la Repubblica, 14 ottobre 2023
Da Gaza all’Europa incognite crescenti
L’unica certezza è che la guerra sarà spietata. Questo si rifletterà in Europa, lacerando le coscienze e le forze politiche.
L’assassinio di un professore in Francia a opera di un ceceno islamista è il segno che l’ondata di terrorismo si espande e trova emulatori. Per cui la decisione di Macron, che ha vietato le manifestazioni pubbliche pro Hamas, si rivela, sì, un gesto risoluto all’altezza del momento drammatico, ma anche un rischio. Cosa accadrà se le manifestazioni proseguiranno più o meno incontrollabili e anzi tenderanno a radicalizzarsi via via che il conflitto in Medio Oriente si farà più aspro? E come si comporteranno gli altri Paesi europei: seguiranno la Francia nella difesa dei valori repubblicani oppure cercheranno qualche compromesso per garantirsi in qualche modo un’oasi di tranquillità mentre intorno sono fiamme?
Domande prive di risposta. Parigi, è vero, ha scelto una strada lineare: considera la sfida di Hamas rivolta non solo a Israele, ma in realtà all’intera civiltà occidentale, quindi all’Europa. A un modo di vivere e concepire la libertà. Di conseguenza l’accento è posto sulla solidarietà a Gerusalemme, ma soprattutto sulla risposta da infliggere a Hamas, a cui non si concedono giustificazioni. Vietare i cortei di piazza è una scelta in questa direzione. Nessun altro governo europeo finora ha preso un’analoga decisione. Ma se la guerra proseguirà e diventerà più feroce, come quasi tutto lascia purtroppo prevedere, il problema si porrà.
Chi ha sequestrato centocinquanta persone per farne ostaggi; chi anzi ha trasformato in ostaggi la maggioranza degli abitanti di Gaza, mera massa di manovra della tattica terroristica, non aspetta altro che la vendetta israeliana per ricavarne qualche vantaggio presso quei settori di opinione pubblica in Europa e pure in Usa che non amano lo Stato ebraico e oggi mordono il freno.
Sono settori minoritari? Senza dubbio, sì. Ma sono rumorosi, molto attivi sui media, allenati alla polemica urlata e spesso in malafede. Le varie capitali devono ancora decidere come gestirli, ma le esperienze passate non incoraggiano: a una prima fase, in cui prevale l’emozione solidale verso Israele Paese offeso, si sovrappone un crescente fastidio per la controffensiva israeliana e tout court per il governo di Gerusalemme, quale che sia il suo colore politico. Qui è la tenaglia in cui si dibatte Israele, consapevole di essere una sorta d’imputato permanente di fronte al tribunale dell’opinione occidentale, specie in Europa. Stavolta, è vero, l’orrore per l’attacco di Hamas ha segnato una linea di demarcazione. Le forze di centrosinistra (esclusi ovviamente i Cinque Stelle) hanno preso una posizione netta, in base al principio che Hamas non rappresenta gli interessi dei palestinesi. E quindi, se ne dovrebbe concludere, Hamas è un nemico dei palestinesi, a Gaza come altrove.
Ma non è così semplice. Le vittime civili a Gaza possono rovesciare il sillogismo. Anche l’esodo forzato della popolazione avrà effetti simili. In Europa il dramma imporrà a tutti una rinnovata prova di maturità. Il governo italiano chiede di evitare una «escalation», ma occorre intendersi sul significato del termine. Il francese Macron, ad esempio, suggerisce a Israele una «reazione giusta», che è già un’espressione più precisa. Il Pd tiene comunque una linea chiara contro Hamas, ma a sinistra c’è chi ha scelto proprio questo momento per dichiararsi “antisionista”. Insomma, non con Hamas ma nemmeno con Israele. L’ambiguità respinta dalla porta rischia di rientrare dalla finestra, se nella base si agitano tanti dubbi. E il passare del tempo non aiuta.