenza. Ben-Gurion lo immagina da subito come «l’esercito del popolo», cittadini in armi che difendono le proprie famiglie e le proprie terre, come se ogni battaglia fosse una questione esistenziale: e quelle di 81 anni fa di sicuro lo sono, i consiglieri del primo ministro ancora lo hanno avvertito, le possibilità di vincere per sopravvivere sono 50 a 50.
Tutti in mimeticaDa allora il servizio nell’Esercito, la Marina e l’Aviazione resta obbligatorio per uomini e donne (dai 24 ai 34 mesi), anche se la sensazione di sicurezza relativa (andata in frantumi sabato) e il fatto che gli arabo-israeliani e gli ultraortodossi non partecipino alla leva hanno nei decenni eroso la percentuale di coscritti, in questi anni è scesa al 64 per cento, in riduzione anche gli israeliani disposti a lasciar da parte il lavoro e la famiglia per un mese di addestramento l’anno. Tutto è cambiato. I riservisti convocati o messi in allerta dallo Stato Maggiore sono già 300 mila.
Herzi Halevi, l’attuale comandante, ha ereditato dai predecessori l’evoluzione della dottrina strategica. L’ingente budget (quasi 25 miliardi di dollari) è stato indirizzato verso una modernizzazione tecnologica da Benny Gantz, capo di Stato Maggiore durante i due messi di guerra contro Hamas del 2014 e adesso nel gabinetto ristretto di guerra: «L’obiettivo di questi cambiamenti è creare una forza di dimensioni ridotte ma più letale, capace di affrontare nemici non convenzionali in ambienti complessi e su fronti multipli».
Il successore Gadi Eisenkot, che ora siede con lui come osservatore nel consiglio di guerra, delinea un piano per ridurre il numero dei 45 mila ufficiali di carriera; svincolare decine di migliaia tra i riservisti meno preparati; eliminare le brigate di carristi più impolverate (alcune utilizzavano ancora i vecchi Patton degli anni Sessanta). «Allo stesso tempo – scrive Amos Harel, analista israeliano di cose militari, sulla rivista Foreign Affairs — Eisenkot riconosce che la superiorità hi tech non può essere sufficiente a sconfiggere un avversario non convenzionale. Così decide di aggiornare la struttura delle truppe di terra e forma una nuova brigata per i commando». Di fatto si rende conto che Hamas da Gaza ed Hezbollah in Libano possono ormai muovere eserciti paramilitari.
Pronti alla guerrigliaQuando parla di guerra, Aviv Kochavi filosofeggia, come ha studiato all’accademia militare, tra citazioni di Michel Foucault e Deleuze-Guattari, i Mille piani da affrontare diventano i piani di battaglia: «Questa stanza non è nient’altro che il risultato della tua interpretazione. Così mi sono chiesto: come interpreto un vicolo? Un urbanista direbbe che è uno spazio dove camminare. Ai miei soldati ho spiegato che era uno spazio dove è proibito camminare. Una porta? Non oltrepassarla. Una finestra? Vietato guardarci attraverso. Il nemico vede lo spazio in modo tradizionale e io non voglio cadere nelle sue trappole: l’esplosivo sulla porta, il cecchino dietro la finestra». Da comandante della Divisione Sud è stato l’ultimo a chiudere i cancelli, a lasciarsi alle spalle a Gaza, o così almeno sperava l’allora premier Ariel Sharon quando ordinò il ritiro dalla Striscia. Da penultimo capo di Stato maggiore ha cercato di infondere nei soldati quegli insegnamenti da Maggio ‘68, l’idea di diventare guerriglia per combattere una guerriglia urbana.