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 2023  ottobre 14 Sabato calendario

Intervista a Fabio Fazio

Fabio Fazio torna in televisione domani sera, per la prima volta sul Nove, qualche canale dopo quelli in cui è stato di casa per molti anni. La Rai del nuovo corso se l’è lasciato sfuggire. Per alcuni, lo ha messo in fuga. Il suo “Che tempo che fa”, 1200 puntate in tutta la sua storia, era il programma più visto di Rai3: l’anno scorso ha avuto una media di 2,4 milioni di spettatori per messa in onda, che in share fanno 11,8 punti percentuali. Numeri che avrebbero blindato chiunque. E invece Fazio è andato altrove perché, ha ripetuto spesso, «la televisione si fa se si è voluti, dove si è voluti». E farà ancora Che Tempo che fa, con qualche novità: Ornella Vanoni in dialogo con Luciana Littizzetto; Ubaldo Pantani ospite fisso così come Massimo Giannini, editorialista di Repubblica; un fuori onda con Nino Frassica. Impianto e squadra di prima non cambiano.Fazio, lei esordisce con un classico.«Ma l’ho inventato io».Va sul sicuro?«Mi hanno chiesto di fare Che tempo che fa e farò quello. Cambiando rete, sarebbe sciocco disorientare il pubblico ulteriormente: è bene rendermi riconoscibile. Ci sarà tempo per sperimentare».Patrick Zaki ha detto che Netanyahu è un serial killer e molti suoi incontri pubblici sono stati cancellati. Avrebbe dovuto essere suo ospite della prima puntata e invece non ci sarà. L’ad della Rai, Sergio, ha detto che lei “si censura da solo”.«Zaki avrebbe dovuto parlarci di Sogni e illusioni di libertà, il suo libro appena uscito per La Nave di Teseo, ma visto quello che sta succedendo a Gaza, abbiamo pensato che sarebbe stato folle non dedicare la puntata all’attualità. Quindi, avremo Liliana Segre e David Grossman. Zaki lo aspettiamo sin dalla seconda puntata».Cosa pensa della multa di mille euro a Saviano?«Che sostanzialmente è una sua vittoria. Formalmente è molto triste che un presidente del Consiglio possa mandare a giudizio un intellettuale, peraltro sotto protezione, o chiunque di noi, per una espressione, anche dura. Vista la sproporzione dei mezzi mi sembra anche molto preoccupante».La preoccupa la destra ?«Mi chiedo perché si stiano facendo giganteschi passi indietro e perché ci sia una voglia così forte di sdoganare e recuperare atteggiamenti che hanno a che fare con i periodi più bui della nostra storia. Mi preoccupa che si guardi indietro anziché al futuro, che si intestino vie ad Almirante. Speravo che questa potesse essere l’occasione per la costruzione di una destra moderna: totalmente mancata».E la Rai del nuovo corso la preoccupa?«In questi 40 anni non ho mai dato giudizi sui miei colleghi, visto che ne ho letti tanti, spesso un po’ troppo affrettati e poco cortesi, su di me. E siccome conosco il lavoro e la difficoltà che c’è dietro, credo che sia doveroso rispettare le scelte e l’impegno di tutti. Certo è che ora non posso competere con la Rai. Peraltro, al massimo dovrei competere con i miei risultati».Ha guardato il programma di Serena Bortone che ha preso il posto del suo su Rai3?«Sì: mi interessava capire se fosse un talk o meno. È un talk».Come mai la Rai rimaneggiata da un governo molto popolare, fa ascolti per niente popolari?«Il pubblico è una cosa e gli elettori sono un’altra. Se fai spettacolo, devi obbedire alle regole dello spettacolo e della comunicazione, non al codice politico».In televisione non vale la regola di successo di Vannacci, cioè dire le cose che tutti pensano e nessuno dice?