La Lettura, 14 ottobre 2023
Sul voto in Polonia
L’esito di questa giornata – oggi, domenica 15 ottobre, la Polonia vota per rinnovare il Parlamento ed è chiamata a pronunciarsi su un controverso quesito referendario in tema di immigrazione – potrebbe avere notevoli conseguenze anche al di fuori dei confini nazionali. Il governo ultraconservatore e ultracattolico guidato da Mateusz Morawiecki del partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwosc, PiS), corre per un terzo mandato consecutivo. L’opposizione del movimento Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska, PO) guidata da Donald Tusk, ex primo ministro ed ex presidente del Consiglio europeo, convoglia istanze, come la contrarietà alla legge che limita il diritto all’aborto, molto sentite dall’elettorato polacco, soprattutto femminile. Inoltre, rappresenta l’eredità del sindacato Solidarnosc, che negli anni Ottanta contribuì a traghettare la Polonia fuori dal giogo sovietico. Prova ne sono la manifestazione del giugno scorso e la più recente, del 1° ottobre, a Varsavia, con quasi un milione di manifestanti per Tusk. Anche i quasi 400 mila elettori che voteranno all’estero potrebbero avere un peso.
Tra questi c’è Alicja Kwade, artista polacca di fama internazionale, immigrata in Germania nel 1987 all’età di otto anni a causa della persecuzione politica verso i genitori. Kwade – ora in mostra alla Galleria Continua di San Gimignano (Siena) – spera che la sua scelta possa essere di aiuto per cambiare la situazione. «Seguo molto attentamente quanto sta accadendo», racconta a «la Lettura» parlando dal suo studio di Berlino, dove è tornata dopo una lunga assenza per un viaggio di lavoro tra Stati Uniti, Messico e Parigi. «Andrò certamente a votare. Sto recuperando il mio passaporto polacco per poterlo fare qui in Germania. Se il mio voto potrà influenzare qualcosa sarò molto contenta». Ci tiene, comunque, a prendere le distanze dal dibattito politico: «La mia arte non vuole rappresentare alcun commento ad alcuna situazione politica, piuttosto a circostanze generali che io percepisco e osservo». Una visione dall’alto, come racconta nelle opere L’ordre des mondes (Totem) esposta al Lehmbruck Museum di Duisburg, dove presenta un’ampia personale, e Les Sièges des Mondes, in Italia nella mostra In Cerchi.
Le due opere racchiudono quello che per Kwade rappresenta il circolo vizioso e senza soluzione nella storia del genere umano. «L’arte è sempre legata alla società perché l’artista ne fa parte, ciò che crea non ha filtri rispetto al contesto in cui vive. Les Sièges des Mondes è stata un’opera che ha preceduto L’ordre e ne rappresenta la premessa. È un modo ironico e sarcastico per dire che l’essere umano, seduto sul mondo, ha la presunzione di poterlo controllare, quando, invece, le nostre capacità sono limitate e dipendono dalle leggi fisiche e biologiche del pianeta in cui viviamo». Le sedie in bronzo ricalcano quelle ordinarie di plastica o legno? «È un’ironia rispetto all’incapacità d’azione dei potenti. La stabilità, una prerogativa del potere, è anche il suo stesso handicap. Lo schema si replica uguale da secoli nella nostra cultura, come racconta L’ordre du monde, e pare non si possa scardinare in nessun modo».
Che Kwade non voglia dare etichette o definizioni lo racconta anche il modo con cui, per rappresentare il proprio corpo nella società, abbia scelto di non mostrarsi. Selbstporträt als Geist (Autoritratto come fantasma) è una scultura che rappresenta una donna velata: «Il mio corpo non ha alcuna importanza perché è qualcosa di cui vorrei davvero fare a meno ma non posso, purtroppo e per fortuna. È un tentativo di negare la parte fisica per arrivare a un autoritratto mentale. Come un gioco di parole: in tedesco Geist significa “spirito”, la parte più profonda di sé, ma anche “fantasma”. È una versione ironica di un ritratto: non mostra niente di me e, allo stesso tempo, si collega alla tradizione classica della bellezza dei ritratti in bronzo, negando completamente questo canone».
L’identità di Kwade si/ci interroga anche alla luce dei cambiamenti legati al proprio passato di immigrata (l’immigrazione è un tema centrale di questa stagione politica in Polonia: prima le tensioni al confine bielorusso, poi gli sfollati ucraini). «Sento di non avere un Paese. Sono una delle ultime persone che ha potuto vivere in due universi completamente diversi. Sono nata per caso in un Paese che si chiama Polonia, dove vivevano i miei genitori, ma la Polonia non è il mio Paese».
Dopo la parentesi democratica, a seguito delle proteste nei cantieri navali di Danzica e alla nascita di Solidarnosc, con cui i genitori di Kwade collaborarono, l’artista franco-polacca osserva come oggi in Polonia «sia sempre più facile porre le persone nelle condizioni di accettare senza fare domande». I dati non mancano: la riforma della giustizia, condannata dall’Unione Europea; la legge che limita fortemente il diritto all’aborto e non garantisce tutele medico-legali alle donne che fanno questa scelta; la politica di gestione dell’immigrazione che è al centro di due dei quattro quesiti referendari, definiti da Human Rights Watch «retorica xenofoba» (sul muro al confine con la Bielorussia e sul «meccanismo di rilocazione forzata imposto dalla burocrazia europea ovvero l’accoglienza di migliaia di immigrati illegali dal Medio Oriente e dall’Africa»).
«Le persone che non si sentono ascoltate nei propri bisogni sono molto facili da convincere», conclude Kwade, che, al contrario, mette l’osservatore davanti all’ipotesi che le leggi basilari della realtà – spazio e tempo, oggetti e funzioni – siano diverse da ciò che appare. «La società è una struttura che cambia, ma sempre secondo determinate regole, perché il problema è sempre chi è leader e chi non lo è. Per questo io non credo a nulla e mi limito solo a osservare quanto accade».