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 2023  ottobre 14 Sabato calendario

Le provocazioni di Slavoj Žižek

Filosofia e provocazione per Slavoj Žižek sono quasi la stessa cosa. Entrambe animeranno il discorso di sette minuti che il pensatore sloveno terrà il 17 ottobre alla cerimonia inaugurale della Frankfurter Buchmesse 2023, in rappresentanza del suo Paese. «Dovrebbe essere un segreto ma vi dirò tutto» scherza, in collegamento video con «la Lettura», il filosofo che ha appena pubblicato in Italia, in anteprima mondiale da Ponte alle Grazie, il volume Libertà. Una malattia incurabile. «Sarà un discorso breve e molto problematico. E, per provocare il mio popolo sloveno, lo pronuncerò in tedesco – spiega —. Comincerò da una storia terrificante. Stavo facendo ricerche sulle torture dei nazisti nei campi di concentramento e ho scoperto che avevano dei rompi-testicoli appositamente realizzati a livello industriale. Su Google, ho messo testicle crashers e ho trovato una dozzina di siti web dedicati ai sadomasochisti e a quegli strumenti prodotti oggi, anche di squisita fattura. Quindi il mio punto di partenza è: a che punto siamo arrivati se quella che meno di cent’anni fa era considerata la peggiore forma di tortura, oggi si può comprare per il piacere?».
E la Slovenia dove sta in tutto questo?
«Proseguirò con una rappresentazione ironica dell’identità slovena portando ad esempio l’unico caso in cui Freud ha discusso un paziente sloveno. Fu con un suo allievo, Eduardo Weiss, psicoanalista nella Trieste dei primi Novecento, che gli scrisse di avere due pazienti: uno era un nobile italiano che si sentiva responsabile della morte della moglie. L’altro uno sloveno, estremamente corrotto, senza alcuna misura morale, sfruttava e umiliava tutti ed era impotente. La risposta di Freud fu: l’italiano basta analizzarlo, fare in modo che si liberi della sua inibizione. Lo sloveno invece è un caso che non merita attenzione: la psicoanalisi non può occuparsi di casi di abiezione così estrema da non avere nemmeno i concetti teorici per descriverla. La mia tesi sarà quindi che lo sloveno era in anticipo di un secolo sui tempi».
Tutto si lega al concetto di libertà.
«Ha a che fare con la cosiddetta cultura permissiva in cui siamo immersi. Ufficialmente, tutto è concesso. Si viene persino sollecitati a sperimentare con il proprio corpo. Ma il risultato è opposto. In nome del permissivismo, si attivano tutte le limitazioni: politicamente corretto, woke, cancel culture e così via. Tutto ciò che dico può essere un insulto per un altro. A parole siamo tutti per l’inclusione, per la diversità, ma il risultato è una nuova forma di terrore».
È questo il paradosso del presente?
«Oggi, in nome dell’inclusione, escludiamo le persone più che mai, il paradosso è che la cancel culture difende sempre la diversità, l’inclusione. C’è un famoso detto di Dostoevskij secondo cui se non c’è Dio, allora tutto è permesso. Lacan lo ribalta: se non c’è Dio, allora tutto è proibito. La nostra vita quotidiana è controllata da nuovi divieti che dovrebbero garantire la libertà».
Rispetto all’Europa, alla situazione politica, come vede la posizione del suo Paese? Anche in relazione ai venti sovranisti, populisti che soffiano in vari Paesi.
«Tutta l’Europa si trova ora in una tensione con il vecchio consenso liberaldemocratico, ma integrato con tutta questa ossessione per i diritti, come contrattacco ai neoconservatori che parlano di interesse nazionale. Non conosco abbastanza l’Italia per dire in che misura succeda con il governo Meloni, ma almeno negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, la destra è molto più capace di affrontare le preoccupazioni delle persone comuni. Sono lontano dall’essere razzista, non sono contro gli immigrati. Ma la gente comune ha le sue paure, i suoi problemi, e se alcuni percepiscono gli immigrati come una minaccia, non lo condivido, ma lo capisco. Il problema della sinistra è la posizione elitaria che assume, che qualifica automaticamente la gente normale come vittima del neofascismo. Negli Usa Donald Trump ha avuto più voti da parte della classe operaia e persino dei messicani, rispetto ai democratici. Viviamo in un’epoca di alleanze scellerate. Sull’Ucraina l’estrema sinistra e l’estrema destra sono entrambe più favorevoli a Putin. Ma l’esempio più tragico è questo: un paio di mesi fa in Uganda, il Parlamento ha votato la più dura legislazione anti-omosessuale del mondo, che contempla addirittura la pena di morte. La giustificazione fornita dal Parlamento ugandese è stata la lotta anticoloniale. Hanno detto che i colonialisti cercano di imporre un’ideologia Lgbtq che squalifica i valori tradizionali africani».
Salman Rushdie ha vinto il Premio della pace dei librai tedeschi che riceverà a Francoforte.
«Anche se in generale non vedo spesso le cose allo stesso modo di Rushdie, che è un po’ troppo liberale per me, sono assolutamente dalla sua parte. Ricordo che già quando Khomeini lanciò la fatwa contro di lui alcuni miei amici inglesi di sinistra erano critici nei suoi confronti. Dicevano: ma forse ha fatto qualcosa di sbagliato. Lo trovo un po’ perverso. Quando c’è chiaramente una vittima, siamo sempre tentati di essere equilibrati per mostrare comprensione anche per l’aggressore».

