Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 14 Sabato calendario

L’Italia ha solo ct uomini “Troppo forti i pregiudizi”

A settembre due panchine azzurre ancora vacanti si sono occupate. Dopo aver congedato Milena Bertolini, la Figc ha scelto come commissario tecnico del calcio femminile Andrea Soncin. La Federbasket ha richiamato dopo tre anni Andrea Capobianco. In attesa che il volley ufficializzi il probabile ritorno di Julio Velasco alla guida della Nazionale femminile dopo 26 anni, lo sport italiano si scopre una volta di più mondo di uomini che decidono, fatto di uomini che lo guidano. Nessuna delle nazionali azzurre di uno qualunque degli sport olimpici di squadra ha un commissario tecnico donna. Dal calcio all’hockey su prato, dal rugby a 7 alla pallamano fino al softball (la versione solo al femminile del baseball), è una lunghissima sfilata di nomi maschili. E non è strano che ciò accada, in un mondo governato da sempre solo da uomini, con un’eccezione sola, Antonella Granata, presidente della Federsquash dal 2021.
I dati Coni 2020, gli ultimi disponibili, del resto parlano chiaro: se su 100 atleti tesserati per una federazione sportiva italiana, solo 28 sono donne, negli altri ruoli che compongono l’universo sport, il rosa è un colore sempre più sfumato: le dirigenti societarie sono appena il 18% del totale, le ufficiali di gara il 19%, le dirigenti federali il 12%. Su 5 tecnici, uno solo è donna. Tra i ct delle nazionali maggiori il numero precipita ad uno sconfortante 0%.
«La donna al comando, anche nello sport, è vista come portatrice di uno stigma» spiega la sociologa Alessia Tuselli, ricercatrice presso l’Università di Trento e responsabile del progetto She Leadssu equità di genere e leadership nel mondo dello sport, «è un mondo sempre in ritardo, che si autoesonera dalla contemporaneità. Su dieci donne che potrebbero fare carriera nei ranghi dello sport a livello dirigenziale e tecnico, una sola ci prova. Per farlo, però, serve avere un contorno favorevole: un lavoro-salvagente, o ad esempio che i figli siano già grandi. La gravidanza continua a rappresentare un ostacolo agli occhi delle società che devono investire su un ruolo delicato come quello dell’allenatore. In più, il fondo maternità, entrato nello sport da poco tempo, è pieno di vincoli e comunque riservato solo ad atlete. Le donne si perdono in un labirintodi regole, barriere culturali, pregiudizi, limiti imposti dall’alto e spesso autoimposti. E le quote di genere, se hanno cambiato la proporzione numerica all’interno delle istituzioni sportive, non hanno cambiato la realtà di fatto. Sono sempre gli uomini a decidere».
In questo panorama desolante, spicca perché unica la storia di una ct di una nazionale maschile. Si chiama Monica Cresta e con lei in panchina l’Under 17 azzurra di volley ha vinto l’ultimo campionato europeo. Dal 2000 Cresta ha sempre allenato pallavolisti, tra giovanili e prime squadre, fino ad arrivare al Club Italia maschile e alla nazionale. «Nel volley femminile la presenza di allenatrici, nonostante l’esempio di Simonetta Avalle e Jenny Lang Ping, resta rarissima. Sono passata al maschile per una circostanza fortuita, a Biella, 23 anni fa, e non ho più lasciato quel settore. Sono un’anomalia forse, ma solo se vista dall’esterno. Volley maschile e femminile sono due sport probabilmente diversi, cambiano le dinamiche di gioco ma di sicuro non il modo di allenare. Con i miei ragazzi non ho mai avuto il minimo problema e non ho mai visto loro averne con me. Spero che il mio esempio serva a distruggere tutti i pregiudizi di genere che ancora albergano nello sport».