La Lettura, 14 ottobre 2023
Olanda, appunti sul dopo Rutte
Dopo avere trascorso oltre un decennio alla guida del Paese, lo scorso luglio il primo ministro olandese Mark Rutte ha annunciato, in maniera sorprendente, non solo le dimissioni, ma anche la volontà di non ricandidarsi alle prossime elezioni, in calendario il 22 novembre. Il premier con più mandati nella storia del Paese si è contraddistinto per la capacità di cambiare rapidamente tanto opinioni quanto alleanze e per la destrezza nel navigare tra i numerosi scandali che ne hanno contraddistinto le amministrazioni, da quello relativo al sistematico profilamento razziale attraverso cui venivano distribuiti i sussidi all’infanzia a quello connesso a una deficitaria gestione dell’emergenza Covid che all’inizio della pandemia portò i Paesi Bassi in vetta alle classifiche europee per contagi e decessi. «Teflon-Mark», come la stampa lo ha soprannominato, è riuscito nonostante tutto a veicolare con successo e costanza un’immagine di normalità conservatrice che ha nel corso degli anni finito con il convincere e tranquillizzare la maggioranza della classe media olandese, garantendosi in tal modo un sostegno elettorale ampio e duraturo. L’eredità che Rutte lascia è dunque difficile da raccogliere e la sua uscita di scena apre numerose incognite.
In un sistema politico frammentato e consociativo, in cui una legge elettorale proporzionale pura consente massima rappresentatività ma obbliga al compromesso per la formazione di esecutivi stabili, il vuoto di leadership rende la competizione elettorale ancora più incerta e a tratti polarizzata. In primo luogo, bisognerà capire quale contraccolpo subirà la formazione del premier uscente, il Partito popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd), che, pure con un sostanziale calo di preferenze, gli ultimi sondaggi accreditano ancora della maggioranza relativa dei seggi. La nuova capolista del Vvd, la quarantaseienne di origini turche Dilan Yesilgoz-Zegerius, già ministra della Giustizia nell’ultimo esecutivo, sembra attestarsi su posizioni meno conservatrici in tema di tutela dei diritti delle minoranze e di espansione del welfare rispetto a quanto espresso dagli ultimi governi guidati da Rutte, ma ha proposto una linea intransigente su immigrazione, asilo e integrazione, a tratti ben più dura di quella finora mantenuta dal Vvd.
In secondo luogo, andrà valutato il peso di un paio di nuove formazioni che si affacciano per la prima volta alla competizione elettorale nazionale. Tra queste le sorprese maggiori dovrebbero venire dal neo-costituitosi Nuovo contratto sociale (Nsc), un partito centrista guidato dall’ex esponente cristiano-democratico Pieter Omtzigt, e dalla coalizione cittadini-contadini (Bbb), che, guidata dall’eccentrica Caroline van der Plas, grazie a un’agenda di stampo populista e antieuropeista è riuscita ad affermarsi come principale partito nelle elezioni regionali dello scorso marzo. Se l’Nsc di Omtzigt si affida al traino del proprio leader, la cui popolarità è esplosa proprio grazie alla denuncia dello scandalo dei sussidi, il Bbb conta di bissare il successo locale anche grazie al pragmatismo con cui sta dimostrando di essere in grado di governare in diverse regioni.
L’ascesa di formazioni come il Nsc e il Bbb porta a un’importante terza incognita, ovvero la tenuta sia delle forze tradizionali, liberali e social-democratiche, che hanno garantito a Rutte il sostegno necessario a governare, sia dei partiti che, alle ali estreme del sistema politico, hanno legato il loro successo alla capacità di cavalcare le ondate populiste attraverso messaggi xenofobi e nazionalisti, come quelli guidati da Geert Wilders (Pvv) e Thierry Baudet (Fvd).
Socialisti, laburisti e verdi a sinistra e liberali al centrodestra dovrebbero mantenere il loro peso elettorale sia nei contesti metropolitani che nelle città universitarie, mentre sono i cristiano-democratici che, soprattutto a causa della fuoriuscita di Omtzigt, sembrerebbero perdere la maggior parte dei consensi. Inoltre: Pvv e, soprattutto, Fvd scontano non solo la competizione con il Bbb ma anche il lascito principale di Rutte, ovvero l’idea che tanto Wilders quanto Baudet siano da considerarsi incompatibili con qualsiasi coalizione di governo.
Il governo che le urne e i successivi negoziati consegneranno al Paese sarà chiamato ad affrontare una serie di sfide che finora Rutte aveva evitato o posposto. Da un punto di vista interno, bisognerà fare i conti con una crescente crisi abitativa ed ecologica. La possibilità di costruire nuove abitazioni dipende infatti dalla riduzione delle emissioni che derivano, in massima parte, dall’industria agroalimentare olandese. L’uso eccessivo di fertilizzanti, oltre ad avere un impatto ambientale considerevole, mette in stallo a causa della normativa europea tutta una serie di settori economici fondamentali, incluso quello edilizio. A questo si aggiunge che gli investimenti in energie alternative riguardano principalmente l’espansione del parco eolico offshore che puntella il Mare del Nord e poco altro, mentre sono sempre più insistenti le voci di chi chiede un ritorno al nucleare. L’unica centrale atomica ancora operativa dovrebbe chiudere nel giro di un decennio, lasciandosi alle spalle miliardi di euro di perdite e di costi per lo smantellamento che Rutte ha preferito non stanziare. Dal punto di vista internazionale, invece, il costante allineamento atlantico sostenuto da Rutte al fine di proteggere l’unico vero asset strategico dei Paesi Bassi, ovvero la produzione di semiconduttori, andrà testato nell’ottica dell’evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Allo stesso tempo, il nuovo governo dovrà trovare soluzioni sostenibili nel lungo periodo alla prevedibile carenza di gas russo per evitare di continuare a sussidiare milioni di consumatori in difficoltà con le bollette.
Di fronte all’inusuale scenario politico e alle numerose difficoltà all’orizzonte, dunque, la formazione della nuova coalizione di governo dipenderà molto probabilmente dal tipo di obiettivi, e quindi di alleanze, che soprattutto l’Nsc, al momento accreditato di circa il 16% dei voti, deciderà di perseguire. Se a prevalere saranno considerazioni legate al mantenimento di una politica antinflazionistica di stampo sociale, per sostenere i salari e favorire i risparmi, una coalizione ampia in cui confluiscano liberali, conservatori, verdi e laburisti potrebbe essere plausibile. Se invece dovessero prevalere le spinte antieuropeiste, allora sarebbe possibile ipotizzare un governo in cui il Bbb giochi un ruolo di primo piano. Dovesse realizzarsi quest’ultimo scenario, sarà interessante tenere traccia delle relazioni con il nuovo commissario europeo per il Clima, Wopke Hoekstra, ultimo ministro degli Esteri dell’era Rutte, che rischierà di trovarsi in casa propria i principali ostacoli all’esecuzione del suo nuovo mandato. Il teflon, allora, potrebbe non essere più sufficiente ad assolvere il governo dalle proprie responsabilità.