«Ma tutti chi, scusi? Tutti meno quelli che non lo pensano, forse. E non esiste il diritto di dire tutto quello che si pensa. La libertà implica anche il non dire o non fare, perché la libertà non esiste disgiunta dalla responsabilità. È molto di comodo questa lettura drastica e massimalista: serve a sdoganare l’aggressività. Quando ho iniziato a fare questo mestiere, in radio, in un programma dove sono rimasto per 25 anni, Black Out, c’erano con me maestri di prim’ordine, Enrico Vaime, Guido Sacerdote, Antonello Falqui, Luciano Salce. Mi dicevano sempre: “Guarda che ci vuole la patente per dire quella battuta”. La patente è la consapevolezza. Le parole sono molto preziose e delicate. E farne buon uso per quel che mi riguarda è un gesto di responsabilità fondamentale».Gian Paolo Ormezzano ha scritto: «Fabio Fazio ha inventato l’interrogatorio che non irrita l’interrogato e soddisfa quelli che vogliono sapere tutto».«Caro Gian Paolo. Cerco sempre di non leggere quello che viene scritto su di me. Non è snobismo o vanità: lo faccio per mantenere un rapporto sano con il mio lavoro. E nemmeno mi rivedo. Avrò visto, in tutto, 3 o 4 ore delle mie trasmissioni».Tre o quattro ore in?«In quarant’anni di televisione, appena compiuti. Il 10 ottobre del 1983 esordii in Rai, dalla Carrà, a Pronto Raffaella. Avevo 19 anni».Ottobre è un mese di inizi per lei. Crede alle coincidenze?«No. Penso che ci siano combinazioni fortuite nella vita: incidenze che intervengono sulle nostre previsioni. Temo si possano derubricare a casualità».È una bella cosa la casualità?«È libertà. La somma di avvenimenti che chiamiamo libertà, e per la quale uno si ammala e un altro no, uno si innamora e un altro no».Mi racconti il fatto casuale più clamoroso che le è capitato.«Quando facevo Quelli che il calcio, cercavo sempre bizzarri avvenimenti da raccontare in giro per il mondo. E una volta, l’allora direttore Giovanni Minoli mi mandò a Londra da un italiano molto mondano per avere delle dritte. Andai a trovarlo a casa sua e mi disse che avrebbe potuto dedicarmi poco tempo perché sarebbe arrivato Mick Jagger a momenti. Pensai di essere finito da un mitomane. Ma Mick Jagger arrivò poco dopo. Io mi sentii in enorme imbarazzo e per togliermi di mezzo, dissi che dovevo andare via: Mick si offrì di darmi un passaggio fino alla metropolitana, nella sua Mercedes verde che non dimenticherò mai».Qual è la cosa più importante in un’intervista?«Ascoltare».La più difficile?«Evitare di parlare di sé».Il buono del nostro tempo?«A me piace tutto. Alla fine, la forza vitale del presente è più forte di qualsiasi rimpianto del passato».Ma?«Ma da sempre nutro un totale disinteresse per la tecnologia. Quando qualcuno mi regala una cosa con il libretto delle istruzioni, penso che dovrò perdere del tempo a leggere e capire come far funzionare un aggeggio di cui ho fatto tranquillamente a meno fino a quel momento».Forse è solo pigro.«Sì. E non ho senso pratico. Se si rompe la macchina, non scendo: chiamo qualcuno».Perché dice sempre che in televisione non si toglie ma si aggiunge?«Perché, almeno in quelle generalista, è giusto e necessario cercare di accontentare i gusti di tutti, o almeno più gusti possibile».La televisione è ancora un mezzo che può insegnare?«I media non sono realtà che esistono a prescindere, sono la somma delle persone che ci lavorano e che dovrebbero avere una idea non pedagogica ma etica del proprio mestiere. Il punto è se conta ancora il valore personale, se conta ancora chi metti a fare cosa. Se lei fosse una schiavista, domani scriverebbe a favore dello schiavismo».Qualcuno mi fermerebbe.«Forse. Per questo conta chi metti a fare cosa. E con chi».La telefonata per invitare Vanoni l’ha fatta lei?«No, mi ha chiamato Ornella. Noi ci sentiamo spesso da alcuni anni, e appena ha saputo che sarei andato a Discovery mi ha detto che le sarebbe piaciuto fare qualcosa. Non me lo sono fatto ripetere due volte».Sa che il suo lavoro può rendere felici le persone?«No e non voglio: è un’assunzione di responsabilità che non sono in grado di reggere». —