È quello che sta succedendo con Russia e Ucraina?
«Sì, l’Ucraina naturalmente ha fatto molti errori, la corruzione, elementi di nazionalismo strani. Ma il fatto è che la Russia, una superpotenza, l’ha attaccata, la sta minacciando con la forza nucleare, sta affermando apertamente che non si fermerà lì e forse dovrà, come dicono loro, denazificare anche altri Paesi europei. Non so come sia in Italia, ma in Slovenia, nei media tutta la pressione è sull’Ucraina che non dovrebbe “provocare troppo” la Russia. Lo trovo assurdo. Io temo questo astratto pacifismo in Slovenia. Le sinistre dicono: le guerre sono brutte, dobbiamo concludere la pace, non vincere la guerra. Ma queste stesse persone, quando si parla della Seconda guerra mondiale, esaltano le lotte partigiane. Eppure lì non c’è stato alcun negoziato con i nazisti, cosa che invece vorrebbero fare con la Russia».
E riguardo all’attacco di Hamas a Israele?
«Va condannato incondizionatamente, senza se e senza ma. Questa non è “guerra”, questo è un massacro puro e semplice che dimostra che l’obiettivo di Hamas, la distruzione di Israele come Stato, include l’uccisione massiccia di civili israeliani. Ciò che tuttavia è urgente fare è collocare questo attacco nel suo contesto storico e ricordare che i palestinesi della Cisgiordania vivono in un incubo da decenni».
Questa confusione non riguarda solo l’Occidente.
«Ho un altro esempio, che mi ha molto depresso, successo a una tavola rotonda a Londra.C’erano due relatrici sudafricane, vecchie attiviste dell’African National Congress. Ho chiesto a una di loro: “Nei nostri media sentiamo sempre che il Sudafrica è in grande crisi, sta quasi cadendo a pezzi. Mi dica cosa sta succedendo davvero”. E questa signora molto onestamente mi ha risposto che tra i neri poveri si sta diffondendo la nostalgia dell’apartheid. Mi ha detto: era uno Stato di polizia, ma almeno avevi una certa sicurezza. C’era legge, ordine, una relativa stabilità dei posti di lavoro per le persone di colore. Certo, oggi ci sono i nuovi ricchi neri, ma la maggioranza povera sta vivendo peggio che sotto l’apartheid. Inoltre c’è una straordinaria esplosione di violenza. Così come gli immigrati messicani in Texas, intendo quelli già integrati negli Stati Uniti, sono più contrari all’immigrazione che gli americani, perché vogliono ordine, stabilità, sicurezza. A sinistra mi dicono: ti stai spostando a destra, stai diventando fascista. Trovo così triste che se si parla di ordine, di stabilità, di salvare la vita, si venga subito bollati come fascisti. Ascoltiamo queste paure, la nostra civiltà occidentale si trova in un momento molto pericoloso. Io, che sono pessimista, credo che gli Stati Uniti si stiano avvicinando a una sorta di guerra civile, forse anche fisica, non solo ideologica...».
Di che cosa abbiamo bisogno?
«Non del sovranismo, ma di una cooperazione globale. Per affrontare la crisi climatica, una nuova pandemia, le guerre, serve una pianificazione a livello mondiale. Non è possibile risolvere questi problemi Stato per Stato. Quindi quando mi chiedono da che parte stai ora politicamente, rispondo: mi considero un comunista moderatamente conservatore. Comunista perché penso che una qualche forma di coordinamento globale, che non sia vincolata dal mercato, sia necessaria, perché il problema è il sistema capitalistico così com’è oggi. Moderatamente conservatore perché i liberali sono spesso, in senso retrogrado, utopisti. La sinistra dovrebbe imparare dai conservatori moderati lo spirito realistico: vogliamo raggiungere questo obiettivo, ma teniamo conto delle circostanze. Non sono un catastrofista, ma abbiamo bisogno di una nuova visione. Siamo disorientati e il risultato è l’esplosione delle teorie cospirative».
Se ci vuole una nuova visione, è naturale pensare che possano essere i giovani a portarla...
«Forse lo dico perché sono vecchio, ma i giovani sono ancora più catturati da quella che chiamerei l’ideologia dominante. Non credo a questa elevazione dei giovani a rivoluzionari. Anche i Paesi del Terzo Mondo, i poveri, gli immigrati, soffrono, ma non mi aspetto una soluzione da loro. Non c’è un soggetto privilegiato del cambiamento. La nostra ossessione non dovrebbe essere un nuovo mondo utopico, ecologicamente risanato, ma come prepararci a nuovi stati di emergenza, facendo azioni concrete, precise, quando devono essere fatte».