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 2023  ottobre 14 Sabato calendario

Calvino, intervista aun bambino buono

tratto da “sono nato in america” di italo calvino
© 2002 by Eredi Calvino e Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Come ti chiami?«Mi chiamo Italo Calvino».
E dove sei nato?
«Sono nato a Sanremo… Sono tanto nato a Sanremo che sono nato in America, perché una volta i sanremesi emigravano molto in America, soprattutto in America del Sud».
Per far che cosa?
«Per fare i vari mestieri. Mio padre, appunto, stava in America e appartiene alla categoria dei sanremesi che sono tornati: è tornato poco dopo la mia nascita, e ho vissuto a Sanremo i primi 25 anni della mia vita, ininterrottamente».
Che mestiere fai?
«Faccio lo scrittore».
Cosa vuol dire?
«Scrivo delle cose che alle volte diventano dei libri, che vengono pubblicati e venduti nelle principali librerie».
Tu a che età sei stato bambino?
«Sono stato bambino molto a lungo».
Quando eri bambino con che cosa e con chi giocavi?
«Giocavo… con degli spazi, con degli ambienti. I giochi si dividono nei giochi che si fanno in un ambiente delimitato, per esempio un campo da football, e i giochi che si fanno al di fuori di un ambiente… È già un gioco fare un certo percorso. Per esempio: qual è il primo gioco che fa un bambino piccolo di tre, quattro anni quando lo portano a spasso? Vede un muretto e vuole camminare sul muretto, tenuto per mano magari. Questa cosa del muretto in fondo mi è sempre rimasta».
Un po’ da Tom Sawyer?
«Sì, per esempio… andare fino alla punta del molo, saltando da uno scoglio all’altro; oppure percorrere un torrente senza mai passar per le strade, ma da una pietra all’altra del torrente superando i punti difficili, perché ci sono… dei piccoli laghetti».
I tuoi giochi erano più solitari, o erano giochi di gruppo?
«Diciamo che ho avuto una prima parte dell’infanzia piuttosto solitaria. Ma questa cosa del percorso, che in fondo mi è rimasta anche in tutte le cose che faccio, l’andare da un punto a un altro superando determinate difficoltà, questo è piuttosto solitario».
Che autore, e che libro, hai scelto per noi?
«Volevo parlare di Robert Louis Stevenson. Stevenson è un autore che si legge da ragazzi, di solito, e alle volte non si legge più perché si continua a considerare un autore per ragazzi. Invece per me è un modello di scrittore, di narratore puro, in cui lo spirito del romanzesco, dell’avventuroso, diventa un grande motivo poetico, con una grande leggerezza».
E il titolo del romanzo?
«Volevo parlare del Master of Ballantrae, Il Signore di Ballantrae, titolo in questo momento molto noto anche perché la tv ha fatto uno sceneggiato».
Ci vuoi raccontare un po’ la storia?
«È un romanzo che si svolge in gran parte in Scozia, nel Settecento, in una casa solitaria, in una dimora di una famiglia nobile, e tutto il romanzo ruota intorno a un personaggio, alle volte assente alle volte presente, e minaccioso sia quando è assente sia quando è presente, che è uno dei due fratelli, uno che sarebbe stato l’erede del titolo nobiliare ma che ha rinunciato perché si è dato a un’avventura di guerra, e che è un personaggio molto crudele. È uno di quei personaggi luciferini che la letteratura inglese, da Byron in poi, ha amato (ma anche prima, perché in fondo anche Shakespeare, anche il teatro del Seicento, è pieno di personaggi molto cattivi)».
È un cattivo, lui?
«È un cattivo: è un cattivo senza nessuna sfumatura di bontà».
C’è lotta fra i due?
«C’è una lotta tra i due che culmina in una scena di un duello notturno, alla luce di candelabri, in cui il cattivo sembra che sia morto, mentre invece sparisce, e allora la sua riapparizione sarà poi lo spunto di altre avventure. Stevenson, non dimentichiamo, è anche l’autore del Dottor Jekyll e Mister Hyde, che è lo sdoppiamento di un personaggio che in alcuni momenti diventa un mostro di cattiveria».
Tu hai scritto un romanzo che si chiama Il visconte dimezzato. In questo romanzo c’era un personaggio diviso a metà: una metà buona e una metà cattiva. Questo tuo libro ha risentito dell’influenza del Signore di Ballantrae? E questo problema del buono e del cattivo è uno dei tuoi nodi narrativi, dei tuoi interessi?
«Se in genere mi si chiede di parlare di Stevenson e di Master of Ballantrae, è per via di questo libro, che ho scritto ormai quasi trent’anni fa. Anche lì c’è un buono e un cattivo, ma sono la metà della stessa persona: la metà cattiva è quanto di più crudele si può immaginare, la metà buona è un personaggio molto noioso, è un buono meticoloso».
Questi personaggi buoni noiosi non ti piacciono.
«No. Difatti la morale esplicita di questo libro è che il personaggio positivo può essere soltanto l’uomo intero, e non una metà né l’altra».
Perciò ci vuole sempre un po’ di bontà e di cattiveria unite insieme, come il caffellatte.
«Ci vuole… ci sono: è una constatazione. Io non sto a dire quello che ci vuole e quello che non ci vuole. Magari mi identifico di più con gli aspetti cattivi dei buoni, che pure ci sono».
Tu da bambino eri un bambino buono?
«Ebbene, la cosa ti potrà deludere, ma penso che lo sono ancora, un bambino buono».