Corriere della Sera, 15 ottobre 2023
L’inutile terrorismo di Hamas
C’è un solo gruppo di persone più spregevole dei terroristi di ogni risma e colore: sono quelli che qui in Occidente ne prendono più o meno apertamente le parti giustificandone di fatto le imprese sanguinarie. E facendolo sempre più o meno nel solito modo: con il dire che sì, certo, i mezzi adoperati dai terroristi non sono proprio i migliori ma come si fa a non considerare la situazione degli oppressi nel cui nome essi agiscono?
L a loro rabbia, la loro disperazione? E quali altri mezzi hanno i suddetti oppressi se non per l’appunto quelli sia pure molto discutibili del terrorismo?
Ora, a parte che c’è terrorismo e terrorismo – lo capisce chiunque, infatti, che un conto è piazzare una bomba in una stazione di polizia, un altro ben diverso è stuprare una donna o freddare un bambino – a parte questo, dicevo, ci sono forse un paio di fatti che i fiancheggiatori della causa palestinese senza se e senza ma dovrebbero considerare.
Il primo è di carattere storico: nessuna campagna terroristica per quanto feroce essa fosse è mai riuscita non solo a sconfiggere militarmente uno Stato ma neppure a fargli cambiare radicalmente indirizzo politico.
Non ci riuscì il terrorismo russo con lo zarismo, non ci riuscì quello dell’Eta contro Franco o quello dei «montoneros» argentini contro la giunta di Videla. Anche per la lotta contro i regimi coloniali si può dire lo stesso: in Algeria non fu certo il terrorismo urbano a riportare la vittoria, fu la mobilitazione di massa che il Fronte indipendentista riuscì a organizzare – o per dir meglio assai spesso a imporre con mezzi brutali – contro la presenza francese. Per quel che io ricordi esiste un solo caso di autentico successo del terrorismo: quello irlandese contro Londra, che portò giusto un secolo fa alla nascita dell’Eire. Ma a parte il fatto che i militanti dell’Ira erano soliti prendere quasi sempre di mira esclusivamente la polizia e i militari britannici, va sottolineata un’altra circostanza decisiva: e cioè che fin dalla metà dell’Ottocento la questione dell’indipendenza irlandese agitava l’opinione pubblica inglese finendo per raccogliere non pochi consensi perfino tra le file dell’amministrazione di Londra nella stessa Irlanda. Non mi pare proprio che qualcosa simile possa dirsi a proposito del terrorismo palestinese.
In realtà coloro che qui da noi giustificano in qualche modo le azioni sanguinarie di Hamas trovandovi delle «ragioni» (ma nella storia ogni efferatezza può vantare delle «ragioni»: dai roghi delle streghe agli omicidi di massa ordinati da Stalin) dovrebbero comunque porsi una domanda: a che cosa mira quel terrorismo, qual è il suo obiettivo, il suo fine politico? Questo è il punto cruciale, dal momento che sta precisamente nell’impossibilità di dare a tale domanda una risposta minimamente plausibile e ragionevole che l’impresa di Hamas rivela la sua essenza vera: la barbarica volontà di strage, della strage più feroce possibile e fine a se stessa che la anima.
Nessuna persona sana di mente, infatti, può pensare di sconfiggere militarmente con il terrorismo lo Stato ebraico. Tanto meno di portarlo a fare qualunque concessione, ad esempio dividendo la sua opinione pubblica. È più che naturale anzi che il terrorismo – non parliamo poi di quello che abbiamo visto all’opera il 7 ottobre – produca solo l’effetto opposto. Anche perciò resta una sola conclusione: in realtà l’obiettivo che si propone il terrorismo di Hamas non è altro che quello di eccitare allo spasimo in senso ancor più antagonistico contro Israele tutta la massa arabo-islamica, dall’Asia centrale all’Atlantico, e – dando per scontata la dura reazione della stessa Israele – di vanificare qualunque tentativo di stabilire un minimo di relazioni pacifiche tra lo Stato ebraico e qualunque Stato islamico, nonché naturalmente lo scopo di rendere impossibile qualunque soluzione del contenzioso israelo-palestinese.
Si perpetua così la maledizione che da sempre grava sul movimento palestinese: la sua incapacità, tranne qualche brevissimo ripensamento, di concepire nessun altro strumento di lotta che non sia la violenza. E di conseguenza, dietro la faccia feroce, la sua intima fragilità politica, il suo perpetuo cedimento al ricatto dell’estremismo, quindi la sua oggettiva disponibilità a divenire facile strumento di qualunque Stato che per i propri scopi abbia interesse ad alimentare la tensione nella regione. Neppure un secolo di continui, sanguinosi fallimenti a causa della permanente disparità delle forze in campo sembra aver insegnato nulla ai palestinesi circa l’inutilità di una simile strada. Circa la necessità di avere alla propria testa una vera leadership all’altezza della situazione, non già una congrega di politicanti corrotti com’è la cosiddetta Autorità Palestinese, ovvero una qualche banda di tagliagola prezzolata da Teheran o dal Qatar.
La verità, insomma, è che l’aspirazione dei palestinesi a una patria, le misere condizioni dell’esistenza a Gaza o l’inconsulto ampliamento degli insediamenti ebraici, insomma la «questione palestinese» nei suoi termini reali, non c’entrano assolutamente nulla con il terrorismo di Hamas. Perché con la sua selvaggia sete di sangue questo terrorismo vuole in realtà una cosa sola ed è il perfetto sicario agli ordini di chi si propone anch’esso unicamente un solo obiettivo: la distruzione di Israele, la pura e semplice eliminazione dello Stato ebraico e dei sui abitanti, la cancellazione di entrambi dalla faccia della terra. E chi qui in Italia cerca di trovare qualche motivo non spregevole alle azioni di Hamas, chi oggi è pronto a stracciarsi le vesti di fronte alla reazione israeliana, deve sapere che in realtà anche lui, ne sia cosciente o no, si prefigge la medesima cosa.